a cura di Sonia Zarino (architetto, urbanista)

venerdì 5 aprile 2013

Dall’area metropolitana allo sprawl urbano: la disarticolazione del territorio - parte 1a

Riproduciamo qui una interessante ricerca che affronta il tema delle definizioni di area urbana e di area metropolitana. Dopo una iniziale riflessione sul fenomeno dell'espansione urbana, e dei suoi esiti in termini di area metropolitana oppure di sprawl quale negazione del fenomeno urbano stesso, la ricerca si volge ad analizzare l'area metropolitana di Napoli.

Parte 1a 

di Giuseppe Mazzeo
pubblicato su TeMA Vol 2 - No 4 - dicembre 2009 - pagg. 7-20
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L’espansione della città
Il paper affronta il fenomeno dell’espansione urbana analizzando due concetti, quello di area metropolitana e quello di sprawl.
Il primo, erede della tradizione razionale e positivista dello sviluppo, avrebbe dovuto portare a metropoli ordinate ed efficienti; il secondo, figlio dell’individualismo capitalistico e dell’indifferenza nei confronti dell’ambiente, modella la città estesa come uno dei simboli del processo di appropriazione illimitata dello spazio.
In mezzo vi è il breve periodo dell’ultima crisi urbana, a cavallo degli anni ’70 e ’80; da questa crisi la città è uscita agendo verso tre direzioni principali: la prima è stata l’espulsione di funzioni ritenute non primarie; la seconda è stata la riappropriazione di ambiti urbani in stato di abbandono e la loro trasformazione in distretti di elevata qualità; la terza è stata la ricerca di nuovi significati, di nuove prospettive e di conseguenti azioni di marketing che sembrano essere divenute fondamentali per ogni politica urbana.
È interessante osservare in questo processo che quelle che vengono considerate come azioni positive sono fisicamente localizzate in quadranti urbani diversi da quelle ritenute negative: quando si parla di riqualificazione della città si ha a che fare con aree urbane centrali o semicentrali, così come quando si parla di azioni sull’immagine della città.

In questo senso la macchia espansa della residenza e delle funzioni ad essa connesse sembra estranea a questi fattori di qualità e viene catalogata come processo negativo inevitabile; su di essa, infatti, si ragiona o come conseguenza di comportamenti individualistici o come conseguenza della forza dei soggetti economico-territoriali.
Un’altra osservazione riguarda la localizzazione di funzioni non residenziali nelle aree extraurbane. A guardare con attenzione queste funzioni si ricavano alcuni elementi di interesse per lo sviluppo dell’analisi. In particolare, esse sono prevalentemente connesse al commercio e al tempo libero, necessitano di grandi spazi per lo svolgimento delle proprie attività e per la sosta degli utenti, necessitano di una rete di mobilità veloce, prevalentemente su strada, sono strutture indifferenti al luogo, al punto che spesso neanche la denominazione deriva da esso, bensì da evocazioni esterne rispetto al sito e alla sua storia, lo stesso fruitore, infine, non è più una persona ma un cliente.

Tutto il contrario avviene negli interventi urbani che interessano la città, nucleo centrale dell’area metropolitana: in esse sono posizionate funzioni primarie dedicate alla cultura e alla conoscenza, di elevata qualità architettonica e urbanistica, rispettose della storia del luogo e raggiungibili con reti di trasporto pubblico, veloci ed efficienti.
La parte finale del paper si incentra sull’area metropolitana di Napoli; l’analisi è svolta da un punto di vista qualitativo (in relazione ai caratteri funzionali dell’area) e da un punto di vista quantitativo (in relazione ai cambiamenti nella distribuzione della popolazione nel corso degli ultimi 150 anni).

