di Francesco Gastaldi, Federico Camerin
Il tema del riuso
del patrimonio pubblico (anche militare) fa ormai parte del dibattito
politico-amministrativo italiano da molti anni, ma è prevalentemente
tematizzato secondo questioni di natura contabile e come possibile mezzo per la
riduzione del debito pubblico, spostando in secondo piano altri aspetti legati
alla pianificazione, alla gestione urbana, ai processi di valorizzazione
culturale e alla promozione del territorio.
Nell’ambito degli studi urbani, non esiste una seria e compiuta riflessione sul
ruolo che potrebbe giocare il riutilizzo dei patrimoni pubblici come
opportunità per innescare o accompagnare processi di rigenerazione urbana e
riorganizzazione territoriale, come occasioni di riconfigurazione di aree
centrali ad alta valenza simbolica o come opportunità per contrastare ulteriori
processi di consumo di suolo. Dal lato dell’analisi delle politiche pubbliche
non esiste inoltre una riflessione sulle difficoltà che si sono trovate ad
affrontare le amministrazioni locali nella costruzione di processi virtuosi di
recupero e valorizzazione dei patrimoni pubblici.
L’immobilismo che caratterizza il
tema è in netta contrapposizione con la velocità estrema con cui il mondo
politico ha cambiato e sovrapposto numerose disposizioni legislative. Le norme
si sono accumulate senza affrontare il vero nocciolo della questione che
dovrebbe stare alla base di ogni programma e strategia politica, ossia la
conoscenza e le relazioni con il territorio al quale i cespiti appartengono. Nonostante un primo censimento dell’Agenzia del Demanio
(Magistà, 2007), non si è ancora arrivati a una ricognizione completa e
attendibile dello stock immobiliare
pubblico, dal quale si potranno ipotizzare i veri valori degli immobili. Ad
oggi vengono attribuiti quasi sempre valori inventariali e non reali, e la
logica conseguenza di questa errata assegnazione è la svendita dei beni,
soprattutto di quelli ubicati in parti strategiche e centrali della città,
quindi a elevato valore di rendita e di immagine per gli acquirenti.
Le difficoltà per il riuso del patrimonio pubblico
immobiliare hanno avuto ripercussioni negative sulle città italiane, sia in
termini di vivibilità degli spazi urbani interessati, sia perché ostacola i
possibili progetti di riqualificazione che potrebbero innescare processi di
sviluppo e rigenerazione. Le caserme e gli edifici pubblici in genere erano
sedi di attività che generavano un indotto sull’economia locale, spesso grazie
a trasferimenti statali. La loro chiusura o ricollocazione ha prodotto effetti
negativi anche sul piano occupazionale, dato che spesso non sono stati
sostituiti da altre attività in grado di fornire redditi.
I processi di
dismissione e di valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico (spesso
edifici molto grandi, situati in aree già dotate d’infrastrutture e di ampie
superfici aperte) hanno riflessi e impatti rilevanti su molte questioni che
riguardano le politiche di governo del territorio degli enti locali. Per il
riuso dei beni si richiede alle singole città, anche di dimensioni medio-piccole,
di elaborare scelte politico-amministrative complesse, sia sul piano delle
strategie urbane relative agli assetti e agli scenari di sviluppo economico
futuro, sia sulle procedure e sugli strumenti più consoni alla collaborazione
tra differenti attori, nonché alla realizzazione di valore aggiunto nel mercato
immobiliare.
Nel quadro di un ripensamento della sicurezza in
scenari internazionali post Guerra Fredda, gran parte del patrimonio
militare non risponde più alle attuali esigenze dell’esercito. Nonostante in alcuni Paesi europei si sia proceduto con la
progressiva e virtuosa messa in opera di processi di riqualificazione dei beni
ex militari (mediante programmi sia di matrice statale, per esempio la Mission pour la réalisation des actifs immobiliers
in Francia, sia in ottica di cooperazione europea, come i KONVER), nel caso
italiano si è riscontrata una situazione generale caratterizzata dalla forte
incertezza e discontinuità nella fase di impostazione e realizzazione delle
politiche di alienazione e valorizzazione.
Questa tipologia di “vuoto
urbano” è strettamente legata a quella delle aree industriali dismesse. Se da
un lato il riutilizzo di quest’ultime è stato uno dei principali motori del
cambiamento del quadro della pianificazione urbana avviatosi negli ultimi
decenni, dall’altro non esiste ad oggi una riflessione adeguata sulle
difficoltà che le amministrazioni locali si sono trovate ad affrontare nella
costruzione di processi virtuosi di riutilizzo e reintroduzione nel ciclo economico
dei patrimoni pubblici, soprattutto ex militari.
Il continuo cambiamento di
obiettivi e strumenti, introdotto dalle norme statali, ha reso il tema così
complesso che nella maggior parte dei casi le amministrazioni locali non sono
state in grado di tenere sotto controllo gli iter procedurali, generando perciò
illusioni e frustrazioni negli attori sociali ed economici e causando uno stato
di perenne indeterminazione.
Dopo il 1999, anno in cui è stata istituita l’Agenzia del
Demanio, è stato avviato un percorso, diverso rispetto agli anni Novanta, che
ha messo in primo piano le operazioni di valorizzazione degli immobili alla
quale far seguire un’eventuale alienazione, rivelatesi ambiziosi progetti
rimasti in gran parte incompiuti e che hanno conseguito risultati assai
modesti. Tra le varie iniziative nei primi dieci anni del 2000 si possono annoverare
le operazioni di cartolarizzazione, i Programmi Unitari di Valorizzazione
Territoriale, o P.U.Va.T.[1],
il federalismo demaniale[2]
e il piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari[3].
