a cura di Sonia Zarino (architetto, urbanista)

sabato 8 agosto 2015

UPI: la riforma delle Province e delle Città metropolitane strozzata dai tagli indiscriminati alle risorse

In un recente documento l’UPI (Unione delle Province Italiane) fa il punto sullo stato della legge 56/2014 e rileva preoccupanti criticità nel suo stato di attuazione. 

di Sonia Zarino
 
Vi è, secondo l’UPI, un evidente disallineamento tra la legislazione regionale, che doveva riattribuire le funzioni non essenziali delle Province e  delle Città metropolitane, e la legge di Stabilità che, sottraendo alle stesse risorse in una misura ritenuta eccessiva,  blocca di fatto l’effettiva attuazione della riforma.
In effetti, se da un lato i nuovi enti sono di fatto operativi, e in grado quindi di svolgere i compiti a loro affidati dalla L. 56, nelle more degli adempimenti  previsti da parte delle Regioni essi devono continuare a svolgere tutti i compiti delle “vecchie” province. Tale onere si traduce quindi nella necessità di fare fronte a spese di cui non si hanno di fatto le necessarie coperture economiche: si pensi solo che la prevista legge di Stabilità 2015 taglia al bilancio delle Province un miliardo nel 2015, 2 miliardi nel 2016 e 3 miliardi nel 2017.
Ad oggi, la sola parte pienamente attuata della riforma delle province riguarda il cambio degli organi amministrativi, costituiti da sindaci e consiglieri provenienti dai comuni dell’Città metropolitana e non più eletti direttamente dai cittadini.

L’UPI prova quindi a quantificare il reale fabbisogno per fare funzionare le “nuove” province e le città metropolitane, citando a tal proposito una valutazione fatta dal SOSE[1]. In base a tale studio Province e Città metropolitane per fornire i servizi essenziali delle funzioni fondamentali (manutenzione strade, scuole superiori, tutela dell’ambiente, trasporti) dovrebbero spendere, per la sola spesa corrente, 2 miliardi e 360 milioni. Questa cifra esclude ovviamente impegni di spesa per opere ex novo (nuove strade, nuove scuole, ristrutturazioni delle stesse, ecc.).
Sempre secondo il SOSE le entrate fiscali delle province ammonteranno nel 2015 a 3 miliardi e 817 milioni, ma il 41% (pari a 1 miliardo e 675 milioni) verrà trattenuto dallo Stato, e sottratto ai servizi fondamentali erogati.
Tuttavia il fabbisogno delle province e delle città metropolitane non è riferibile solo alle spese correnti “proprie”, poiché sono da considerarsi anche i rimborsi dei prestiti contratti in precedenza e le spese correnti per le funzioni non fondamentali che le province continuano a sostenere in attesa che le Regioni legiferino sulla loro riorganizzazione: la cifra di questi ulteriori oneri fa lievitare il fabbisogno di un altro miliardo solo per la spesa corrente, a fronte dei 221 milioni di entrate previste  nel DL 78/15[2].
In questo quadro di carenza di risorse, gli investimenti sono già crollati drasticamente come denunciano molte amministrazioni provinciali che hanno dovuto ridurre servizi essenziali quali la manutenzione delle strade e delle scuole.
Tornando al DL, la cui legge di conversione è attualmente[3] all’esame della Camera[4] dopo essere stata approvata al Senato,  sono necessarie secondo UPI alcune modifiche su bilancio, personale e gestione delle risorse ritenute necessarie per poter chiudere in equilibrio i bilanci 2015.
Sul fronte della riforma complessiva degli Enti locali sono però le Regioni le responsabili dell’attuale ristagno e del conseguente ingorgo istituzional/economico, in quanto solo in sei avevano, a luglio, approvato le leggi di riordino delle funzioni non fondamentali delle province. L’esame dei testi normativi non risulta peraltro soddisfacente in quanto in nessun caso si prevede il passaggio del personale e dei relativi costi a partire dal 1 gennaio 2015 come era previsto nella legge di Stabilità, mentre tutte le funzioni continuano a restare in capo alle province senza la relativa copertura finanziaria. Anche i Centri per l’impiego avrebbero dovuto passare dal 1 gennaio 2015 allo Stato, ma ad oggi le strutture e i relativi ingenti costi sono ancora in carico a province e città metropolitane, senza che vi sia adeguata copertura finanziaria.
La L. 56/14 disciplina il passaggio del personale corrispondente alle funzioni trasferite, mentre la legge di Stabilità  ha imposto alle Province il taglio del 50% della spesa del personale dal 1° gennaio 2015 (30% nel caso delle Città metropolitane). Entro il 2017 il personale in esubero (circa 20.000 dipendenti) dovrà trovare una ricollocazione presso altre Amministrazioni locali e centrali, ma ancora non risulta nessuna riallocazione effettuata.
In conclusione, le risorse previste per province e città metropolitane appaiono largamente insufficienti anche solo per garantire le spese correnti legate ai servizi essenziali delle funzioni fondamentali, mentre si prevedono ulteriori, drastici tagli negli anni a venire.
Tutto questo avviene mentre, osserva l’UPI, le Regioni non hanno riattribuito alle province o alle città metropolitane la gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica in ambito provinciale attualmente gestito mediante aziende partecipate (es.: ATO acque, ATO rifiuti, consorzi, partecipate, ecc.), ed il cui costo è stato pari a 1 miliardo e 796 milioni. Anche dalla riduzione delle stazioni appaltanti si potrebbero avere consistenti risparmi (oltre 2 miliardi nel 2015 e oltre 7 miliardi nel 2016) per essere dedicati ai servizi essenziali quali il riscaldamento e la manutenzione delle scuole superiori o la manutenzione delle strade e lo sgombero neve e frane.


[1] Soluzioni per il Sistema Economico SpA è la società del Governo che si occupa di stabilire i criteri di efficienza della spesa pubblica
[2] http://parlamento17.openpolis.it/singolo_atto/49554
[3] 04/08/2015
[4] http://parlamento17.openpolis.it/atto/documento/id/129090

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