a cura di Sonia Zarino (architetto, urbanista)

martedì 15 gennaio 2013

Le mille contraddizioni della vicenda italiana: la discussione sulle Aree metropolitane (1995)

di FRANCO PIZZETTI   [Pubblicato sulla rivista: "Arel 1995"] - ( Paragrafi: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 6.1,6.2, 6.3, 6.4, 7, 7.1, 7.2, 7.3, 8.)



1. E' in discussione al Senato della Repubblica il disegno di legge n. 1250, già approvato alla Camera dei Deputati il 20 dicembre 1994, relativo a "Norme per la costituzione delle autorità metropolitane di cui alla legge 8 giugno 1990 n.142". Su questa normativa, però, l'attenzione è stata sinora assai scarsa. Persino nei Congressi Nazionali dell'UPI (1) e dell'ANCI (2) , svoltisi nello scorso mese di ottobre, il dibattito su questa proposta di legge è stato sostanzialmente inesistente. Così come è stato a suo tempo assai scarso l'interesse dei commentatori di fronte al fatto che, malgrado le norme vincolanti contenute nella l. 142, le Città metropolitane non avessero trovato attuazione nei tempi previsti dalla legge. Peraltro, la ricostruzione di questa vicenda e l'esame dei termini nei quali oggi si sta svolgendo la discussione parlamentare possono essere assai utili a capire meglio alcuni aspetti della complessità che caratterizza il "caso italiano" quando ci si trova di fronte a problemi che riguardano le riforme istituzionali ed ordinamentali.

2. Non vi è dubbio che, quando la l. n. 142 del 1990 venne approvata, la previsione relativa alla Città metropolitana fu vista come un'innovazione di assoluto rilievo. Almeno tre furono, infatti, i profili che vennero sottolineati con particolare enfasi:

a) che attraverso le Città metropolitane poteva essere avviata a soluzione la questione della razionalizzazione del governo locale nelle Aree metropolitane;  b) che, insieme alla normativa sulle unioni e le fusioni dei Comuni, la Città metropolitana costituiva una significativa risposta al problema della irrazionale articolazione di un sistema comunale che vede trattati sostanzialmente al medesimo modo i grandi Comuni che hanno centinaia di migliaia di abitanti e i piccolissimi Comuni che hanno poche decine di cittadini;  c) che l'aver attribuito alle Regioni il compito di definire la delimitazione territoriale della Città, stabilendo altresì le eventuali modificazioni da apportare ai confini dei Comuni interni all'area e le competenze comunali da assegnare alla Città metropolitana in aggiunta a quelle già previste dalla legge statale, costituiva un significativo elemento di "regionalizzazione" del sistema di governo locale.

La L 142 prevedeva, peraltro, termini rigidi per l'istituzione delle Città metropolitane, nonché meccanismi sostitutivi a favore del Governo, nel caso in cui le Regioni non fossero state in grado di rispettare i termini previsti. Ed anche questo fu giustamente visto, a suo tempo, come un elemento importante: adottando la tecnica del potere sostitutivo, la legge introduceva infatti un meccanismo sanzionatorio dell'inefficienza delle Regioni e voleva garantirsi dal rischio della sostanziale inattuazione di questa sua parte. Già dopo pochi mesi si capì però che questa parte della l. 142 era destinata a restare di fatto inapplicata (così come altre parti non meno importanti della stessa legge: si pensi in particolare alla normativa relativa all'unione e alla fusione dei Comuni piccoli). Nessuna delle Regioni interessate fu infatti in grado di rispettare i termini previsti e il Governo, invece di applicare le norme relative al suo potere sostitutivo di intervento, procedette con più decreti legge successivi a prorogare i termini previsti dalla l. 142. Anche per questo fenomeno sono state individuate diverse spiegazioni.

In primo luogo, si è detto che il modello adottato dalla legge, quello cioè di un livello di governo individuato attraverso un unico ente al quale vengono assegnate funzioni relative a settori diversi di intervento, è stato esso stesso, nella sua rigidità, un fattore rilevante della resistenza ad attuare questa parte della norma.

In secondo luogo, si è sottolineato che di fronte alle difficoltà delle scelte territoriali da compiere ed alla resistenza posta dai Comuni e dalle Province, le Regioni hanno dovuto fare i conti con la oggettiva debolezza e fragilità della loro classe politica.

In terzo luogo, si è osservato che tutta la prima fase di applicazione della l.142 si è sviluppata mentre erano già in atto i primi segnali del terremoto politico-istituzionale che ha caratterizzato in questi anni il nostro Paese (3).



Il referendum sulla preferenza unica del 1991 e l'imminenza delle elezioni politiche del 1992, insieme alle complesse vicende che, anche per gli interventi del Presidente Cossiga, caratterizzarono, infatti i primi due anni di vigenza della legge, concorrendo a creare nel Pese un clima di obbiettiva tensione all'interno della classe politica dell'epoca.

Il che indubbiamente può aiutare a spiegare il fatto che larga parte di quella normativa, e comunque, per quanto qui ci interessa, certamente quella riguardante le Città metropolitane, non abbia trovato alcuna attuazione, neppure in ordine alla pura e semplice definizione degli ambiti territoriali.

Non è difficile, dunque, spiegarsi perché quando scadde l'anno previsto dall'art.17 della l.142 come termine per la delimitazione di ciascuna area si dovette constatare che nessuna Regione era stata in grado di adempiere. Più interessante è, piuttosto, chiedersi perché il problema delle Città metropolitane sia entrato così rapidamente in un "cono d'ombra", dal quale, malgrado le iniziative legislative oggi in discussione, pare non essere ancora uscito.