In
una situazione di perduranti problemi delle finanze statali, a
partire dal 2011, sono state introdotte ulteriori disposizioni legislative
trasformando progressivamente in obbligo la valorizzazione del patrimonio
immobiliare pubblico. Questa nuova linea potrebbe rappresentare un’opportunità
di riscatto per molte realtà urbane, ma finora si è continuato ad affrontare la
questione in un’ottica prevalentemente finanziaria. Negli
ultimi due anni, oltre a vari programmi di vendita promossi dallo Stato[4],
sono stati ripresi due procedimenti: il “federalismo demaniale” e la
stipulazione di nuovi protocolli d’intesa per la riqualificazione dei beni ex militari, con il compito di velocizzarne gli iter di
valorizzazione (Gastaldi, Camerin 2014), secondo l’art. 24 del nuovo decreto
“Sblocca Italia”.
Una buona gestione del
patrimonio immobiliare pubblico può attuarsi in modo virtuoso solo se a monte
vi è l’attenta regia degli enti pubblici che individuino le reali prospettive
di trasformazione e sviluppo economico dei loro territori, previa una rassegna
dei potenziali interessi pubblici e privati, sociali ed economici mobilitabili.
Decisioni trasparenti e partecipate consentirebbero di realizzare quelle
mediazioni rispetto ai conflitti che generalmente si verificano attorno a
processi di trasformazione urbana e di governo del
territorio.
Con le novità introdotte dagli ultimi provvedimenti
legislativi voluti dal Governo Renzi, sembrano intravvedersi elementi virtuosi
che potrebbero portare a esiti reali per processi che si trascinano nel tempo
da molti anni. I risultati degli interventi dovrebbero essere indirizzati verso
il riuso, in particolare le dimensioni e l’ubicazione delle caserme dovrebbe
consentire di mobilitare capitali pubblici e privati, per costruire partnership essenziali in questo momento
di crisi economica.
La crisi economica ha accentuato tendenze già in atto
evidenziando ancora maggiormente l’inefficacia dell’azione istituzionale in
questo campo. Le vicende della
dismissione e della valorizzazione degli immobili pubblici nel corso degli
ultimi anni si sono rivelate una “spia” delle difficoltà del quadro normativo
italiano a conciliare obiettivi statali e potenzialità locali. Un’occasione
persa, almeno per ora.
Francesco Gastaldi, Università IUAV Venezia
Federico Camerin, Università IUAV Venezia
Riferimenti
bibliografici
Gastaldi F. (2012), “Una difficile transizione
verso la città postmilitare: il caso di La Spezia” in Territorio n. 62, pagg. 38-40
Gastaldi F., Camerin F. (2014), “Novità per la dismissione e
valorizzazione dei beni ex militari negli anni 2012-2014”, in Urbanistica
Informazioni, n. 256, pagg. 67-68
Magistà A. (2007) (a cura di), Tesoro Italia. Edifici e terreni dello Stato, Gruppo Editoriale
L’Espresso, Roma
Ponzini D. (2008), “La valorizzazione degli immobili statali come
opportunità di sviluppo territoriale”, in Urbanistica,
n. 136, pp. 87-94
Ponzini D., Vani M.
(2012), “Immobili militari e trasformazioni urbane”, in Territorio n. 62, pagg. 13-18
Vaciago G. (2007), “Gli immobili pubblici ... ovvero, purché restino
immobili”, in Mattei
U., Reviglio E., Rodotà S. (a cura di) Invertire la rotta. Idee per una riforma
della proprietà pubblica, Il Mulino, Bologna, pagg.
325-339
[1] Introdotti dalla legge n. 296 del 27
dicembre 2006 (legge finanziaria 2007). L’ipotesi di base prevedeva che, una
volta costituita una massa critica sufficiente d’immobili e condivisa una
prospettiva d’intervento urbano, i P.U.V. potessero rappresentare l’elemento
d’innesco di una iniziativa privata in grado di finanziare la riconversione
degli immobili e che garantisse allo Stato il pagamento del canone di
concessione.
[2] Emanato con il
D.L. 85/2010 riguardo al “fenomeno devolutivo, accessorio al federalismo
fiscale, che consiste nel trasferimento agli enti territoriali di beni di
proprietà dello Stato”.
[3] All’art. 58 del
D.L. 112/2008: ha costituito per gli Enti territoriali un metodo più semplice e
veloce per “fare cassa e subito” con la vendita del proprio patrimonio
immobiliare.
[4] L’Agenzia del Demanio ha l’obiettivo di
alienare sul territorio nazionale beni per 1 miliardo di euro all’anno nel 2015
e nel 2016, e 600 milioni nel 2017. L’ultimo bando di gara in ordine temporale
per la vendita, mediante asta pubblica, risale al 15 aprile 2015 e riguarda 11
beni di proprietà dello Stato ubicati su 7 Regioni, con una base d’asta
complessiva di circa 11 milioni e 500 mila euro
(http://www.agenziademanio.it/opencms/it/comunicazione/annoincorso/PubblicazionePrimoBandoUnico2015/).
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