La riforma delle Province è una riforma nata
male che rischia però di finire peggio se non viene portata fino in
fondo. La scelta di abolire le Province senza avere un disegno organico
di riordino degli enti locali e di tutte le istituzioni pubbliche
organizzate su base provinciale (prefetture, camere di commercio, etc.) è
stata palesemente un errore. Una concessione alla pancia dell’opinione
pubblica, sensibilizzata da una campagna di disinformazione martellante,
senza misurarne implicazioni e conseguenze. Ma fermarsi a metà del
guado vagheggiando fantomatici enti di secondo grado chiamati 'aree
vaste' non può che aggravarlo.
La legge Delrio non potendo abolire le Province in quanto previste dalla Costituzione, ha cancellato gli organi elettivi trasformando le Province in enti di secondo grado governate dai sindaci e lasciando alle Regioni la patata bollente della riorganizzazione delle funzioni “non fondamentali” senza fornire risorse e precise indicazioni.
L'abolizione delle Province è però nei fatti. Oltre alla riforma costituzionale in discussione al parlamento che ne prevede la cancellazione dall’ordinamento degli enti locali, la legge di stabilità approvata in dicembre prevede tagli ai bilanci provinciali di 6 miliardi di euro in tre anni e una riduzione dei costi del personale del 50% già a partire dal 2015. Se si pensa che la spesa corrente complessiva delle province nel 2014 era di 7 miliardi (l’ 1% della spesa pubblica) si capisce come nel 2017 non ci saranno le risorse, non solo per le “funzioni fondamentali” lasciate dalla Delrio e per il relativo personale, ma semplicemente per tenere aperte le sedi.
Già adesso le Province sono paralizzate e sull’orlo del dissesto finanziario. Pensare di tenerle artificialmente ancora in vita o di risolvere la questione spostandola dentro il nuovo contenitore immaginario delle “aree vaste”, come vorrebbero alcuni sindaci assurti alla guida di un ente moribondo, è semplicemente anacronistico e controproducente. Significa volere negare i dati di realtà. E aggiungere danno al danno.
Se gli obiettivi dichiarati della “riforma” erano la riduzione dei livelli amministrativi e della rappresentanza politica, la semplificazione delle procedure e del riparto delle competenze, l’incremento di efficienza dei servizi erogati dalla pubblica amministrazione, il risparmio attraverso economie di scala ed accorpamenti, l’unica strada da percorrere, e in fretta, prima che si abbatta definitivamente la tagliola della legge di stabilità e della riforma costituzionale, è quella dell’immediato superamento delle province attraverso una riorganizzazione e riallocazione di tutte le funzioni a Regioni e Comuni.
E’ questo il solo modo per cercare, da un lato, di preservare i livelli occupazionali e le professionalità presenti nelle province, dall’altro per perseguire gli obiettivi di semplificazione, efficienza, risparmio che ci si è posti con la riforma. Obiettivi che non potrebbero essere certo conseguiti mantenendo artificialmente in vita per qualche anno enti di secondo grado già privati di risorse e di futuro, siano essi di scala provinciale o sovra provinciale.
La riorganizzazione per funzioni, se fatta con criterio, potrebbero cavare qualcosa di positivo da una riforma sbagliata e improvvisata che rischia altrimenti di avere molti più costi che reali benefici. Per molte funzioni, in particolare quelle territoriali, tale riorganizzazione può essere fatta rapidamente, senza grandi disagi per il personale o disfunzionalità nei servizi, appoggiandosi a modelli organizzativi e strutture operative regionali già articolate territorialmente su base provinciale e di area vasta.
E’ il caso, ad esempio, dell’agricoltura il cui personale risulta già pagato dalla Regione Emilia Romagna. Un trasferimento delle funzioni e del personale (non delle sedi di lavoro!) non avrebbe oneri e garantirebbe maggiore operatività gestionale, ristabilendo l’assetto esistente prima delle leggi delega (L.R. 15/97) con Servizi Provinciali Agricoltura alle dirette dipendenze della Regione.