3. Come in altra sede si è cercato di dimostrare (4), la crisi italiana è stata caratterizzata, almeno nel periodo che va dalle elezioni del 1992 allo scioglimento del Parlamento nel 1994, dal concorrere di tre diverse prospettive di riforma: la prima si incentrò intorno alla Commissione bicamerale per le riforme istituzionali; la seconda si sviluppò, invece, intorno alle modifiche elettorali, da ottenere in via di riforma legislativa (per i Comuni e per le Province), in via referendaria (e solo poi legislativa) per Camera e Senato; la terza, infine, puntò sulla concessione al Governo di quattro deleghe finalizzate a riformare settori rilevanti dell'ordinamento quali il sistema sanitario, fiscale, scolastico e quello del pubblico impiego. In questo complesso quadro, che vide sconfitta la strategia delle riforme istituzionali e vincente, invece, quella del mutamento del sistema politico attraverso la modifica delle leggi elettorali, il sistema degli enti locali non fu preso in considerazione se non per la parte relativa al nuovo sistema elettorale dei Sindaci e dei Presidenti di Provincia. In altri termini, i problemi di attuazione della l.142, che pure già si erano manifestati, furono del tutto trascurati perché comunque estranei a ciascuna delle linee strategiche di riforma che in quel periodo si confrontavano. Ne è prova, del resto, il fatto che la l.81 del 1993 lasciò sostanzialmente immodificata la distribuzione dei poteri fra gli organi dei Comuni e delle Province e non toccò affatto gli aspetti organizzatori relativi ai rapporti fra questi enti. La sola previsione relativa a strutture organizzative diverse dai Comuni e dalle Province fu quella relativa alla remissione ai Consigli comunali del compito di definire i sistemi elettorali delle Circoscrizioni: ma, appunto, anche questa fu un'innovazione normativa riguardante il tema dei sistemi elettorali e non già quello della riorganizzazione del governo locale.  Né peraltro sarebbe persuasivo dire, a giustificazione di questo fenomeno, che in fondo l'ordinamento locale era appena stato innovato e che era dunque logico che se ne rimettesse in discussione solo quella parte immediatamente collegata con l'obbiettivo di mutare il sistema politico attraverso il cambiamento del sistema elettorale. Questa spiegazione appare infatti assolutamente debole perché, come si é detto, si erano già palesemente manifestate le difficoltà di applicare la 142 in parti importanti, quali appunto la Città metropolitana. Né si può ignorare che questa questione non fu affrontata nemmeno nel quadro della terza strategia riformatrice: quella che, come si è detto, consistette nell'attribuire al Governo ampie deleghe legislative per il riordino di ampi settori, fu affrontata . Nell'ambito delle quattro deleghe date al Governo Amato nel 1992, infatti, fu riformata in modo significativo la finanza locale (con l'introduzione dell'ICI) ma non fu affrontata (né forse avrebbe potuto esserlo) la più ampia questione dell'attuazione complessiva della l.142. Certamente più incisiva fu, rispetto al sistema del governo locale e alla posizione delle Regioni, l'azione del Governo Ciampi, soprattutto attraverso le iniziative assunte dai Ministri Cassese e Paladin. Tuttavia nemmeno questo Governo che pure, mentre da un lato garantiva che il Parlamento potesse approvare le nuove leggi elettorali, dall'altro sviluppava in modo assai rilevante la strategia delle riforme per decreto delegato già inaugurata dal precedente Esecutivo Amato, ritenne di occuparsi della questione dell'inattuazione della l. 142 per le parti che qui interessano. In quel periodo, infatti, il sistema di governo locale, e specificamente quello incentrato intorno ai grandi Comuni, fu oggettivamente interessato soprattutto dal problema della rimozione del ceto politico uscito dalle elezioni del 1990. A caratterizzare quella fase fu, fondamentalmente, la questione di individuare una nuova classe politica locale attraverso l'applicazione della l. n. 81 del 1993 (5) .Tra la primavera del 1993 e quella del 1994 si rinnovarono infatti i Comuni di tutte le grandi Città definite dalla l.142 come Aree metropolitane, eccezione fatta per Bologna (che pure cambierà il suo Sindaco, ma non, come accadde per gli altri grandi Comuni, attraverso lo scioglimento del Consiglio e il ricorso alle urne ) e Firenze.

4. Con le elezioni del marzo 1994 comincia la nuova legislatura. Ed inizia anche una nuova fase di quel processo di transizione che è tuttora ben lontano dall'essere concluso. Come si ricorderà, nell'ambito del Governo Berlusconi, su specifica pressione della Lega, si cerca di riproporre la strategia delle riforme istituzionali e ordinamentali (6) .  

Per certi aspetti la "questione costituzionale" diventa, con quel Governo, assolutamente centrale, tanto da spingere Don Giuseppe Dossetti a chiamare a raccolta contro il rischio di rotture non solo della legalità costituzionale ma della legittimità stessa del nostro ordinamento democratico (7) .

Per altri aspetti, invece, il Governo Berlusconi si dimostrerà del tutto inadeguato, anche perché, dopo aver preteso di fare delle riforme costituzionali una "questione di governo", cadrà fra l'altro proprio per l'incapacità di trovare un punto di accordo intorno alla questione della riforma regionale e della nuova legge elettorale per le Regioni (8) .

Occorre peraltro sottolineare che, istituito nell'ambito del Governo il "Comitato di studio per le riforme istituzionali, elettorali e costituzionali" (noto come Commissione Speroni), la discussione, in quella sede, si sviluppò secondo linee piuttosto complesse da definire ma certamente senza dare alcuna attenzione al tema della riforma del governo locale, e soprattutto, dell'inattuazione della l. 142 per la parte che qui interessa. E' ben vero che l'ambizione di quel Comitato era di predisporre un testo di riforma della Costituzione: tuttavia merita sottolineare che, mentre il tema della collocazione costituzionale dei Comuni e delle Province, soprattutto con riferimento ai poteri e al ruolo delle Regioni, occupa una parte significativa della proposta finale, presentata al Consiglio dei Ministri il 21 dicembre 1994, nessuna significativa attenzione pare essere stata data al tema della inattuazione del sistema di governo locale esistente.

Nell'ambito della stessa esperienza di Governo fu peraltro creata anche la cosiddetta Commissione Maroni, o meglio un "Comitato di studio per la riforma delle Regioni e delle autonomie locali", istituito presso il Ministero degli Interni nel luglio del 1994. La Commissione Maroni prese in esame a fondo tutta la tematica relativa alla l.142, assumendo proprio i problemi connessi con l'attuazione (o l'inattuazione) di questa legge come il punto di partenza per una riflessione a tutto campo sui rapporti fra Stato, Regioni e sistema delle Autonomie Locali (9). Questa Commissione e soprattutto la Sottocommissione "Ordinamento", si pose, fra gli altri, il problema dell'inattuazione della l.142 in materia di Aree Metropolitane. Essa, anche sulla scia di un'esperienza già in atto nel Comune di Bologna (10 ), stava sviluppando una serie di ipotesi finalizzate a definire una articolata proposta da presentare al Governo, quando, prima che i lavori fossero conclusi e comunque prima che la Sottocommissione Ordinamento, accelerando i tempi previsti a causa dell'imminente crisi di governo, presentasse, in data 20 dicembre 1994, una prima Relazione (11) , furono depositatati alla Camera dei Deputati due diversi disegni di legge sulla materia delle Aree Metropolitane, l'uno a iniziativa Vito ed altri, n. 1436, e un altro a iniziativa Novelli ed altri, n. 1444. Entrambi questi progetti, peraltro, avevano essenzialmente l'obbiettivo di garantire comunque tempi certi per istituzione dei nuovi enti, anche tenendo conto dell'imminenza delle nuove elezioni amministrative che si sarebbero tenute improrogabilmente entro la primavera del 1995. In ogni caso, questo fatto costrinse ovviamente la Commissione Maroni e soprattutto la Sottocommissione Ordinamento, che pure si accingeva a redigere la sua Relazione, a prendere in esame questi progetti e sottolineare le caratteristiche differenziali fra queste due proposte e quella sulla quale la Sottocommissione stessa aveva lavorato fino a quel momento. In sostanza, mentre la Commissione Speroni discuteva di riforme istituzionali secondo un progetto che poi non fu in grado di condurre a termine, e mentre la Commissione Maroni cercava di inserire le proposte di revisione della normativa sulla Città metropolitana in un progetto organico di riordino del sistema locale, intervenivano ben due proposte di legge che imponevano di considerare la questione delle Aree Metropolitane come un problema a sé stante. Si può dire, allora, che nel recente passato, almeno per questa parte, l'inattuazione della L.142 si è comunque imposta anche come un problema a sé stante, tale da obbligare sia la Commissione Maroni, prima, sia il Parlamento, poi, ad occuparsene specificamente. Il che non toglie che si possa sottolineare anche il fatto che in ogni caso i due progetti di legge presentati apparivano oggettivamente molto limitate nei loro obbiettivi.

