a cura di Sonia Zarino (architetto, urbanista)

giovedì 28 marzo 2013

L'Unione Europea e le azioni integrate per lo sviluppo. Il Piano Città: un passo verso un'Italia strategica?

Intervista a Roberto Camagni, professore ordinario al Politecnico di Milano

Milano, 01.02.2013
A cura di Simona Venturi // ReCS


ReCS, febbraio 2013 - www.recs.it

 
Roberto Camagni è professore ordinario di Economia Urbana e docente di Economia e Valutazione delle Trasformazioni Urbane al Politecnico di Milano. E’ stato Presidente della European Regional Science Association e durante il primo Governo Prodi è stato Capo del Dipartimento Aree Urbane alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. E' stato presidente dell’Associazione Italiana di Scienze Regionali, Vice Presidente del Gruppo Affari Urbani dell’OECD di Parigi. E' attualmente presidente del Gremi (Groupe de Recherche Européen sur les Milieux Innovateurs), una rete internazionale di studiosi con sede alla Sorbona di Parigi che analizza i territori locali dell'innovazione, e membro del Comitato Scientifico della DATAR di Parigi.
- La proposta di regolamento del FESR 2014-2020 riformula le priorità per finanziare i progetti urbani e dichiara che ‘verranno allocate le risorse prioritariamente per rispondere ai bisogni dei diversi livelli territoriali, per rinforzare la dimensione urbana, per promuovere lo sviluppo locale, laddove i progetti sostengono un approccio multilivello, multisettoriale, territoriale e integrato’. Almeno il 5% delle risorse del FESR sarà destinato ad azioni integrate per lo sviluppo urbano sostenibile. Inoltre, la Commissione Europea ha proposto di sviluppare una ‘ambiziosa Agenda urbana’ in ciascun Paese membro, che permetta alle amministrazioni cittadine di essere direttamente coinvolte nell’elaborazione delle strategie di sviluppo territoriale. La Pianificazione Strategica, in quanto strumento dotato di tutte quelle caratteristiche richieste dalla Strategia Europa 2020, potrebbe essere il metodo per definire le azioni integrate per lo sviluppo nelle aree urbane del Paese per l’ottenimento dei finanziamenti? Potrebbero essere previsti dei meccanismi incentivanti e premiali per le città o aree urbane che adottano processi di pianificazione strategica come strumento di governo del territorio?

Certamente! La “pianificazione strategica” (che in inglese suona, in modo più preciso, integrated spatial development planning) è proprio lo strumento, o meglio il metodo, per raggiungere l’obiettivo di produrre progetti integrati, condivisi, all’interno di una visione complessiva sullo sviluppo possibile della città. Come tale, viene già da tempo proposta dall’Unione Europea alle regioni per definire strategie, programmi e progetti da sottoporre al supporto dei Fondi Strutturali. Più che incentivare questo metodo, la Commissione dovrebbe essere chiara sul fatto che la pianificazione strategica è condizione fondamentale per la presentazione di progetti al FESR, e che questi ultimi saranno giudicati sulla base non di piani di facciata, ma sulla evidenza di processi partecipati e partenariali, di azioni integrate multisettoriali, di una significativa responsabilizzazione e co-finanziamento da parte del privato, di chiari e misurabili obiettivi strategici, sia generali sia affidati ai singoli progetti. Ma è proprio questo che esprime già chiaramente la Commissione con i suoi nuovi Regolamenti, nonché in Italia il Ministro per la Coesione Barca con le sue nuove “condizionalità” (1) .
Una ulteriore premialità specifica rischierebbe di essere controproducente. I piani strategici devono nascere spontaneamente da una cultura di governo e da una maturità delle classi dirigenti urbane, convinte della necessità di rilanciare una nuova progettualità e nuove sinergie fra i diversi attori locali, e non artificialmente e utilitaristicamente come veicolo per ottenere risorse pubbliche - come è avvenuto nella maggior parte dei piani strategici realizzati nel Mezzogiorno, con scarsi risultati, ben documentati dalle recenti analisi di ReCS.