Una possibile definizione di area urbana
I processi evolutivi in area urbana hanno la necessità di essere studiati ed analizzati a fondo. Per questo è importante formulare una definizione accettata.
Le aree urbane possono essere definite sulla base di criteri diversi. L’European Environment Agency (2009) ha proposto una definizione che è interessante sia per i contenuti teorici che per i possibili sviluppi in termini di omogeneizzazione delle politiche urbane nei paesi europei. Oltre alla soglia di popolazione, i criteri proposti dall’EEA si basano su tre tipologie di area la cui intersezione determina l’area urbana:
  • l’area amministrativa, costituente l’espressione territoriale della struttura politica e tecnica di governo; rappresenta la base di applicazione delle politiche relative alla qualità della vita e allo sviluppo sostenibile;
  • l’area morfologica, che definisce, in termini fisici, la dimensione spaziale e la forma della città. Essa non rispetta i confini amministrativi e comprende le aree urbanizzate, la rete viaria, le aree artificializzate, le aree industriali e commerciali, le aree verdi urbane, le aree portuali, aeroportuali e le attrezzature per lo sport e il tempo libero incluse nello spazio urbano o contigue ad esso;
  • l’area funzionale urbana, ossia la realtà socio-economica della città espressa in termini di influenza territoriale della stessa sul suo hinterland e identificata nelle strutture più rilevanti dell’ambiente costruito. L’area funzionale urbana comprende normalmente spazi molto diversi tra di loro come la città, i sobborghi e le aree rurali e rappresenta l’elemento di azione delle forze socioeconomiche e ambientali che modellano lo sviluppo urbano. Tra le forze si includono anche quelle capaci di generare modelli centrifughi di migrazione intra-regionale a favore di un’area e a scapito di altre.
Le relazioni tra area urbana amministrativa, morfologica e funzionale e la loro più appropriata utilizzazione nei processi di decisione politica sono un elemento critico nel governo delle città. Questo perché l’area funzionale urbana si estende ben oltre i confini amministrativi e morfologici che, per loro carattere, hanno grande inerzia al cambiamento.
Queste considerazioni, relative alle relazioni tra le forze socioeconomiche e le unità amministrative destinate a gestire le trasformazioni, rendono chiara la necessità di assicurare una forte integrazione politica allo spazio territoriale delle aree urbane, allo scopo di rendere effettiva la loro governabilità.

Aspetti del fenomeno metropolitano
All’interno della questione urbana assume una rilevanza particolare il fenomeno metropolitano il cui studio presuppone l’uso di un insieme di strumenti di indagine non riconducibili ad un unico filone di pensiero e di analisi. Ciò porta ad una ricchezza di idee, di valutazioni e di impostazioni che ha pochi eguali in altri settori di studio dell’urbanistica e che si riversa nel modo di concepire il fenomeno metropolitano e le sue implicazioni.

In linea di massima, gli studi sul fenomeno metropolitano appartengono a tre filoni primari.
  1. Il primo analizza l’area metropolitana come una “regione geografica”, un insediamento urbanizzato continuo, racchiuso in un perimetro fisico e composto di elementi riconducibili all’azione di trasformazione dell’uomo.
  2. Il secondo considera tale area come una “comunità metropolitana”, ossia un sistema di funzioni caratterizzate da un habitat urbano e da una localizzazione spaziale. All’interno di questo filone sono presenti diverse declinazioni, a seconda che si mettano in evidenza le interdipendenze economiche tra comunità centrale e comunità periferiche o i caratteri di indipendenza, di dominanza o di gerarchia.
  3. Un terzo filone deriva dall’analisi dei flussi pendolari da e verso il polo centrale e dalla loro trasformazione in una superficie a due dimensioni. Questo filone estende l’area ai poli decentrati che si sono formati esternamente per l’alto valore dei suoli urbani (centrali) e per l’espulsione di quote consistenti di nuclei familiari verso aree dove è minore il costo della vita; esso ha ancora come base il sistema funzionale ma non utilizza più la continuità spaziale come fattore costitutivo dell’area metropolitana: l’evoluzione dei processi di urbanizzazione, infatti, rende sempre più evanescente l’utilizzabilità di questo concetto a causa della frammentazione all’interno dell’area metropolitana e dei fenomeni pendolari che eccedono i confini fisici dell’area urbanizzata.
Da questi filoni di studio emerge come il fenomeno metropolitano possa essere associato a diversi livelli territoriali.
Il primo livello è quello delle aree urbane, caratterizzate da continuità nell’urbanizzato e da assenza di aree agricole intercluse; il secondo livello è quello delle aree metropolitane, in cui le funzioni sono integrate e creano flussi di scambio rilevanti; il terzo livello è quello delle regioni metropolitane, che comprendono anche le aree esterne sulle quali si evidenzia l’influenza economica delle aree urbane e metropolitane.