5. La proposta Novelli confluì poi, di fatto, in quella Vito, che costituisce comunque il testo base del disegno di legge poi approvato dalla Camera. Come si è detto, peraltro, questo progetto aveva la caratteristica di essere articolato intorno ad alcuni pochi punti, finalizzati tutti a prevedere tempi e modi certi per l'istituzione della Città metropolitana sulla base di una puntuale, quanto formale, attuazione della l. 142.

Esso prevedeva infatti: a) che le Regioni dovessero procedere alla delimitazione territoriale delle Aree metropolitane, sentiti i Comuni e le Province interessate, entro il 31 luglio 1996; b) che in caso di inadempienza delle Regioni il Governo dovesse provvedere con decreto legislativo entro il 15 dicembre 1996; c) che se neppure il Governo avesse provveduto nei termini indicati, allora la delimitazione delle Aree metropolitane avrebbe comunque dovuto coincidere con il territorio delle Province interessate. Stabiliva inoltre tempi certi entro i quali le Regioni potevano procedere al riparto delle funzioni amministrative fra Città metropolitana e Comuni (il 31 luglio 1996) e al riordino delle circoscrizioni territoriali dei Comuni interni all'area ( il 31 dicembre 1996). Nel caso di inadempienza delle Regioni poteva provvedere il Governo emanando un decreto delegato per la ripartizione delle funzioni entro il 31 dicembre 1996 e un altro decreto per il riordino degli ambiti territoriali entro il 31 marzo 1997. Lo scopo del disegno di legge era dichiaratamente quello di garantire che comunque entro il 1997 le Città metropolitane potessero entrare in funzione cosicché allo scadere dei sindaci eletti nel 1993 fosse possibile procedere comunque all'elezione del sindaco metropolitano e, in ogni caso, potessero essere già fissati i termini dell'introduzione delle Città metropolitane prima delle elezioni della primavera del 1995. La proposta in questione suscitò peraltro più di una contrarietà.  Un primo, contingente ma non marginale, elemento di critica fu subito individuato nel fatto che quella proposta, presentata prima delle elezioni amministrative previste per la primavera del 1995, se approvata, avrebbe obbligato le nuove amministrazioni che stavano per essere elette a durare solo tre anni, ovvero in alternativa, a restare in carica ancora un anno dopo l'istituzione delle nuove Città metropolitane (12).

L'obiezione più forte fu però quella avanzata da chi sottolineò subito che questa proposta si limitava a cercare di individuare termini certi per la attuazione della l. 142, come se la mancata attuazione di quella normativa fosse dovuta soltanto alla carenza di sufficienti automatismi e non al fatto che, come molti ormai credevano, era il meccanismo istituzionale stesso previsto dalla legge ad aver provocato il fenomeno che si voleva superare. In altri termini vi fu chi, a cominciare dalla Commissione Maroni, sottolineò che il progetto di legge Vito ( ma anche quello Novelli) era troppo rigido proprio perché non consentiva alcuna flessibilità nella forma organizzatoria della Città metropolitana (13).  Peraltro, malgrado le critiche e i dissensi, la proposta, nel suo testo originario, venne comunque approvata dalla Camera dei Deputati il 20 dicembre 1994 (14).

6. Svoltesi le consultazioni elettorali della primavera del 1995, il dibattito sulle modalità attraverso cui garantire l'attuazione della Città metropolitana è ripreso in Senato. Ed è proprio sull'obbiettivo di individuare nuove e più articolate forme organizzatorie per il governo delle Aree metropolitane che si è subito sviluppata la discussione. A seguito dell'approfondimento sviluppatosi al suo interno, la I Commissione permanente Affari Costituzionali del Senato, relatore il sen. Villone, ha ora elaborato un testo che si discosta in misura assai rilevante da quello approvato alla Camera dei deputati sulla falsariga del progetto Vito (e sostanzialmente anche di quello Novelli).

6.1. Nel testo profondamente "nuovo" della Commissione del Senato è ora previsto che "presso le Province interessate, secondo quanto disposto dall'art. 17 della l. 142, alle Aree metropolitane", siano "istituite Conferenze metropolitane, composte dal presidente della Provincia e dai sindaci dei Comuni compresi nella Provincia". E' previsto peraltro anche che questo organismo sia "elastico" per quanto riguarda la sua composizione e la sua area di influenza.  Alla Conferenza possono partecipare, infatti, "previa deliberazione dei singoli Consigli", anche "altri Comuni e Province il cui territorio sia finitimo con quello dei Comuni in essa rappresentati", mentre, per altro verso "i Comuni e le Province partecipanti, ad eccezione dei Comuni capoluogo e delle relative Province, possono recedere dalla Conferenza previa deliberazione dei rispettivi Consigli". La Conferenza inoltre si incardina sostanzialmente sulla dimensione Provinciale: è previsto infatti che "la prima seduta è convocata di intesa dal presidente della Provincia e dal sindaco del Comune capoluogo", ma è stabilito anche che essa "è presieduta dal presidente della Provincia". Peraltro il presidente della Provincia non è il presidente "necessario" della Conferenza giacché questa "nella prima seduta procede immediatamente all'elezione, nel proprio seno, a scrutinio segreto e con voto limitato ad uno, di un presidente e di un vicepresidente."  Per quanto riguarda le modalità di voto la Conferenza metropolitana decide a maggioranza semplice ma "comunque con il voto favorevole di tanti sindaci che rappresentino la maggioranza dei cittadini residenti nei Comuni partecipanti alla Conferenza". Sulla base delle sue competenze la Conferenza:

a) innanzitutto procede alla delimitazione dell'area metropolitana, se non già definita; b) in secondo luogo "formula proposte per la elaborazione di politiche di area vasta e adotta atti di indirizzo per il coordinamento delle politiche di rilievo metropolitano"; c) in terzo luogo, "esercita ogni altra funzione che sia ad essa demandata da convenzioni o accordi tra singoli enti compresi nell'area metropolitana o da disposizioni di legge regionale"; d) in quarto luogo, infine, "può adottare norme per il proprio funzionamento e deliberare l'istituzione, a tal fine, di comitati tecnici composti da funzionari dei vari enti e, sulla base di convenzioni, di uffici comuni".

Per quanto riguarda poi la delimitazione delle Aree metropolitane, fermo restando che questa è una competenza specifica della Conferenza, il testo del Senato stabilisce che questa deve deliberare "entro centottanta giorni dalla prima seduta"; decorso inutilmente tale termine, "entro i successivi sessanta giorni la Regione delimita con legge l'area metropolitana, sentiti i Comuni e le Province interessate"; decorso inutilmente anche questo termine, "l'area metropolitana rimane delimitata in coincidenza col territorio delle Province". Resta così sostanzialmente fermo lo schema Vito-Novelli, nella parte in cui prevede comunque che, ove a ciò non si sia provveduto nei modi e nei termini altrimenti indicati, scatti un preciso automatismo nella delimitazione dell'area metropolitana.  La definizione territoriale è peraltro fondamentale nello schema del testo della Commissione del Senato perché "delimitata l'area metropolitana, sono in ogni caso svolte esclusivamente a livello metropolitano le seguenti funzioni:

a) pianificazione territoriale dell'area metropolitana; b) realizzazione e gestione di reti di servizi di trasporto di interesse metropolitano; c) coordinamento dei piani-traffico comunali; d) rilevamento dell'inquinamento atmosferico; e) programmazione e gestione di interventi di tutela idrogeologica; f) raccolta, distribuzione, depurazione delle acque; g) formazione e gestione di un piano metropolitano di smaltimento dei rifiuti; h) pianificazione commerciale della grande distribuzione; i) coordinamento e programmazione delle attività culturali; l) funzioni dei sindaci ai sensi dell’art. 36, comma 3 della l. 142 (le funzioni in ordine all'orario dei negozi, N.d.R.)".

