Francesco Gastaldi, Federico Camerin[1]
- Introduzione
Nel
quadro di una competizione internazionale sempre più spinta, le città e i
territori concorrono fra di loro
per attrarre manifestazioni sportive o culturali e funzioni pregiate da cui
poter ottenere benefici e vantaggi in termini di occupazione locale,
finanziamenti pubblici e visibilità mediatica. Il grande evento permette di
attivare forme di marketing urbano,
cioè attività di promozione e comunicazione rispetto a potenziali visitatori e
investitori: le manifestazioni possono costituire dei “fiori all’occhiello” su
cui investire forti valenze simboliche. Alcune città europee, a partire dall’esperienza
pionieristica di Barcellona, sono diventate dirette e autonome protagoniste
della scena internazionale grazie a eventi che hanno permesso loro d’inserirsi
in circuiti economici innovativi, attirando dall’esterno nuove risorse,
finanziarie e umane, e incrementando i propri flussi turistici e culturali
(Savino 1998). La promozione dell’immagine della città, poiché
funge da catalizzatore delle energie di tutti gli attori locali, dalle
amministrazioni comunali, alle imprese, ai cittadini, può svolgere un
ruolo attivo a sostegno delle politiche di rigenerazione urbana, finalizzate a
valorizzare le potenzialità del sistema locale, l’identità collettiva e la sua
coesione interna.
A fronte di un grande impegno, la manifestazione in
sé ha di norma un decorso molto breve e sono quindi fondamentali gli effetti di
lunga durata che riesce a produrre, insieme all’“eredità” che è in grado di
lasciare in un determinato contesto urbano e territoriale (Guala 2007, Vitellio
2009). La significativa quantità di risorse coinvolte nell’organizzazione di un
grande evento (non solo di tipo economico, ma anche simboliche, istituzionali,
relazionali, sociali ecc.) dovrebbe rappresentare un’opportunità per innescare
un processo durevole in grado di autosostenersi nel tempo e che possa
risultare, almeno in parte, pre-configurato a monte. In questo quadro, il
riutilizzo delle strutture, e la previsione ex
ante delle nuove destinazioni d’uso, si rivela un indicatore di un’oculata programmazione
e gestione dell’occasione come risorsa permanente per la città (Segre-Scamuzzi,
2004; Gambino-Mondini-Peano 2005).
I grandi eventi possono essere un’opportunità per
sperimentare un nuovo stile di governo della città, forme innovative di
coordinamento tra diversi attori (istituzionali e non), partnership pubblico-privato, forme di partecipazione e consenso
preventivo su scelte di fondo. La concertazione e l’interazione ripetuta fra i
soggetti può determinare la
costituzione di reti relazionali a supporto dell’innovazione e processi
di apprendimento collettivo del sistema locale.
Affinché si determini un’effettiva innovazione
delle trasformazioni urbane, occorre che più soggetti, individuali e
collettivi, condividano una visione comune del futuro di una città, con
l’obiettivo d’intraprendere
processi di rigenerazione, il cui successo dipende in larga parte dalla
capacità del sistema locale d’integrare
aspetti fisici, sociali, economici e ambientali nel quadro delle scelte per la
promozione dello sviluppo sostenibile (Di Vita 2010). Di seguito ci si
soffermerà su un’analisi degli effetti territoriali dei grandi eventi in Italia
e in Spagna cercando anche di evidenziare le principali problematiche.
- Italia: Genova, Torino, Milano
I casi delle Città di Genova, Torino e Milano, tre capoluoghi del
Nord-Ovest, già ai vertici del “triangolo industriale” negli anni del “boom
economico”, possono essere emblematici per capire il ruolo dei grandi eventi
nelle trasformazioni urbane. Nel caso di Milano potremo solo fare ipotesi e
cercare di capire prospettive e scenari che si potranno determinare a partire
dall’Esposizione
Universale Milano 2015.
Nel quadro
delle trasformazioni urbane avvenute a Genova negli ultimi vent’anni, i grandi
eventi - Expo colombiana per i 500 anni della scoperta dell’America nel 1992,
Vertice G8 dei capi di stato nel luglio 2001, Capitale Europea della Cultura
nel 2004 - hanno avuto un ruolo decisivo nel mettere in campo ingenti risorse economiche,
attivare capitale sociale e (ri)definire l’immagine della città (Gabrielli 2006). Il binomio recupero del Waterfront e rigenerazione
urbana del Centro storico ha caratterizzato tutte le
più consistenti scelte di politica urbana degli anni Novanta e dei primi anni
Duemila, catalizzando altresì le maggiori attenzioni in termini di politiche
urbane e la gran parte dei finanziamenti e non vi è dubbio che queste azioni
abbiano contribuito in modo determinante a innescare processi di reversibilità
delle tendenze al degrado fisico, economico e sociale, che erano in atto in
molte parti dell’area centrale. Attualmente i processi di rigenerazione urbana sembrano piuttosto fermi, la stessa amministrazione comunale, rinnovata nel 2007 e poi
successivamente nel 2012, ha voluto segnare, in termini di politiche e di
interventi, una “discontinuità” rispetto agli anni precedenti: si ha la netta sensazione che la stagione dei
“grandi eventi” sia difficilmente replicabile in termini di efficacia delle
realizzazioni nel campo delle trasformazioni urbane.