All’interno di questa differenziazione assume un ruolo rilevante il concetto di funzione metropolitana, ossia di attività capace di superare il concetto di attrazione locale per divenire generatrice di influenza territoriale e, quindi, fattore di riposizionamento gerarchico (AA.VV. 2006).
Dal punto di vista geografico, un’area metropolitana è una struttura urbana in cui si concentra una popolazione rilevante, formata da una grande città –o metropoli– e dall’area di influenza circostante. L’area metropolitana può essere generata da più città: in questo caso una di esse assume funzione di nodo e denomina l’area stessa.
La delimitazione di un’area metropolitana è una operazione complessa. Su di essa la ricerca sta ragionando da un centinaio di anni, anche perché il continuo espandersi dei fenomeni urbani verso l’esterno rende problematica la determinazione di un limite entro il quale racchiudere i processi funzionali associati.

Le aree metropolitane sono una struttura territoriale proposta a fini statistici negli Stati Uniti;
anche l’Europa, a partire dagli anni ‘50, ha contribuito ad approfondire l’argomento in relazione, soprattutto, ad un obiettivo (dotare i processi di pianificazione di una adeguata base territoriale da utilizzare per le città più grandi il cui sviluppo, a partire dall’inizio del processo di industrializzazione, ha avuto come conseguenza una rapida diffusione delle aree urbanizzate e degli effetti urbani) e ad uno scopo operativo ben preciso (la gestione unitaria di aree sempre più vaste, in modo da rendere ordinato lo sviluppo e da espandere gli effetti urbani positivi su una parte sempre più ampia di territorio). Il concetto di area metropolitana si è basato a lungo sulla costruzione di modelli espansivi regolari che ipotizzavano traiettorie di sviluppo preordinate nell’evoluzione urbana; è evidente come questi tentativi derivino direttamente da un’idea di pianificazione come forma razionale di costruzione della città.

Due i modelli principali: il primo che, a partire dalla città principale, propone un’espansione in specifiche direzioni (modello di espansione lineare);
il secondo che propone una espansione indifferenziata, con diversi gradienti di insediamento funzionale (modello di espansione circolare o settoriale).
L’accelerazione dello sviluppo urbano negli anni ‘60 e ’70 ha, di fatto, portato al fallimento questi modelli di pianificazione, a causa della rapidità dei fenomeni espansivi e della incapacità di controllarli; questi fenomeni hanno avuto intensità diverse da paese a paese e sono stati il preambolo della crisi urbana degli anni ’80. Ad oggi questa crisi sembra passata ma le città e le loro aree metropolitane sono profondamente cambiate: ampi sobborghi residenziali, aree produttive disseminate nel territorio, spazi urbani non utilizzati o abbandonati; inoltre, l’ameba metropolitana è ora più centralizzata rispetto agli anni ’60, perché il centro è tornato ad assumere un ruolo guida nella costruzione dell’immagine e del significato urbano.

La costruzione di un concetto e la sua misura
Nel 1910 il Bureau of Census degli Stati Uniti elabora il concetto di “città estesa” da utilizzare per il censimento dei “distretti metropolitani”; esso si applica alle città con più di 200.000 abitanti e ai territori rurali circostanti con una delimitazione che si basa sulle entità amministrative della città e dei centri minori di corona. La definizione del 1910 viene utilizzata fino al 1940 (Berry, Goheen, Goldstein 1968).

Nel Censimento 1950 il Bureau of Census introduce le Standard Metropolitan Areas (SMA), con una modifica della definizione dei confini: ne fanno parte, infatti, una o più contee aventi al loro interno almeno una città di 50.000 abitanti. Altre contee possono essere incluse solo se presentano caratteri metropolitani e hanno una precisa “integrazione economica e sociale” con la città centrale.