Sempre secondo il testo della Commissione del Senato, spetta poi alla Regione determinare con legge, nelle materie precedentemente indicate nonché in materia di " a) tutela e valorizzazione dei beni culturali e dell'ambiente; b) di servizi di area vasta nei settori della sanità, della scuola e della formazione professionale e degli altri sevizi urbani di livello metropolitano", le ulteriori funzioni tra quelle esercitate a livello regionale o comunale, che devono invece essere esercitate a livello metropolitano. Le funzioni assegnate alla Conferenza dalla legge statale (ove cioè fosse approvato il testo della Commissione del Senato che conferisce direttamente le funzioni sopra indicate alla Conferenza) e quelle ad essa attribuite dalla legge regionale (in applicazione di quanto detto nel precedente capoverso) "si svolgono in modo coordinato attraverso accordi di programma, conferenze di servizi, istituzione di uffici e di strutture Comuni, o nei modi previsti dall'art. 22 della l. 142. La Conferenza metropolitana delibera per ciascuna funzione le modalità di esercizio, che possono essere diverse, ed applicarsi in territori differenziati, in ragione delle peculiarità territoriali ed economiche, nonché della natura e qualità dei servizi riferibili alle diverse parti del territorio".

Tuttavia ove sia decorso un periodo di tempo stabilito dalla legge in centottanta giorni dalla delimitazione dell'area metropolitana senza che la Conferenza abbia provveduto, allora le modalità di esercizio delle funzioni "possono essere definite con legge regionale, anche prevedendo forme associative obbligatorie tra i Comuni interessati, o attribuendo le funzioni alla Provincia e disciplinando i relativi procedimenti con la garanzia della partecipazione dei Comuni". Merita infine di essere sottolineato il fatto che nel testo del Senato è esplicitamente dichiarato che " resta comunque escluso l'esercizio diretto delle funzioni medesime da parte delle Regioni".

6.2. Per quanto riguarda poi il riordino territoriale, il testo della Commissione del Senato dispone che "la Conferenza metropolitana....può avanzare proposte di riordino delle circoscrizioni territoriali dei Comuni inclusi nell'area metropolitana. Le proposte possono prevedere la istituzione di nuovi Comuni per scorporo dalle Aree di intensa urbanizzazione o per fusione di Comuni contigui, nonché l'istituzione di unioni di Comuni, anche in deroga ai limiti stabiliti dall'art. 26 (della l.142, N.d.R.), tenendo conto del grado di autonomia, di organizzazione e di funzionalità dei Comuni stessi, così da assicurare il pieno esercizio delle funzioni comunali, la razionale utilizzazione dei servizi, la responsabile partecipazione dei cittadini nonché un equilibrato rapporto fra dimensioni territoriali e demografiche".  E' stabilito inoltre che "le proposte vengono sottoposte a referendum popolare nei Comuni direttamente interessati dalle singole proposte. Qualora le proposte di scorporo, di fusione o di unione vengano approvate dalla maggioranza degli aventi diritto al voto in ogni Comune interessato da ciascuna proposta, la Regione procede con legge entro i successivi sessanta giorni al riordino territoriale." "Ai nuovi Comuni sono trasferiti dai Comuni preesistenti, in proporzione agli abitanti e al territorio, risorse e personale nonché adeguati beni strumentali immobili e mobili".  Infine: "se uno o più Comuni inclusi nell'area metropolitana ricadono nel territori di una Comunità montana, la Regione procede con legge ad una nuova delimitazione della Comunità montana, escludendo i Comuni medesimi".

6.3. Il testo della Commissione del Senato prevede poi anche l'eventuale trasformazione della Conferenza metropolitana in Città metropolitana. L'istituzione della Città metropolitana, peraltro, può avvenire in due modi diversi.  "La Conferenza metropolitana può proporre, a maggioranza dei due terzi dei componenti e con il voto favorevole di tanti sindaci che rappresentino almeno la metà più uno dei cittadini residenti nell'area metropolitana, l'istituzione nella medesima area della Città metropolitana." Tuttavia "in mancanza di una proposta avanzata entro diciotto mesi dalla Conferenza, la Regione può proporre, con deliberazione del Consiglio regionale, l'istituzione della Città metropolitana. In tal caso la proposta deve essere corredata dal parere favorevole espresso con deliberazione del Consiglio comunale da due terzi dei Comuni dell'area metropolitana, e comunque da tanti Consigli comunali che rappresentino almeno la metà più uno dei cittadini residenti nell'area medesima". In ogni caso "la Città metropolitana è istituita con legge della Repubblica". Una volta che sia stata istituita, alla Città metropolitana si applicano le norme previste per le Province e i suoi organi sono quelli già oggi previsti dalla l. 142. Tuttavia alla Città metropolitana "spettano, oltre alle funzioni di competenza Provinciale, le funzioni di livello metropolitano", già precedentemente indicate come proprie della Conferenza metropolitana. Inoltre "alla Città metropolitana competono le tasse, le tariffe e i contributi sui servizi ad essa attribuiti". Con l'istituzione della Città metropolitana "ai Comuni restano le funzioni comunali non attribuite espressamente alla Città metropolitana", mentre "la Conferenza metropolitana è soppressa, salvo che lo statuto della Città metropolitana non disponga diversamente". Ancora: "Quando l'area (...) non coincida con il territorio di una Provincia, si procede alla nuova delimitazione delle circoscrizioni Provinciali esistenti, considerando l'area come il territorio di una nuova Provincia (…). Nel caso di coincidenza tra l'area e il territorio di una Provincia, questa si configura come autorità metropolitana, con specifica potestà statutaria ed assume la denominazione di Città metropolitana".

6.4. Per quanto riguarda poi la fase transitoria, il testo predisposto dal Senato prevede che nel caso di istituzione della Città metropolitana:

"a) gli organi elettivi della Città metropolitana sono eletti alla scadenza del mandato degli organi elettivi dei Comuni capoluogo di Provincia inclusi in ciascuna area metropolitana, in carica alla entrata in vigore dei decreti legislativi relativi alla costituzione della Città metropolitana;

b) contestualmente si procede al rinnovo degli organi elettivi di tutti i Comuni dell'area metropolitana, sulla base delle nuove circoscrizioni territoriali;

c) il mandato degli organi elettivi delle Province il cui capoluogo è incluso nel territorio delle Aree metropolitane scade con la prima elezione degli organi della Città metropolitana".

In ordine, poi, alla Conferenza metropolitana, per la fase transitoria è previsto che "la prima seduta della Conferenza metropolitana è convocata per una data compresa nei trenta giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge; qualora, prima della data di entrata in vigore della presente legge, l'individuazione dell'area metropolitana sia stata già effettuata, sentite le popolazioni interessate, con legge regionale vigente alla predetta data o con deliberazione valida ed efficace del Consiglio regionale, la legge o deliberazione vale come istituzione della Città metropolitana".