La città di Torino, invece, ha
preso come riferimento Barcellona, dapprima nel percorso di pianificazione
strategica per darsi una nuova vision per il futuro, identificando nuove direzioni di sviluppo, e, successivamente, come riferimento
importante per la gestione di un grande evento olimpico. La città ha scelto di
considerare le Olimpiadi Invernali del 2006 un evento strategico per tutto il territorio locale, non solo in ambito
urbano, e ha distribuito le opere in modo policentrico nel contesto metropolitano, realizzando scenari di
sviluppo che in parte erano stati
previsti dal Piano Regolatore Generale, ma che, in alcuni casi, non erano stati
ancora completamente delineati (Gastaldi, 2009).
La
comunità locale, direttamente
coinvolta nell’organizzazione del grande evento, accanto ad alcuni effetti
positivi immediatamente tangibili in termini di miglioramento dell’immagine, realizzazione
di opere pubbliche e manutenzione urbana, ne ha ricevuti altri che si sono
manifestati soltanto in forma potenziale. La governance del periodo successivo ai giochi si è rivelata solo
parzialmente all’altezza dell’importante patrimonio, materiale ed
immateriale, lasciato dall’esperienza olimpica, con una carenza di progetti chiari riguardo alle
destinazioni d’uso di tale eredità. Inoltre il deficit emerso nei conti del Comitato Organizzatore ha portato ad
una difficoltà permanente da parte della Fondazione post-olimpica di operare a
pieno regime per la riconversione di opere e immobili.
A Milano l’Expo 2015 ha innescato
un dialogo per implementare una nuova forza propulsiva di rinnovamento urbano
per grandi progetti di trasformazione. La manifestazione è considerata un’occasione
irripetibile per nuovi processi di sviluppo turistico ed economico della città e
dell’Italia, ma attualmente la preoccupazione principale riguarda le modalità e
il processo di riconversione dell’area espositiva. L’inadeguatezza del bando per
lo sviluppo del sito a conclusione del grande evento ha messo in luce l’assenza
di condizioni di base, soprattutto economiche, per una soluzione di carattere
immobiliare, quale quella prefigurata dall’Accordo di programma del 2008 e del
Masterplan del 2013. Nel periodo post-evento si dovrà tener conto della
necessità di affrontare la trasformazione con una visione interscalare e di scala
sovralocale. Questo al fine di promuovere una nuova centralità, in un sistema
di luoghi ben accessibili da una rete efficiente d’infrastrutture, in relazione
con il contesto locale, lavorando sulla qualità della progettazione urbana,
architettonica e delle connessioni attraverso lo spazio pubblico (Morandi,
2015). Un approccio che, per attuarsi, deve essere
accompagnato e sostenuto da una regia pubblica, che segua tutte le fasi
del processo di stesura del piano urbanistico definitivo, per generare e
accogliere quelle esternalità diffuse che possono dare piena valorizzazione al sito.
- Spagna: Barcellona, Siviglia, Saragozza e Valencia
In Spagna i
grandi eventi hanno attuato incisive trasformazioni delle principali città,
ma anche in questo caso le ricadute non sono state sempre positive nel periodo
posteriore agli eventi (Iglesias et. al., 2011; Del Romero Renau, 2012; Díaz Orueta, 2012).
A Barcellona, le Olimpiadi del 1992
hanno costituito un volano in grado di attivare processi stabili di sviluppo
e trasformazione urbana. La città è stata in grado di ri-definire la propria
immagine soprattutto a livello internazionale e di promuovere molte potenzialità
locali. Questo grande evento è stato colto come un’opportunità per sperimentare
un nuovo stile di politiche pubbliche, forme innovative di coordinamento tra
diversi attori – istituzionali e non –, partnership
pubblico-privato, forme di partecipazione sulle scelte fondamentali di governo
del territorio. Visto il successo ottenuto, si è tentato di contribuire a
consolidare il processo di rigenerazione urbana e l’immagine della “marca Bcn” a
livello internazionale mediante un altro grande evento,: il Forum delle
Culture del 2004 (Álvarez, Montaner, Muxí, 2012). In stretta connessione con le
previsioni dell’innovativo piano urbansitico 22@, l’evento è servito per innescare una profonda riforma
urbana nell’antico quartiere industriale del Poblenou, con il prolungamento
dell’avinguda Diagonal in prossimità della foce del Besòs, in un’area di 30
ettari che non era stata interessata dalle precedenti trasformazioni del 1992.
