a cura di Sonia Zarino (architetto, urbanista)

mercoledì 2 gennaio 2013

Mutamenti nelle Aree Urbane - Ornello Vitali- Milano 1990

di Ernesto Frasca Polara
A metà degli anni settanta divenne del tutto evidente, agli studiosi della realtà sociale ed economica italiana, che le trasformazioni produttive intervenute nel ventennio, che ebbe inizio intorno al 1950, avevano mutato il quadro sociale, oltre che quello economico, delle varie zone di territorio che costituiscono in nostro Paese. Un fenomeno che, come quello delle emigrazioni, aveva manifestato una tendenza di fondo costante per oltre venticinque anni, dirottando masse di popolazione dalle zone montane e rurali verso le grandi città e i territori economicamente sviluppati, improvvisamente mutava; crollavano le nascite, si accentuavano le trasformazioni rurali-urbane che avevano progredito costantemente con il realizzarsi della modernizzazione.
L’analisi del Vitali non è stata condotta per singoli comuni, ma per aree dette "aree di attrazione" (intese come aree di addensamento demografico). Risulteranno, però, sempre evidenziati i risultati riguardanti il capoluogo di provincia (polo o fuoco) che dà luogo a queste aree e le relative fasce o corone che le costituiscono. Ciò ha implicato l’assunzione, a priori, dei capoluoghi di provincia come località centrali di area di attrazione. A fine di studio e di confronto, è stato evidenziato, anche, il dato riguardante il "resto provincia", cioè quella parte del territorio, che pur appartenendo alla provincia che prende il nome dal relativo capoluogo, non è compresa nella sua area di attrazione ( i comuni appartenenti al resto provincia vengono denominati "periferici"). Operando con un metodo geometrico - scientifico sono state tracciate delle circonferenze di raggio di dieci Km, portate a quindici Km per i capoluoghi con 200.000 abitanti, esteso a venti Km per le città "milionarie", aventi ciascuna come centro un capoluogo di provincia. Si è ottenuta, così, per ciascun capoluogo di provincia, un’area approssimativamente circolare nel cui ambito studiare le situazioni relative ai vari fenomeni considerati. Tuttavia, il metodo adottato, nella sua grossolanità, supera, da un lato, le incertezze e le dispute che si originano, ogni qual volta si intenda specificare le aree metropolitane delle singole città; dall’altro, consente di ragionare su aree di uguale superficie intorno ai capoluoghi di provincia, permettendo confronti approssimativamente omogenei dal punto di vista territoriale. Se esaminiamo le tendenze di lungo periodo dello insediamento demografico, ci si rende conto che, durante il periodo 1951-87, essi sono certamente mutati; tuttavia è assai dubbio che si sia verificato in Italia un movimento di controurbanizzazione. È vero, che a partire dagli anni settanta i comuni capoluogo hanno perduto gran parte del loro potere di polarizzazione demografica, e che dopo il 1981, essi hanno fatto registrare un deficit complessivo di popolazione. Nel periodo 1971-81 il saldo migratorio risultava passivo tanto che, durante il sedicennio 1971-87, il saldo migratorio dell’insieme dei comuni capoluogo è risultato addirittura negativo. Tutto ciò è accaduto non tanto perché sono aumentati coloro che risiedendo nelle città capoluogo hanno trasferito la loro residenza, ma quanto perché si sono notevolmente ridotti i contingenti di coloro che vi accorrevano. Non fuga dalla città, pertanto, ma fine della corsa verso la città, tanto che nel periodo 1981-87 il saldo naturale del complesso dei comuni capoluogo è negativo. Se si prendono in esame le fasce delle "aree di attrazione", si osserva che esse sono le zone di territorio che, proporzionalmente, si sono più incrementate dal punto di vista demografico. Se si osserva il dato del "resto comuni", riesce persino difficile parlare di ripopolamento di spazi periferici in declino, anche se si è verificato un mutamento di tendenza. I risultati riguardanti le fasce indicano, di conseguenza, che intorno ai poli vi è, ancora oggi, un grande dinamismo migratorio e, ancor più, naturale, pur se la media annua delle nascite del periodo 1981-87 si è dimezzata rispetto a quella del 1971-81, uniformandosi quasi del tutto all’andamento dell’intero paese che ha registrato forti contrazioni delle misure della natalità. Al Vitali, non sembra possa parlarsi di movimenti di controurbanizzazione o di disurbanizzazione in Italia, quanto di suburbanizzazione. Seppure questo termine ha un significato: esso viene qui adottato per esprimere che si sta realizzando un processo di assestamento, dopo gli impulsi straordinari del decennio 1951-61, verso i grandi agglomerati urbani.  I processi di assestamento provocano un certo risveglio dei comuni periferici, rilevato soprattutto negli ultimi sei anni (‘75-‘81), non dovuto al rifiuto dei valori urbani, che si sono diffusi largamente nel paese a partire dal secondo dopo guerra. Ritornando ai risultati della ricerca il Vitale conclude che nel periodo 1971-81, nei paesi a sviluppo capitalistico avanzato si è originata una sorta di crisi metropolitana, che sarebbe stata prodotta sia dal rifiuto da parte della collettività nazionale di addossarsi il costo sociale della crescita urbana, sia dall’aggravarsi dei problemi relativi al governo metropolitano, per il quale la mediazione dei conflitti si fa più difficile al confronto di quanto accade nelle aree meno densamente popolate.

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