- Il 17 gennaio scorso è stato approvato il Piano Città. Questa azione - insieme al forte ruolo che il CIPU presieduto dal Ministro Barca sta rivestendo - sembra essere in possesso dei requisiti necessari per uscire dalla situazione di stallo in cui le città italiane giacciono inerte da molto tempo. Aldilà di che cosa accadrà alla città metropolitana, è indubbio che le città stanno tornando a rivestire un ruolo di primo piano nella politica del nostro Paese. Fare interagire politiche urbane e politiche nazionali non è mai stato facile. Quali sono le sue considerazioni in merito al rapporto tra città e governo nazionale in questa fase di ridefinizione e sviluppo dei rispettivi ruoli? Quali sono possibili soluzioni per rafforzare le azioni di pianificazioni strategiche urbane in modo che possano rappresentare un pezzo di una strategia complessiva di sviluppo del Paese?

L’avvio di una nuova coscienza sul ruolo che le città sono e saranno ancor più chiamate a rivestire nei prossimi anni come driver della ripresa economica e attori delle necessarie innovazioni per la nuova fase storica di sviluppo, è una novità assolutamente benvenuta. Finalmente nel nostro paese un governo dimostra di interessarsi alle città, dopo un lunghissimo periodo di disinteresse non condiviso dalla maggior parte dei paesi europei, in modo non retorico o ritualistico ma estremamente concreto. Per chi come me aveva predisposto nel lontano 1996 per il Governo italiano, presidente di turno dell’Unione, un Rapporto per l’avvio di una “Agenda Urbana Europea”, con le relative giustificazioni teorico-politiche, i principi di base, gli obiettivi e le possibili azioni, successivamente in larga misura adottati nel Framework for action for sustainable urban development dell’UE del 1998 (2) , la novità non può che riempire di soddisfazione e di speranza.

Tre considerazioni e riflessioni sono dovute al riguardo. Innanzitutto, le decisioni citate nella domanda nascono da due decise azioni esterne: la decisione della Commissione Europea di riservare il 5% dei fondi FESR a progetti integrati e innovativi proposti dalle maggiori città, e l’azione illuminata di un gruppo interparlamentare animato da Walter Vitali che ha proposto la costituzione del Comitato Interministeriale per le Politiche Urbane, che il Governo ha intelligentemente affidato al Ministro Barca.

La seconda considerazione riguarda le città, e in particolare le più grandi: esse hanno oggi una occasione per assumersi responsabilità più dirette nella predisposizione dei progetti da presentare al supporto FESR, e nella gestione delle relative negoziazioni con la Commissione, dopo anni in cui un malcelato centralismo regionale le aveva relegate in secondo piano. Ma esse devono ora dimostrare di meritarsi questo nuovo ruolo, esibendo quella capacità progettuale e di visione che la teoria economica e politica urbana assegna loro, ma che nella realtà del nostro paese non è oggi molto evidente – come dimostra il ritardo con cui la maggior parte di esse si accinge ad avviare il processo di progettazione strategica. Una vera governance multilivello del processo è oggi possibile e a portata di mano.

La terza considerazione concerne gli obiettivi di una Agenda Urbana nel nostro paese e i compiti di una struttura centrale di gestione. Da anni ormai le strutture ministeriali che si sono occupate del management dei Fondi Strutturali, dei relativi orientamenti, negoziazioni, monitoraggi e valutazioni hanno sviluppato una competenza e una efficacia rilevantissima, come si è potuto constatare dal “miracolo” della capacità di utilizzo dei fondi assegnati all’Italia in questa fase finale del periodo di programmazione 2006-13. Questi compiti e queste professionalità sono dunque facilmente acquisibili al progetto Città.