7. Come si vede, il testo elaborato dalla prima Commissione del Senato è profondissimamente diverso da quelli presentati dagli on. Vito e Novelli, e anche da quello, sostanzialmente identico, approvato dalla Camera dei deputati il 20 dicembre del 1994.

E' del tutto evidente che nelle modifiche introdotte si riflettono le critiche a suo tempo avanzate da molte parti e specificamente formulate, in forma ufficiale, già nella prima redazione delle conclusioni presentate dalla

Sottocommissione Ordinamento in sede di Commissione Maroni (15).

E' altresì evidente che il testo della prima Commissione del Senato risente in maniera assai significativa anche delle critiche formulate alla linea adottata dalla l. 142 che vede l'entificazione come unica forma possibile di governo metropolitano, e dell'esperienza, su questo piano assai rilevante, compiuta nell’area metropolitana di Bologna (16). Tuttavia non si può negare che anche questo testo offre il fianco a più di una critica.

7.1. Un primo gruppo di critiche tocca aspetti fra loro diversi ma sostanzialmente connessi.

a) Una prima sottolineatura critica può riguardare il fatto che il testo licenziato dalla prima Commissione del Senato, pur prendendo formalmente le mosse dal progetto già approvato dalla Camera, sviluppa un disegno riformatore assai ampio, che va molto al di là delle semplici modificazioni procedurali e di tempo previste in quell'articolato.  Può essere ragionevole dunque chiedersi se a questo punto, e volendo operare a un tale livello di innovazione, non sia più opportuno procedere dichiaratamente a una totale riscrittura del Capo IV della l. 142. L'eventuale sostituzione del Capo IV, che alcuni considerano come la via migliore per riformare questa parte della legge (17), potrebbe essere inoltre raccomandabile proprio per evidenziare a fondo le innovazioni introdotte e per consentire una discussione più chiara fra le diverse opzioni possibili.

b) Una seconda osservazione critica può essere rivolta al fatto che le modifiche proposte, mentre individuano in modo accettabile le modalità di delimitazione dell'area, introducendo meccanismi sanzionatori dell'inefficienza a provvedere da parte dei diversi soggetti di volta in volta coinvolti, lasciano poi del tutto aleatoria e sostanzialmente facoltativa la trasformazione della Conferenza metropolitana nella Città metropolitana vera e propria. Va in particolare sottolineato che è sufficiente l'inerzia della Conferenza metropolitana e della Regione perché la Città metropolitana non venga istituita. Soprattutto questa seconda critica appare fondata. L'impostazione adottata lascia infatti molto perplessi proprio perché non configura la Conferenza metropolitana come una fase transitoria, destinata comunque a sboccare nell'istituzione di un nuovo ente territoriale che si realizzi come un nuovo e più razionale livello di governo. In questo modo nel sistema delineato dalla prima Commissione del Senato vi è una evidente bivalenza di disegni e di prospettive che vengono presentate come fra loro compatibili ma che, specialmente se destinate a coesistere l'una accanto all'altra, implicano una potenziale "duplicità" (e una sostanziale inevitabile complessità) del sistema di governo delle Aree metropolitane nel nostro Paese. Questo ragionamento è rafforzato poi dalla constatazione che nel testo del Senato le funzioni assegnate alla Conferenza metropolitana da un lato, alla Città metropolitana dall'altro, sono definite dalla stessa legge statale attraverso l'individuazione di una sorta di "nucleo indefettibile" (18) di funzioni che ad esse, vengono comunque essere attribuite.

Analogamente, per quanto riguarda le funzioni eventualmente assegnate o trasferite dalle Regioni, il testo del Senato tende ad individuare vincoli e criteri uniformi che devono essere rispettati sia con riferimento alla Conferenza che alla Città metropolitana, dall'altro. Coesiste così una singolare omogeneizzazione delle funzioni delle due diverse figure organizzatorie; il che è in evidente contrasto con la pura eventualità e facoltatività della scelta che, nel processo di organizzazione dell'area metropolitana, può essere compiuta fra queste due diverse figure.  Quello che si vuol dire, in sostanza, è che si potrebbe anche comprendere che Conferenza metropolitana e Città metropolitana possano coesistere "all'interno dell'ordinamento italiano" come modelli organizzatori diversi, entrambi dotati di una propria intrinseca razionalità e entrambi finalizzati a consentire più duttilità nella forma di organizzazione del governo dell'area metropolitana. Una simile prospettiva, tuttavia, risulta del tutto contraddittoria rispetto alla pretesa di definire in modo sostanzialmente rigido l'ambito e le funzioni dell'uno e dell'altro modello, nonché le rispettive modalità di reperimento delle risorse. In questo modo infatti la potenziale ricchezza e la duttilità derivante dalla compresenza di diversi possibili modelli organizzativi sono ampiamente compromesse dal fatto che essi sono poi rinchiusi in schemi rigidi per quanto riguarda le loro funzioni e i loro poteri.

 Pare giusto chiedere che si compia invece una scelta netta e chiara fra due diverse opzioni possibili:

a) favorire la compresenza di modelli organizzativi diversi, individuando modalità di allocazione delle funzioni e di definizione dei poteri tali per cui a modelli diversi possano corrispondere attribuzioni di funzioni ed esercizio di poteri sostanzialmente differenti. In questo caso assume particolare importanza stabilire in che modo e a chi spetti di assumere le decisioni relative alla scelta fra l'uno e l'altro e alla definizione delle funzioni che in concreto e caso per caso devono essere assegnate alla struttura organizzativa adottata;

b) considerare, invece, come necessario un elemento di rigidità nella individuazione dei modelli organizzativi e delle funzioni loro assegnate, da realizzarsi, come fa appunto il testo del Senato, attraverso l'indicazione puntuale delle funzioni stesse nonché dei criteri secondo i quali ulteriori funzioni sono trasferibili da parte delle Regioni. In questo secondo caso, però, proprio perché indica volutamente la via di una struttura sostanzialmente rigida, si ha anche l'onere di definire meglio i rapporti che sussistono tra l'uno e l'altro dei due modelli concretamente proposti, e le ragioni di fondo che possono consentire il mantenimento dell'uno (la Conferenza metropolitana) oppure giustificare, o addirittura imporre, il passaggio, legislativamente determinato all'altro (cioè alla Città metropolitana).

Sarebbe opportuno, in sostanza, che il legislatore chiarisse se intende apprestare soltanto schemi organizzativi possibili ma anche ampiamente derogabili, oppure se intende, invece, definire forme legislativamente individuate e coerenti con una ratio legislativamente definita.

In questo secondo caso, poi, il legislatore ha anche l'onere di definire i rapporti tra l'uno e l'altro modello, chiarendo se essi sono potenzialmente coesistenti o se invece l'uno rappresenta normalmente soltanto una fase di transizione verso l'altro.

Da questo punto di vista il testo della prima Commissione del Senato lascia dubbi rilevanti. Appare piuttosto singolare che, mentre il passaggio dall'uno all'altro modello è previsto come "naturale" (giacché non si afferma affatto che la compresenza dei due possibili modelli sia un aspetto intrinseco della scelta strategica proposta), esso è poi disciplinato in modo da essere del tutto facoltativo e, quindi, sostanzialmente eventuale.