Una evoluzione di questo concetto si ha nel 1960, con l’introduzione delle Standard Metropolitan Statistical Areas (SMSA), costituite dal territorio delle contee nelle quali si osservano spostamenti ricorrenti della popolazione per motivi di lavoro. La definizione di SMSA introduce un nuovo fattore nella determinazione delle aree metropolitane, in quanto la misura delle modifiche insediative e comportamentali della popolazione viene fatta derivare dal grado di integrazione, ottenuta attraverso la mobilità, tra contea centrale e contee periferiche. A questo scopo, nella delimitazione delle SMSA rientrano sia le località che presentano domanda di lavoro (in cui vi è concentrazione di lavoro) che quelle che presentano offerta di lavoro (in cui vi è concentrazione di residenza) (AA.VV. 2006). Tra le critiche, quelle maggiori sono incentrate sulla scelta dell’unità amministrativa di riferimento, ossia sulla contea.

Nel 1965 si introduce, sempre negli Stati Uniti, l’uso della Functional Economic Area (FEA); essa rappresenta un bacino di lavoro formato dalla città centrale e dall’insieme dei centri in cui risiede la popolazione che quotidianamente si sposta per andare nel luogo di lavoro che è posto nella città centrale.
È evidente che la determinazione delle FEA è possibile solo in presenza di dati precisi sugli spostamenti per lavoro.
L’evoluzione delle modalità di definizione dell’area metropolitana subisce in questo periodo una accelerazione.

Nel 1965, Friedman e Miller introducono il concetto di campo urbano”: in esso l’area metropolitana non è più una entità fisica ma una rete di flussi e di localizzazioni formata da persone, beni ed informazioni.
Il campo urbano è un sistema di spazi metropolitani e non, con una città centrale di almeno 300.000 abitanti attorno alla quale vi è un’area ampia (fino a 100 miglia o a 2 ore di automobile) che ha lo scopo di tradurre il carattere di continua mutazione della città in un sistema fisico riconoscibile. L’estremo superiore del campo urbano è la città-regione.

È interessante sottolineare il fatto che il concetto di campo urbano assume un forte rilevo nella costruzione del concetto di società post-industriale. Questo per tre motivi:
  1. il territorio diviene una rete di relazioni funzionali che crea un sistema multicentrico il cui limite non è definito dagli spostamenti per motivi di lavoro ma da quelli per scopi ricreativi e per il tempo libero (“sottosistema territoriale della società”);
  2. lo spazio è caratterizzato da insediamenti ad alta densità circondato da insediamenti a bassa densità interconnessi da flussi di beni, persone, informazioni ed energia (“configurazione di densità”);
  3. il territorio presenta usi continuativi (per lavoro, residenza, studio, ecc.) e usi periodici anche estensivi dovuti alle attività ricreative (“ambiente fisico”).
Gli studi condotti in questo periodo riconoscono tutti la questione della mobilità come fattore centrale per il riconoscimento di un sistema metropolitano. 

Berry, Goheen e Goldstein (1968) utilizzano gli spostamenti per lavoro per definire i “campi di pendolarità”, ossia le aree di origine degli spostamenti verso le aree di concentrazione del lavoro. Ciò crea un mercato del lavoro imperniato su una città centrale.
Anche l’intensità degli spostamenti diviene un indicatore per definire le Functional Economic Areas, ossia le sub-aree in cui si può suddividere l’area metropolitana. Il ragionamento si estende fino alla creazione di una regione urbana estesa, definita Consolidated Urban Region (CUR).

Lo stesso Berry, nel 1976, torna a ragionare di aree metropolitane introducendo il concetto di Daily Urban System (DUS), formato da una località centrale e dal sistema delle relazioni funzionali tra essa e le località contigue.

In Europa gli studi sulle aree metropolitane derivano da quelli statunitensi e dalle analisi che negli anni ’60 e ’70 hanno interessato soprattutto il livello regionale, sia dal punto di vista della pianificazione che della programmazione economica; in questo senso l’evoluzione dei concetti di Standard Metropolitan Area e di Daily Urban System sono stati tra i più rilevanti.

Gli studi più approfonditi sono quelli inglesi, e tra gli studiosi inglesi non si possono non ricordare Hall e Hay, che hanno analizzato le SMLA e introdotto le Metropolitan Economic Labour Area (MELA), utilizzate poi in molti paesi europei.