A fronte di attuazioni urbanistiche “spettacolari” –
oltre che della promozione di una moltitudine di eventi per la cultura,
i congressi, il tempo libero, alcune attrezzature per ospitare mostre ed eventi
–, non è stato creato un dialogo tra le nuove costruzioni
e la memoria collettiva propria dell’antico quartiere industriale, e non si è
neppure raggiunto l’obiettivo di convertire la zona in uno spazio d’incontro e
socializzazione per la popolazione. Tutto ciò ha contribuito ad alimentare le
proteste da parte dei residenti per gli effetti dell’esito internazionale del
“modello Barcellona”, tra cui la massificazione del turismo e l’aumento del
costo della vita. Inoltre, molte critiche sono state mosse per la mancata
attuazione di interventi atti a risolvere i gravi conflitti sociali, i fenomeni
di esclusione e di delinquenza del vicino quartiere “La Mina”.
A partire dalla fine degli anni Ottanta,
Siviglia ha avviato una riflessione sulla sua identità e sul suo ruolo nella
Spagna post-franchista e ha utilizzato l’Esposizione universale del 1992 come occasione
per darsi un nuovo sviluppo urbano, implementando le previsioni
in un quadro urbanistico ben
definito. Ne
sono esempio la riqualificazione dell’isola di Cartugia, gli ambiti prossimi al
fiume Guadalquivir, e l’implementazione di grandi opere infrastrutturali
concepite negli anni precedenti. Tuttavia, nel periodo successivo all’Expo la
città non è riuscita a capitalizzare in modo positivo il grande evento: l’aspetto
più critico di tale gestione è stato il ritardo nell’attuazione del piano di
riutilizzo delle strutture e dei padiglioni, in gran parte demoliti o
attualmente in uno stato di abbandono e sottoutilizzo.
Nonostante una maggiore dotazione infrastrutturale e un riposizionamento
economico della città andalusa, l’esposizione del 1992 ha comportato un
forte investimento pubblico i cui effetti sociali ed economici nel
lungo periodo non hanno portato ai risultati previsti, soprattutto per una poco
accurata gestione a monte del processo di riutilizzo delle aree espositive e i
crescenti problemi di mobilità all’interno dell’isola di Cartugia.
Una risorsa chiave nella trasformazione della
città di Saragozza è stata l’organizzazione dell’Esposizione Internazionale
Expo 2008 “Acqua e Sviluppo Sostenibile”, realizzata in un’area di 25 ettari al
di fuori dell’area urbana, in un’ampia ansa del fiume Ebro. L’esposizione è
stata colta come un’occasione di
potenziamento infrastrutturale e di marketing
urbano su scala mondiale, contribuendo
a potenziarne il ruolo nel contesto spagnolo (De Miguel, 2005).
Sull’esempio
della città di Barcellona, l’interesse per convertire Saragozza in una
“città-marca”, nonché aumentare il turismo nazionale e internazionale e fungere
da polo attrattore d’imprese del settore terziario è stato posto in primo piano
rispetto ad altri criteri, tra cui costi elevati, contenuto banale
dell’esposizione e polemiche sulla gestione dell’ambiente naturale e del
patrimonio culturale. La gestione del recinto espositivo dopo la fine della
manifestazione è stata una delle grandi preoccupazioni degli organizzatori,
visto il fallimento di Siviglia (Lecardane, 2013). La crisi economica del
settore pubblico spagnolo ha contribuito alla paralisi delle operazioni di
vendita delle strutture espositive, alimentando numerose critiche sull’eredità
dell’evento. L’Expo ha comunque promosso l’avvio di una visione strategica
condivisa di Saragozza che ha reso imprescindibile il rapporto tra il fiume e
la riqualificazione urbana.
Con le edizioni
2007 e 2010 della Coppa America di vela, la città di Valencia ha beneficiato di un ampio programma d’interventi straordinari che hanno
portato alla trasformazione del fronte marittimo con una serie di attrezzature
pensate per il turismo nautico ad alto potere di acquisto e che hanno portato
alla privatizzazione di spazi pubblici ed emblematici del porto antico (Cucó i Giner, 2013). I
finanziamenti messi in campo dal settore pubblico non hanno rappresentato una risposta a problemi
locali – soprattutto di natura socio-economica nei quartieri di Cabanyal
e Malvarossa – presenti da tempo nell’agenda dei decisori pubblici (Gaja i Díaz, 2013). Sebbene una forte opposizione
della popolazione residente, la successiva strategia di riconversione delle
strutture si è basata su un nuovo stanziamento pubblico per attrarre ulteriori
eventi sportivi di carattere internazionale – attinenti sia al mondo della vela
sia all’annuale Gran Premio di Formula 1 –, in relazione ad alcune operazioni
immobiliari di carattere speculativo. Di fatto, oggi la città sta ancora sostenendo le conseguenze di
tale ingente onere finanziario.