Ma non sono solo questi gli obiettivi e i compiti conseguenti da assegnare alla struttura. Innanzitutto, dopo anni di scarsa attenzione, occorre lanciare un progetto di analisi di benchmarking internazionale e di interpretazione delle criticità infrastrutturali e funzionali delle nostre città nei confronti delle città degli altri paesi europei, al fine di individuare priorità, potenzialità, specificità e ambiti di intervento progettuale.

In secondo luogo occorre avviare una seria riflessione normativa su due problematiche istituzionali:

- i ruoli dei diversi livelli di governo e in modo particolare le attribuzioni alle nuove città metropolitane, anche al fine di semplificare l’iter decisionale sui progetti territoriali. E occorre anche, in questo ambito, ripensare alla riforma delle province, gestita fin qui in modo approssimativo e largamente superficiale dal Governo Monti (pensiamo alle aggregazioni imposte ‘contro natura’, alla delegittimazione del solo organo naturalmente preposto alla – oggi cruciale – pianificazione territoriale, ai costi della proposta riorganizzazione, ai limitati risparmi di spesa;
- la necessaria revisione della fiscalità immobiliare, nazionale e locale. E’ questo un ambito in cui la normativa, nazionale e regionale, è vecchia, largamente non aggiornata quanto a parametri e definizione di oneri, inadatta a orientare il settore immobiliare nelle nuove direzioni da tutti auspicate – riduzione dei consumi di suolo e incentivo alla rigenerazione urbana – e del tutto insufficiente per finanziare le nuove priorità urbane, di infrastrutturazione, di gestione, di manutenzione. I livelli degli oneri concessori e di urbanizzazione non coprono ormai nemmeno i costi delle opere primarie, e, anche nelle esperienze locali in cui sono più elevati, appaiono da un quarto a un quinto il livello di paesi come la Germania o la Spagna. E la legislazione nazionale sui capital gain immobiliari sembra essere di manica assai larga sia come livelli di tassazione sia come mancato contrasto alle possibilità facili di evasione. Da un aggiornamento delle relative legislazioni attendiamo la possibilità che sia la imposizione sulla rendita immobiliare e fondiaria a finanziare il rilancio delle città, e non solo una imposizione patrimoniale tipo IMU che colpisce chi la rendita l’ha pagata, e cara, all’atto dell’acquisto dell’immobile.

- Quali ritiene essere le opportunità offerte dalle alleanze tra città come ReCS e tra città e istituzioni sovralocali? E, più in generale, quale contributo possono offrire reti o associazioni che affiancano le pubbliche amministrazioni alla costruzione di una visione urbana nazionale?

L’esperienza delle Rete delle Città Strategiche (ReCS) è ben chiara al proposito. La possibilità di osservare comparativamente, e dall’interno, i problemi e le soluzioni che ogni città singolarmente ha elaborato, apporta un grande valore aggiunto di conoscenza, ben utilizzabile nella fase attuale. Inoltre la ReCS ha ormai sviluppato una serie di rapporti, non solo con le città, ma anche con simili associazioni e reti internazionali, acquisendo una capacità di confronto e di benchmarking delle migliori pratiche che è assai rara e preziosa. Infine, reti come la ReCS, ma anche altre istituzioni e laboratori urbani, hanno avviato una utilissima pratica di cooperazione fra mondo della ricerca scientifica e mondo della pratica amministrativa e politica che garantiscono così in buona misura la capacità di coniugare concretezza e principi generali, visioni coraggiose e strategie operative.

(1) Ministero della Coesione Territoriale, “Metodi e obiettivi per un uso efficace dei fondi comunitari 2014-20”, Roma, 27 dicembre 2012.
(2) R. Camagni, M.C. Gibelli, “Cities in Europe: globalisation, sustainability and cohesion”, in European Spatial Planning, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma, Il Poligrafico dello Stato, 1996. Il Rapporto fu consegnato ai Ministri Territoriali europei al Ministerial Meeting di Venezia, maggio 1996.


ReCS, febbraio 2013 - www.recs.i

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