In Italia la prima esperienza di delimitazione delle aree metropolitane risale al 1970, con lo studio di Cafiero e Busca.
Lo studio aveva l’obiettivo di definire le dimensioni territoriali ed economiche della questione metropolitana, individuando le traiettorie evolutive per i decenni successivi. Non venne adottato un preciso metodo statistico per la determinazione delle aree, anche se la struttura logica utilizzata derivava dal concetto di Standard Metropolitan Area (SMA); per questo motivo non vennero incluse analisi relative ai flussi pendolari ma utilizzati indicatori semplici quali la dimensione demografica, il numero di attivi in attività non agricole e la densità territoriale di tali attività.

Secondo Cafiero e Busca (1970) «una migliore rappresentazione si ha considerando la variazione di intensità del fenomeno metropolitano, non adottando un’unica linea geografica perimetrale, ma sostituendo ad essa dei gradienti che delimitino fasce diverse di intensità. Per procedere nell’analisi, il fenomeno metropolitano va scorporato dal più generale contesto del territorio regionale, stabilendo la soglia inferiore dei gradienti per individuare le aree metropolitane. Detta soglia non può essere stabilita in assoluto, in quanto risente del tipo di analisi che si intende condurre. Il problema della delimitazione geografica dell’area ci riconduce, quindi, alla individuazione degli aspetti che si vogliono mettere in evidenza riguardo al complesso fenomeno metropolitano. A monte dei criteri empirici, adottati per la delimitazione delle aree metropolitane, esistono degli schemi concettuali ai quali si sono ispirati gli studiosi e le autorità di censimento per definire le confinazioni».

Bisogna attendere il 1987 per la realizzazione del primo studio italiano che utilizza i flussi pendolari come base per la definizione dei sistemi metropolitani, rilevazione che era stata compiuta per la prima volta nel Censimento Istat del 1981. L’indagine porta alla individuazione di 955 sistemi locali del lavoro associati in 177 regioni funzionali del lavoro (Sforzi 1997). 

Sempre nello stesso periodo un ulteriore filone di indagine propone di utilizzare misure di interazione, basate sulla capacità di individuare le relazioni che creano interdipendenza tra unità territoriali elementari (Vitali 1996; Chelli, Mattioli, Merlini 1991).

Da ricordare anche il contributo che le strutture di ricerca comunitarie stanno dando a questa analisi. L’agenzia statistica dell’Unione Europea, Eurostat, ha messo a punto il concetto di Larger Urban Zone (LUZ) come tentativo di armonizzare le diverse definizioni nazionali di “area metropolitana”: l’obiettivo è delimitare le aree caratterizzate da quote significative di pendolarismo residenziale verso la città. Il concetto di LUZ è anche conosciuto come “regione
funzionale urbana”.

Per Eurostat la rilevazione dei dati urbani interessa tre diversi livelli territoriali: la Larger Urban Zone (LUZ), la città e il subdistretto urbano (SCD). Il livello urbano è il più importante e tale rilevanza, per i responsabili politici e tecnici, deriva dall’uso dei confini amministrativi per definire la gran parte delle politiche urbane.
La Larger Urban Zone (LUZ) permette un confronto tra la città ed i suoi dintorni. L’obiettivo è quello di delineare un’area estesa che presenti quote significative di pendolarismo da e verso la città. Al fine di assicurare una buona disponibilità di dati, Eurostat lavora con i confini amministrativi urbani anche per quanto concerne la caratterizzazione delle LUZ.

Il livello sub-urbano è utilizzato per analizzare le disparità all’interno delle città; per garantire che questi dati possano essere paragonabili sono state assegnate soglie definite di popolazione che vanno da 5.000 a 40.000 abitanti.
Una delle applicazioni della Large Urban Zone analizza le diverse morfologie urbane presenti nel panorama europeo.

Ne deriva una classificazione delle aree urbane (di cui quelle metropolitane sono una partizione) in relazione ai processi di urbanizzazione in atto (EEA 2009, 45) e ai caratteri fondamentali che esse presentano, ossia:
– aree ad urbanizzazione molto rapida;
– aree ad urbanizzazione rapida con popolazione in declino;
– aree ad urbanizzazione compatta con rapido aumento

della popolazione;
– aree ad urbanizzazione rapida a bassa densità;
– aree ad urbanizzazione lenta;
– aree ad urbanizzazione lenta con popolazione in declino

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