- Conclusioni
La letteratura sui grandi
eventi (ad esempio: Essex, Chalkley, 1998; Roche, 2000; Bobbio-Guala, 2002; Garcia,
2004; Segre-Scamuzzi, 2004; Gambino-Mondini-Peano, 2005; Hiller, 2006; Guala,
2007; Clark, 2008; Trifiletti, 2008; Bain, 2009; Vitellio, 2009; Di Vita, 2010)
ha da tempo richiamato l’attenzione degli operatori di politiche pubbliche
sull’importanza che questi rivestono per le economie locali. Il valore dei
grandi eventi, infatti, non si limita alle manifestazioni in quanto tali, ma
deriva dalla loro caratteristica di costituire un volano in grado di attivare
processi stabili di sviluppo, trasformazione e rigenerazione urbana. L’evento
ha di solito una funzione decisiva nel favorire l’innesco di meccanismi latenti
o inerziali, sbloccando finanziamenti, accelerando procedimenti burocratici e -
più in generale - incrementando la capacità istituzionale. Inoltre, si tratta
di occasioni straordinarie per (ri)definire l’immagine e promuovere potenzialità
e nuovi processi di sviluppo locale.
In un quadro di globalizzazione in cui le risorse
per lo sviluppo (imprese, capitali, persone) possono facilmente spostarsi da un
luogo all’altro, diviene necessario che le realtà urbane sappiano mettere in atto forme di coesione
sociale e visioni strategiche condivise ed efficaci. L’eredità del grande
evento può essere valutata secondo molti aspetti, sia fisico-territoriali
(impianti, spazi per l’accoglienza, trasformazioni urbane, ricadute
occupazionali ed economiche), sia immateriali
(l’immagine, la notorietà urbana, la visibilità internazionale, la diffusione
di valori sportivi, culturali ecc.,
la capacità di governo locale) che, nell’insieme,
possono produrre effetti in grado di modificare l’assetto degli spazi e d’influire sul sistema socioeconomico
delle comunità, arricchendo atteggiamenti e aspettative della popolazione.
La preoccupazione maggiore, alla base dei grandi
eventi sembra quella di non perdere occasioni, di saper velocizzare i tempi
della trasformazione, sia in senso fisico che in senso organizzativo, per adeguarsi
ai cambiamenti in atto e d’individuare
le politiche e gli interventi più opportuni che permettano alle diverse città
di “stare al passo con i tempi”, ma queste dinamiche non sono esenti da rischi
e pericoli. Dopo il caso delle Olimpiadi di Atene del 2004 (che sono
state una delle concause della crisi economico-finanziaria greca), nelle realtà
urbane del mondo occidentale, i grandi eventi sembrano aver esaurito gran parte
di quella forza propulsiva di rinnovamento urbano per rilevanti progetti di
trasformazione, che a lungo ha alimentato le retoriche con cui si ricercavano,
si costruivano e si accompagnavano queste opportunità.
I processi
di riassetto urbano innescati dai grandi eventi hanno aumentano la competizione
internazionale di alcune realtà italiane e spagnole. Le città si sono preparate
alle manifestazioni con la consapevolezza di trovarsi di fronte a
un’opportunità probabilmente irripetibile: al grande evento è stato comunemente
assegnato il ruolo di catalizzatore e acceleratore di risorse – soprattutto
finanziarie e progettuali – per programmi da realizzare con una chiara
definizione del tempo e dello spazio di realizzazione. A tale compattezza del
tempo e dello spazio dell’evento, si contrappone la tendenza a esportarne gli
effetti al di fuori del sito e a dilatarli nel tempo: non sempre i casi di governance nel periodo successivo ai
grandi eventi si sono rivelati all’altezza dell’indiscusso patrimonio,
materiale e immateriale, ereditato.
Gli esiti di
breve e di lungo periodo rappresentano un binomio fondamentale per la lettura
delle esperienze italiane e spagnole, anche per riflettere in merito a quale
modello gestionale possa essere utile per futuri casi legati a eventi di livello
internazionale, come l’eredità dell’Expo 2015 di Milano in un contesto di crisi
economica.
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[1] Il
lavoro è stato impostato e svolto in collaborazione dai due autori, in tale
ambito sono comunque attribuibili a Francesco Gastaldi i paragrafi 1 e 4 e a Federico Camerin i
paragrafi 2 e 3.
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