La Rockefeller Foundation ha individuato 100 città ritenute
“resilienti”, ovvero capaci di reagire a crisi e disastri traendone
spunti per migliorarsi e crescere. Tra loro c’è anche Roma che entrerà a
far parte di questo prestigioso network internazionale.
di Elena Biscotti
pubblicato su tafter.it l'11 dicembre 2013
“Non si può predire dove o quando la prossima maggiore scossa o rottura per il nostro benessere si manifesterà” dichiara Judith Rodin, presidente della Rockefeller Foundation. Ed è proprio da questa premessa che, in occasione della celebrazione del centenario dell’Istituzione, ha preso il volo la sfida 100 Resilient Cities, una piattaforma virtuale in cui parteciperanno 100 città mondiali – selezionate da sette giudici, fra cui si annovera Bill Clinton – in grado di presentare dei progetti di trasformazione urbana a seguito di cataclismi o rotture economico-sociali.
Con la diffusione della crisi economica, delle nuove tecnologie e della globalizzazione, del fenomeno dell’inurbamento e della crescita demografica, delle catastrofi ambientali ed ecologiche sempre più frequenti, si sta assistendo a una messa in discussione dei paradigmi vigenti sino ad ora, soprattutto per ciò che concerne il rapporto dell’essere umano con l’ambiente che lo circonda e le problematiche a esso connesse.
Non è un caso se temi quali “rigenerazione”,
“pianificazione culturale”, “rinnovamento sociale”, “interculturalità” o
“multiculturalità”, “globalizzazione”, “urbanizzazione”, “innovazione
tecnologica”, “cambiamenti climatici”, “disastri ecologici e ambientali”
sono diventati il fulcro di progetti incentrati sulla risoluzione dei
problemi che colpiscono la collettività, principalmente nell’ottica
della riqualificazione urbanistica e dell’adozione di misure preventivo-attuative nei momenti di crisi.
Ma c’è di più. Il nocciolo della questione si è spostato dalla “sostenibilità” dei progetti di trasformazione urbana alla nascita di una nuova idea: la “resilienza”.
Se “la sostenibilità vuole mettere il mondo in equilibrio, la
resilienza esplora i modi in cui gestire un mondo che non è in
equilibrio”, afferma Andrew Zolli, e cerca di “aiutare
la popolazione, le organizzazioni e i sistemi vulnerabili a resistere e
persino a prosperare in seguito a imprevedibili eventi distruttivi.” La
resilienza è, quindi, “la capacità di rendere le persone, le comunità e i
sistemi più preparati a resistere agli eventi catastrofici – sia
naturali che artificiali – a riprendersi più rapidamente e a emergere
più fortificati da questi urti e sollecitazioni.”
Ci troviamo in
una fase di transizione, una specie di limbo dove si attendono e
auspicano cambiamenti per uscire dalla prigionia di un destino
ineluttabile. Due anime, queste, della resilienza: momento di passaggio
tra la manifestazione di un disastro e l’eventuale apparizione
successiva da un lato, mentre, dall’altro, abilità nell’adozione di
misure deterrenti derivanti dai fallimenti, dalla capacità di
apprendimento dai propri errori per cambiare il corso degli eventi o,
quanto meno, contenerli.
Le città resilienti hanno in comune anche altre caratteristiche: ricambio di capacità che permette di applicare delle alternative per evitare il collasso di un sistema; flessibilità indispensabile per adattarsi alle trasformazioni e affrontare un disastro; fallimento limitato o “sicuro” per effetto del quale si evitano increspature in una struttura; rapida ripresa in grado di ristabilire le funzionalità basilari evitando rotture a lungo termine; apprendimento costante dagli episodi passati abili nel creare un sottofondo di informazioni utili alla realizzazione di soluzioni in panorami di continuo cambiamento.
In tale panorama la Rockefeller Foundation ha inserito la sua iniziativa 100 Resilient Cities
al fine di invogliare e spingere le città a ripensare in modo
strategico la pianificazione, la costruzione e la gestione dei propri
spazi garantendo equità per tutti i cittadini. È una sfida ambiziosa
volta alla creazione di un network mondiale in cui condividere le
conoscenze e i migliori progetti di resilienza già avviati che verterà
su quattro grandi aree: gestione innovativa delle finanze;
tecnologia innovativa; utilizzo delle infrastrutture e del territorio;
resilienza sociale e della collettività.
Ogni città
selezionata riceverà un finanziamento utile ad avviare il programma di
resilienza accanto a quattro tipologie di supporto da parte della
Rockefeller Foundation: sostegno ad assumere e potenziare il Chief Resilience Officer,
coordinatore e supervisore del progetto della città selezionata e punto
di riferimento per le altre città; supporto al Chief Resilience Officer
nello sviluppo del piano di resilienza per individuare le iniziative
esistenti e le priorità, per analizzare i rischi e le opportunità e per
rendere l’iniziativa organica nel suo sviluppo e fruizione; accesso alla
piattaforma condivisa in cui saranno presenti consigli economici,
tecnologici, legislativi, etc.; collegamento ad altri membri della rete
per condividere le attività e i modelli di successo.
Fra le prime città selezionate rientra Roma Capitale con il suo progetto
diretto all’implementazione delle capacità istituzionali e alla
pianificazione di un modello di “cultura della resilienza” fra i
cittadini, le associazioni e le imprese. L’ottica progettuale è suddivisa in tre
aree d’intervento: la protezione del patrimonio artistico-culturale dal
degrado e dalle attività di stress; la liberazione del potenziale del
territorio romano con la messa a punto di servizi ecologici;
l’innovazione delle attività di pianificazione urbana verso una realtà
resiliente. Il tutto retto da tre grandi pilastri: il
processo di partecipazione; la costruzione della scientificità della
globalità del processo; modelli progettuali tesi a sperimentare forme
innovative di resilience-building. Per Roma è un’occasione
unica di valorizzazione intelligente del proprio territorio, delle
proprie risorse e della propria popolazione secondo dettami
internazionali e di ampio respiro dove “non è importante la cifra, ma il
meccanismo che si mette in moto: Roma fa parte ora di questo network
internazionale”, afferma l’Assessore Caudo.
La
resilienza è uno spiraglio aperto al futuro, alla possibilità di
emergere dal limbo giacché “ciò che non ci uccide ci rende più forti.”
Nessun commento :
Posta un commento
Grazie per il tuo commento, iscriviti al blog per ricevere gli aggiornamenti