E' il caso anche della funzione ambiente, che potrebbe essere assorbita da ARPA, l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale, già oggi strutturata per sezioni territoriali. Si avrebbe così un unico soggetto operativo che si occuperebbe dei procedimenti ambientali a 360 gradi. E un ente in meno sia in fase autorizzativa che di controllo, con una reale semplificazione amministrativa a beneficio di aziende e utenti.
O infine della difesa del suolo e della viabilità, che potrebbero essere ricondotte ai Servizi Tecnici di Bacino della Regione che sono già organizzati su 4 “aree vaste”. Uno degli endemici problemi della difesa del suolo è sempre stata la frammentazione delle competenze e il numero degli enti preposti. Un accorpamento delle funzioni di difesa del suolo in unico soggetto tecnico, come era un tempo il Genio civile, garantirebbe unitarietà di programmazione ed intervento, con benefici sul piano dell’efficacia e della tempestività nell’utilizzo delle scarse risorse a disposizione.
Per altre funzioni, come le scuole, la cultura, il sociale, la riattribuzione potrebbe invece avvenire presso i Comuni capoluogo o le Unioni comunali. E’ questa, grosso modo, la strada intrapresa dalla Regione Toscana, strada che può portare rapidamente all’evaporazione delle Province, senza perdere professionalità e posti di lavoro, e a un nuovo e semplificato assetto di governance territoriale.
Ciò su cui i sindaci dovrebbero nel frattempo spingere, con un adeguato sostegno della Regione, è la fusione dei Comuni. Senza le Province a garantire il necessario raccordo e riequilibrio territoriale, come è pensabile che Comuni piccoli e periferici, come ad esempio quelli dell’appennino emiliano, possano rapportarsi direttamente con Bologna?
Una riforma sensata degli enti locali avrebbe voluto che prima si facessero le aggregazioni di Comuni, per distretti di taglia demografica e territoriale adeguata a garantire autonomia amministrativa ed efficienza nei servizi erogati, e poi eventualmente si togliessero le province.
Si è invece deciso di fare il contrario. A questo punto però non si rimanga a metà strada. Sarebbe una beffa nei confronti dei cittadini e delle aziende. Che si ritroverebbero solo costi e disfunzioni al posto dei promessi benefici.
Nicola Dall'Olio
Capogruppo PD Consiglio comunale di Parma
La legge Delrio non potendo abolire le Province in quanto previste dalla Costituzione, ha cancellato gli organi elettivi trasformando le Province in enti di secondo grado governate dai sindaci e lasciando alle Regioni la patata bollente della riorganizzazione delle funzioni “non fondamentali” senza fornire risorse e precise indicazioni.
L'abolizione delle Province è però nei fatti. Oltre alla riforma costituzionale in discussione al parlamento che ne prevede la cancellazione dall’ordinamento degli enti locali, la legge di stabilità approvata in dicembre prevede tagli ai bilanci provinciali di 6 miliardi di euro in tre anni e una riduzione dei costi del personale del 50% già a partire dal 2015. Se si pensa che la spesa corrente complessiva delle province nel 2014 era di 7 miliardi (l’ 1% della spesa pubblica) si capisce come nel 2017 non ci saranno le risorse, non solo per le “funzioni fondamentali” lasciate dalla Delrio e per il relativo personale, ma semplicemente per tenere aperte le sedi.
Già adesso le Province sono paralizzate e sull’orlo del dissesto finanziario. Pensare di tenerle artificialmente ancora in vita o di risolvere la questione spostandola dentro il nuovo contenitore immaginario delle “aree vaste”, come vorrebbero alcuni sindaci assurti alla guida di un ente moribondo, è semplicemente anacronistico e controproducente. Significa volere negare i dati di realtà. E aggiungere danno al danno.