Per altro è pacifico che se anche si scegliesse la via della Conferenza metropolitana come prima fase di un processo destinato a concludersi nell'istituzione della Città, ben potrebbero sussistere casi nei quali questo processo potrebbe incontrare difficoltà tali da rendere necessario dilazionarne e procrastinarne nel tempo il completamento. Tuttavia, se ci si vuole collocare nella logica dei modelli predeterminati (e quindi della strategia procedurale), a questa eventualità si potrebbe ovviare consentendo alla Conferenza metropolitana di dichiarare positivamente, e con esplicita deliberazione, la rinuncia a istituire la Città metropolitana e il conseguente esercizio delle funzioni a questa assegnate dalle leggi attraverso la sola Conferenza metropolitana. Si potrebbe poi prevedere che una tale delibera abbia un effetto soltanto dilatorio, ovvero, al contrario, che operi a tempo indeterminato. In questo secondo caso sarebbe evidentemente possibile rinunciare di fatto, e permanentemente, al passaggio dall'una all'altra forma organizzativa.

Una scelta legislativa di questo genere, peraltro, sarebbe comunque assai diversa da quella compiuta oggi dal testo della prima Commissione del Senato: essa infatti affermerebbe esplicitamente che il modello-base è dato dal processo di formazione della Conferenza metropolitana e dal successivo passaggio all istituzione della Città e renderebbe, inoltre, del tutto definiti i casi, i modi, le forme ricorrendo i quali è possibile rinunciare al completamento di questo processo. La conseguenza sarebbe che in questo modo si affermerebbe la contemporanea presenza di modelli diversi all'interno del nostro ordinamento risponde a esigenze "strutturali e non a volontà "casuali"".

7.2. Quanto sin qui osservato apre la via a un secondo gruppo di critiche di maggiore spessore sostanziale.  Dietro le ambiguità e ambivalenze sottolineate stanno, infatti, problemi di fondo relativi appunto all'obbiettivo che si vuol perseguire nell'intervenire sulle modalità di governo dell'area metropolitana.

Se, come si è ricordato, secondo alcuni il difetto principale della normativa contenuta nella l. 142 consisteva nella rigidità del modello predisposto, ora si può dire che la fragilità delle proposte in discussione consiste, invece, proprio nella compresenza di modelli differenziati, tra loro oggettivamente incoerenti, salvo che li si concepisca come fasi diverse di un unico procedimento di instaurazione di una nuova forma di governo locale, consistente appunto nella Città metropolitana; col che però è evidente che si potrebbe ricadere proprio nella critica di eccessiva schematicità già avanzata a suo tempo nei confronti della rigidità della l.142. E' necessario dunque porsi con grande franchezza il seguente interrogativo: la oggettiva complessità della normativa proposta e la compresenza in essa di modelli diversi corrisponde a un disegno definito o, invece, all'impossibilità di individuare una strategia chiara ed univoca?  In realtà l'esame complessivo della normativa sinora elaborata conduce piuttosto alla seconda conclusione. Non siamo, infatti, in presenza di un disegno finalizzato a consentire un'oggettiva elasticità di modelli ciascuno dei quali utile per risolvere, secondo differenti modalità, problemi fra loro diversi e chiaramente individuati nella loro specificità.  Siamo al contrario di fronte a una normativa che sembra piuttosto voler lasciare aperte opzioni organizzative diverse, nell'oggettiva incertezza di quale debba essere il ruolo che le Aree metropolitane devono svolgere in Italia.  Né sarebbe persuasivo dire che anche in altri Paesi coesistono modelli di governo delle Aree metropolitane fra loro profondamente diversi. Una osservazione di questo genere concorre caso mai a provare la validità della critica qui avanzata. Nei Paesi in cui questo accade, infatti, proprio l'esigenza di rispondere a problemi differenti, e precisamente individuati, giustifica la contemporanea esistenza di modelli diversi (19). Nel caso italiano, invece, la formulazione di ipotesi differenti coesiste con l' evidente volontà di sottolineare le eguaglianze, almeno nella individuazione di un nucleo definito di funzioni e di criteri specifici per l'attribuzione di ulteriori funzioni da parte delle Regioni. Tutto questo contrasta evidentemente con la prospettiva, che pure avrebbe potuto essere teorizzabile, di voler puntare su meccanismi organizzativi elastici, per consentire a ciascun "sistema metropolitano" di stabilire al tempo stesso sia il modello organizzativo più idoneo alle proprie esigenze che le funzioni che da questo devono essere esercitate .  Occorre allora che ci chiediamo quali siano le ragioni della difficoltà italiana di definire uno scenario adeguato e persuasivo rispetto al problema, da tutti riconosciuto come esistente, del governo delle Aree metropolitane.

7.3. La risposta a questo interrogativo non può essere né univoca né semplice. Entrano in gioco, infatti, molti fattori diversi, alcuni dei quali peraltro legati specificamente alla complessità oggettiva dei problemi di governo delle Aree metropolitane.  In primo luogo, non è facile risolvere il conflitto fra una potenziale logica "funzionalista", secondo la quale ciascuna funzione dovrebbe essere esercitata al livello territoriale più adatto, anche a costo di moltiplicare le strutture organizzative secondo ambiti territoriali e funzionali diversi; e una logica "strutturalista" che, in modo esattamente contrapposto, privilegia invece l'individuazione di un unico ambito territoriale di dimensione metropolitana, anche scontando che esso possa non essere, rispetto all'esercizio dell'una o dell'altra funzione, quella più idonea.  Ancora: anche scegliendo la prospettiva dell'individuazione di un unico ambito territoriale, non è facile poi scegliere fra l'ipotesi di una struttura di governo per così dire "leggera" che consista essenzialmente in un organo collegiale, rappresentativo delle diverse entità territoriali e titolare pressoché soltanto di poteri di indirizzo e di coordinamento, da un lato, e una prospettiva opposta, che punti invece sulla costituzione di un vero e proprio ente, titolare delle funzioni di interesse dell'area metropolitana, dall'altro. Da questo punto di vista, perciò, risultano del tutto comprensibili tanto le profonde critiche suscitate dalla scelta rigida compiuta con la l. 142, quanto l'incertezza attuale del legislatore fra diverse ipotesi organizzative, fino all'oscillazione e al tentativo di mediazione fra modelli profondamente differenti.  Tuttavia se si esaminano con più attenzione il dibattito in corso e le aporie presenti nelle proposte qui richiamate, si constata facilmente che nel caso italiano vi sono nodi più profondi, che spiegano la perdurante difficoltà di sciogliere in modo netto la questione del governo dell'Area metropolitana.

In realtà, la problematica relativa al sistema di governo locale è, nel nostro Paese, dominata da due grandi questioni che la condizionano. La prima, più nota, riguarda la difficoltà di armonizzare il sistema regionale e il ruolo svolto dalle Regioni con l'articolazione dell'amministrazione comunale e provinciale. La seconda, meno sottolineata ma nn meno importante, attiene alla grande difficoltà di accettare differenziazioni significative fra enti territoriali appartenenti al medesimo livello di governo.

Altrimenti detto: per un verso la vicenda italiana è segnata dall'irrisolto contrasto fra il ruolo delle Regioni e quello dello Stato rispetto al sistema di governo locale; per un altro verso essa è invece caratterizzata dal contrasto, egualmente irrisolto e parzialmente sovrapposto al precedente, fra l'omologazione del sistema di governo locale nell'ambito di una legislazione statale uniforme e la sua differenziazione, innescata da spinte autonome o dall'eventuale iniziativa regionale.