Se gli obiettivi dichiarati della “riforma” erano la riduzione dei livelli amministrativi e della rappresentanza politica, la semplificazione delle procedure e del riparto delle competenze, l’incremento di efficienza dei servizi erogati dalla pubblica amministrazione, il risparmio attraverso economie di scala ed accorpamenti, l’unica strada da percorrere, e in fretta, prima che si abbatta definitivamente la tagliola della legge di stabilità e della riforma costituzionale, è quella dell’immediato superamento delle province attraverso una riorganizzazione e riallocazione di tutte le funzioni a Regioni e Comuni.
E’ questo il solo modo per cercare, da un lato, di preservare i livelli occupazionali e le professionalità presenti nelle province, dall’altro per perseguire gli obiettivi di semplificazione, efficienza, risparmio che ci si è posti con la riforma. Obiettivi che non potrebbero essere certo conseguiti mantenendo artificialmente in vita per qualche anno enti di secondo grado già privati di risorse e di futuro, siano essi di scala provinciale o sovra provinciale.
La riorganizzazione per funzioni, se fatta con criterio, potrebbero cavare qualcosa di positivo da una riforma sbagliata e improvvisata che rischia altrimenti di avere molti più costi che reali benefici. Per molte funzioni, in particolare quelle territoriali, tale riorganizzazione può essere fatta rapidamente, senza grandi disagi per il personale o disfunzionalità nei servizi, appoggiandosi a modelli organizzativi e strutture operative regionali già articolate territorialmente su base provinciale e di area vasta.
E’ il caso, ad esempio, dell’agricoltura il cui personale risulta già pagato dalla Regione Emilia Romagna. Un trasferimento delle funzioni e del personale (non delle sedi di lavoro!) non avrebbe oneri e garantirebbe maggiore operatività gestionale, ristabilendo l’assetto esistente prima delle leggi delega (L.R. 15/97) con Servizi Provinciali Agricoltura alle dirette dipendenze della Regione.
E' il caso anche della funzione ambiente, che potrebbe essere assorbita da ARPA, l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale, già oggi strutturata per sezioni territoriali. Si avrebbe così un unico soggetto operativo che si occuperebbe dei procedimenti ambientali a 360 gradi. E un ente in meno sia in fase autorizzativa che di controllo, con una reale semplificazione amministrativa a beneficio di aziende e utenti.
O infine della difesa del suolo e della viabilità, che potrebbero essere ricondotte ai Servizi Tecnici di Bacino della Regione che sono già organizzati su 4 “aree vaste”. Uno degli endemici problemi della difesa del suolo è sempre stata la frammentazione delle competenze e il numero degli enti preposti. Un accorpamento delle funzioni di difesa del suolo in unico soggetto tecnico, come era un tempo il Genio civile, garantirebbe unitarietà di programmazione ed intervento, con benefici sul piano dell’efficacia e della tempestività nell’utilizzo delle scarse risorse a disposizione.
Per altre funzioni, come le scuole, la cultura, il sociale, la riattribuzione potrebbe invece avvenire presso i Comuni capoluogo o le Unioni comunali. E’ questa, grosso modo, la strada intrapresa dalla Regione Toscana, strada che può portare rapidamente all’evaporazione delle Province, senza perdere professionalità e posti di lavoro, e a un nuovo e semplificato assetto di governance territoriale.
Ciò su cui i sindaci dovrebbero nel frattempo spingere, con un adeguato sostegno della Regione, è la fusione dei Comuni. Senza le Province a garantire il necessario raccordo e riequilibrio territoriale, come è pensabile che Comuni piccoli e periferici, come ad esempio quelli dell’appennino emiliano, possano rapportarsi direttamente con Bologna?
Una riforma sensata degli enti locali avrebbe voluto che prima si facessero le aggregazioni di Comuni, per distretti di taglia demografica e territoriale adeguata a garantire autonomia amministrativa ed efficienza nei servizi erogati, e poi eventualmente si togliessero le province.
Si è invece deciso di fare il contrario. A questo punto però non si rimanga a metà strada. Sarebbe una beffa nei confronti dei cittadini e delle aziende. Che si ritroverebbero solo costi e disfunzioni al posto dei promessi benefici.
Nicola Dall'Olio
Capogruppo PD Consiglio comunale di Parma
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