Rispetto all'Area metropolitana entrambi questi nodi assumono un peso di assoluto rilievo. E' proprio la loro mancata soluzione a spiegare infatti, in buona misura, le difficoltà e le contraddizioni nelle quali incorrono i tre modelli teoricamente possibili e praticamente sperimentati per il governo dei territori metropolitani, e dunque il perdurante rinvio di una decisione sul punto.

La questione delle Aree metropolitane, in sostanza, obbliga ad affrontare fino in fondo la complessità delle scelte tuttora da compiere in ordine all'articolazione del nostro sistema di governo locale.

Ed infatti:

o        Non vi è dubbio che autorità metropolitane forti, espressione delle Aree economiche e geografiche presumibilmente più significative del Paese, poste in condizione di indipendenza e di non condizionamento da parte delle Regioni, sarebbero inevitabilmente destinate a contrapporsi alle Regioni stesse.

o        In sostanza, forti autorità metropolitane svaluterebbero inevitabilmente il ruolo delle Regioni proprio in una fase nella quale molti guardano alla dimensione territoriale e di governo regionale come a quella più idonea per assicurare una ricca e solida articolazione locale. La conseguenza sarebbe evidentemente quella di innescare una sorta di modello "diarchico" nel governo del territorio e del sistema delle autonomie locali.

o        A questo dilemma, tuttavia, non si sfuggirebbe neppure adottando la soluzione di una forma organizzativa leggera (quale, nell'ipotesi qui esaminata, la Conferenza metropolitana), tale da assicurare essenzialmente soltanto modalità di coordinamento nell'azione amministrativa e nell'organizzazione dei servizi. Perdurerebbe infatti, in questo caso, un irrisolto potenziale contrasto fra ruolo della Regione e ruolo della grande Città, da un lato; fra dimensione metropolitana dei problemi ed esistenza di un'accentuata frammentazione degli enti di governo locale, dall'altro.

o        Entrambi questi potenziali conflitti sarebbero certamente meno forti se ci si orientasse verso la scelta, oggi in Italia non sostenuta da alcuno, di organizzare servizi e funzioni di area vasta secondo una prospettiva funzionalistica.

In una ipotesi funzionalistica, infatti, gli ambiti territoriali e le strutture organizzative sarebbero necessariamente differenziate a seconda delle diverse funzioni e quindi non vi sarebbe un permanente contrasto potenziale fra un'unica autorità di governo dell'area e il sistema delle Regioni e degli enti locali. In questo caso, però, si rinuncerebbe totalmente a considerare l'area metropolitana come una dimensione reale di governo del territorio, spezzandone irrimediabilmente l'unità di ruolo attraverso il proliferare di organizzazione di settore.

8. Proprio la discussione in corso in Parlamento in ordine alla questione delle Aree metropolitane, costituisce la migliore testimonianza delle contraddizioni e delle contrapposte tensioni che caratterizzano la tematica dell'articolazione del governo regionale e locale nel nostro Paese.  A questa situazione non si può porre certamente rimedio opponendo nominalisticamente i regionalisti (o i federalisti) ai sostenitori del ruolo dei Comuni, delle Province e, oggi, anche delle grandi Città.

Anzi: è possibile dire che proprio il fatto che le grandi Città tendano sempre più a presentarsi nel panorama del sistema comunale e locale come soggetti a sé stanti obbliga a prendere atto, una volta di più, della complessità delle questioni e del groviglio dei problemi che oggi caratterizzano questo settore. L'augurio è che la discussione in corso sulle Aree metropolitane non si areni negli apparenti tecnicismi o nel contrasto perverso dei veti contrapposti fra i sostenitori delle diverse prospettive in gioco. Anche guardando alla dimensione europea, nella quale coesistono, ma anche nello stesso tempo si contrappongono, il modello dell'Europa delle Regioni e quello dell'Europa delle grandi Aree urbane e delle Città, abbiamo il dovere di sviluppare fino in fondo il dibattito su questa questione e di definire in modo responsabile e coerente le decisioni che vorremo assumere.

Differenziarsi fra regionalisti e comunalisti, fra sostenitori di una prospettiva federale e teorizzatori del principio di sussidiarietà come moderna chiave di volta di ogni problema del governo locale, serve a poco. E' molto importante invece che si riesca a discutere in modo chiaro su quale ruolo vogliamo che sia svolto dalle Città, in generale, e dalle grandi Aree urbane, in particolare, e quale , di conseguenza, debba essere in questo contesto la funzione sostanziale delle Regioni e degli altri enti locali.

Prima questa discussione sarà affrontata nei suoi termini più chiari, prima riusciremo a superare le contraddizioni e le contrapposizioni che oggi paralizzano ogni soluzione possibile.

Note:

(1) L'UPI (Unione delle Province Italiane) ha tenuto il suo Congresso a Roma nei giorni 15-17 settembre del 1995. In quel Congresso non si è esplicitamente discusso dei progetti di legge in discussione in Parlamento ma certo non è mancata l'attenzione sull'evoluzione in atto nel sistema delle Province, anche con riferimento al problema metropolitano. Del resto è significativo che in quel Congresso sia stato rieletto Presidente dell'UPI Marcello PANETTONI già Presidente uscente e Presidente anche, all'interno della Commissione Maroni, della Sottocommissione ordinamento, sulla quale cfr. infra.  Nel corso del Congresso dell'UPI, inoltre, è stata distribuita ai partecipanti la Relazione presentata dal Presidente PANETTONI il giorno 11 settembre nell'ambito di una seduta formale, tenutasi presso il Ministero dell'Interno, della ex Commissione Maroni. Anche sul contenuto di quella Relazione, oltre che su quello della precedente Relazione presentata, nella stessa sede e dallo stesso Presidente PANETTONI il giorno 20 dicembre 1994, cfr. infra.  (2) L'ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani) ha tenuto il suo Congresso nei giorni 25-28 ottobre 1995. Anche in questa occasione il tema delle Aree metropolitane e della istituzione delle Città metropolitane non è stato esplicitamente affrontato. Merita tuttavia sottolineare che in quel Congresso è stato eletto Presidente dell'ANCI il sindaco di Catania BIANCO, fondatore e animatore del club delle grandi Città che, costituitosi dopo il passaggio all'elezione diretta dei sindaci, costituisce sicuramente un fatto nuovo e di grande rilevanza nel panorama del sistema locale italiano. L'elezione del Presidente BIANCO pare segnare un indubbio rafforzamento dei Sindaci delle grandi Città all'interno dell'ANCI, e dunque un maggior peso di fatto della dimensione metropolitana.  (3) Su questo aspetto e sulla stretta connessione che sussiste fra la approvazione stessa della l.142 (che vide il governo Andreotti porre la questione di fiducia per evitare la votazione degli emendamenti a favore dell'elezione diretta del Sindaco) e l'avvio delle iniziative referendarie che, insieme alle vicende giudiziarie, avrebbero condotto poi alla crisi del sistema politico italiano si rinvia a F. PIZZETTI, Sistema dei partiti e sistemi elettorali nella "lunga transizione", in Studi parlamentari e di politica costituzionale, 1995, n.108, 37 ss.  (4) Cfr. F. PIZZETTI, Sistema dei partiti e sistemi elettorali, cit..  (5) Cfr. su questo L. VANDELLI, Sistemi elettorali e forma di governo degli enti locali, in M.LUCIANI E M.VOLPI ( a cura di) , Riforme elettorali, Laterza, Bari, 1995, 253 ss.  (6) Per la rassegna delle proposte di riforma presentate in questa fase e per il dibattito che su di esse si è svolto cfr. F. PIZZETTI, Il federalismo e i recenti progetti di riforma del sistema regionale italiano, in le Regioni, 1995, n.2, 225.  (7) Interventi di Don Giuseppe Dossetti su cui cfr. G. DOSSETTI, Conversazioni, ed. In Dialogo, Milano, 1994. Cfr. anche, per l'intervento da Lui tenuto a Milano il 21 gennaio 1995 al Convegno dei Comitati per la difesa dei valori della Costituzione, G. DOSSETTI, Non una seconda repubblica ma revisioni costituzionali giuste, in Nuova Fase, n. 1 del 1995, 89 ss.  (8) Cfr. ora A. DI GIOVINE e S. SICARDI, Sistemi elettorali e forma di governo a livello regionale, in M. LUCIANI e M. VOLPI (a cura di), Riforme elettorali, cit..  (9) La Commissione Maroni, istituita con D.M. 12 luglio 1994, definita come "permanente", con l'incarico di contribuire alla definizione di una "disciplina legislativa che, fondandosi sul principio di sussidiarietà, valorizzi l'autonomia degli enti locali, innovando, in particolare, l'ordinamento finanziario e contabile, l'assetto dell'organizzazione ed il regime dei controlli per adeguarli alle nuove realtà politico-istituzionali", ebbe il compito di predisporre entro il termine del 31 dicembre 1994 uno schema di disegno di legge di delegazione in materia di autonomie locali" nonché di "formulare la successiva normativa delegata, in attuazione dei principi enunciati in premessa". La Commissione, presieduta dal sottosegretario LO IUCCO si articolò in due distinte Sottocommissioni: la prima presieduta dal Presidente dell'UPI PANETTONI, per la trattazione dei problemi relativi all'ordinamento e al personale; la seconda presieduta dal Presidente dell'ANCI PADULA, per le materie relative alla finanza. La Sottocommissione ordinamento incaricò un gruppo ristretto di membri (DE ROBERTO, poi sostituito da TUMBIOLO, MERLONI, SAJA, VANDELLI) integrato da due esperti, PIZZETTI e ROMAGNOLI, di predisporre ipotesi di modificazioni normative coerenti con il dibattito svoltosi in Commissione. Una relazione finale con proposte normative fu infine presentata il 20 dicembre 1994, quando ormai il Governo Berlusconi era al termine della sua esperienza.  (10) Sulla quale cfr. COMUNE DI BOLOGNA, PROVINCIA DI BOLOGNA, Governare le Città, Il Mulino, Bologna, 1994. Cfr. ora anche COMUNE DI BOLOGNA, PROVINCIA DI BOLOGNA, Progetto Città metropolitana (materiali per il riordino territoriale), ciclos., 1995.  (11) Il testo di questa Relazione, intitolato Commissione per le Autonomie Locali, Sottocommissione ordinamento e personale, Relazione conclusiva, fu esposto dal PRESIDENTE PANETTONI in una apposita seduta plenaria della Commissione Maroni tenutasi il 20 dicembre 1994. Il testo è disponibile in ciclostilato e depositato presso la Commissione stessa. Sul contenuto di questa Relazione cfr. anche quanto esposto in F. PIZZETTI, Federalismo e recenti progetti di riforma, in Le Regioni, 1995, n.2, 225 ss.  (12) La questione dei tempi dell'entrata in vigore della Città metropolitana, specialmente dopo l'elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti delle Province è oggettivamente un problema tutt'altro che secondario. Poiché Sindaci e Presidenti di Provincia possono comunque essere rieletti una sola volta non manca oggi chi ritiene che, per vincere le loro attuali resistenze (forti ovviamente soprattutto fra i Sindaci dei comuni capoluogo) si potrebbe prevedere l'entrata a regime della Città metropolitana per la fine della prossima legislatura amministrativa. Questo consentirebbe che gli attuali Sindaci dei grandi Comuni, non più rieleggibili dopo l prima riconferma, potrebbero trasformare la loro attuale resistenza in un atteggiamento assai più collaborativo. Essi potrebbero infatti vedere nelle Città metropolitane, da istituire a pieno regime soltanto al termine della seconda legislatura comunale, una prospettiva importante anche per il loro stesso ruolo futuro, anziché, come oggi accade, una minaccia alla loro carica. E' evidente peraltro che una prospettiva del genere, per quanto pragmaticamente comprensibile, è in palese contrasto con l'opportunità di dare una rapida risposta ai problemi di governo delle Aree metropolitane.  (13) Su questo punto le osservazioni fatte dalla Commissione Maroni nel testo presentato dalla Sottocommissione ordinamento nella seduta del 20 dicembre 1994 sono state poi ulteriormente approfondite nella Relazione presentata dal Presidente PANETTONI nella seduta dell'11 settembre 1995. In questa seconda stesura infatti si tiene conto anche dell'andamento che la discussione sul progetto di legge ha avuto in Senato e si formulano quindi critiche più esplicite al testo originale, quale presentato a suo tempo alla Camera. Il testo della seconda Relazione, dal titolo Relazione conclusiva, Completare la riforma delle autonomie locali al servizio del cittadino, nella prospettiva della riforma federalistica della Repubblica italiana, presentato alla Commissione dal Presidente PANETTONI, è stato successivamente reso noto e distribuito nell'ambito del recente Congresso Nazionale dell'UPI.  (14) D'altro canto merita sottolineare che in uno stesso giorno, il 20 dicembre 1994, la Camera dei deputati approvò il progetto VITO e al Ministero dell'Interno si tenne la seduta nella quale il Presidente PANETTONI consegnò la prima Relazione della Sottocommissione Ordinamento da lui presieduta.  (15) Cfr. quanto osservato supra al par. 5 .  (16) Cfr. quanto osservato supra, par. 4  (17) In questo senso sembrano collocarsi Francesco Merloni e Luciano Vandelli. La posizione da loro avanzata merita particolare attenzione giacché tutti e due, oltre che studiosi di particolare autorevolezza nel settore, sono vicepresidenti delle rispettive Amministrazioni provinciali: Roma, il primo e Bologna, il secondo. Entrambi, inoltre, hanno, nei loro incarichi politici, la espressa delega a occuparsi, per le loro amministrazioni, dei problemi dell'area metropolitana.  (18) La proposta di individuare un "nucleo indefettibile" di funzioni da assegnare per legge statale a Comuni e Province è stata formulata in sede di Commissione Maroni (Sottocommissione Ordinamento) specificamente dai professori MERLONI e VANDELLI e successivamente fatta propria, in sede di Relazione conclusiva, sia dal Comitato tecnico che dal Presidente PANETTONI. Cfr. le due Relazioni del 20 dicembre 1994 e del 11 settembre 1995, già precedentemente citate.  (19) Per una recente, interessante, rassegna sulle diverse forme di governo delle Aree metropolitane in Europa cfr. ora COMUNE DI BOLOGNA, PROVINCIA DI BOLOGNA, PROGETTO CITTÀ METROPLITANA, Le Aree metropolitane in Europa, Bologna, 1994.

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