a cura di Sonia Zarino (architetto, urbanista)

sabato 15 agosto 2015

La città metropolitana, ente strategico di sviluppo territoriale (e non una provincia 2.0)



di Sonia Zarino


Condizione fondamentale per il buon funzionamento delle neonate Città metropolitane è che si proceda alla riallocazione, tra i vari Enti, delle funzioni non fondamentali, e tuttavia molte sono le regioni che non hanno ancora provveduto ad adottare le leggi di loro competenza.


Sul sito Regioni.it è disponibile una tabella che sintetizza lo stato dell’arte delle leggi regionali e mostra come solo 15 regioni abbiano iniziato e in alcuni casi concluso l’iter normativo previsto. A metà luglio (data dell’ultimo aggiornamento) erano conclusi unicamente i procedimenti relativi a Toscana, Umbria, Calabria, Liguria e Marche.


In nessun caso risultano concretamente avviati i procedimenti necessari al trasferimento delle funzioni e del personale nonché delle corrispondenti risorse finanziarie.

Le città metropolitane e le province si trovano quindi ad operare in una sorta di “terra di mezzo” legislativa, la cui fluidità rende poco stabile il terreno normativo sul quale le Pubbliche Amministrazioni si trovano ad operare, così come estremamente difficile è la gestione tanto a breve quanto a lungo termine di enti non ancora del tutto delineati nelle loro competenze e relative dotazioni finanziarie.


Se da un lato, infatti, la “macchina” delle riforme ha modificato a livello nazionale il quadro relativo a regioni, province, città metropolitane e comuni, il livello locale non ha seguito con la stessa velocità il calendario previsto per la messa in atto delle conseguenti determinazioni, tanto che ad oggi è fortemente avvertito il pericolo di fallimento che la riforma stessa potrebbe incontrare. Fallimento causato, in primis, proprio per il grande ritardo e la poca convinzione con cui le regioni hanno affrontato il compito di legiferare per riattribuire le funzioni (e le risorse) a province e città metropolitane. 


Il DL 78/2015 è stato convertito in legge con molte modifiche il 28 luglio. Il nuovo testo ha introdotto fra l’altro l’obbligo per le Regioni di completare il riordino delle funzioni non fondamentali di province e città metropolitane entro il 30 ottobre, obbligandole in alternativa a trasferire agli stessi enti le risorse corrispondenti. E’ stato inoltre concessa per le città metropolitane la possibilità di redigere il bilancio solo per il 2015 e una riduzione delle sanzioni per gli enti locali che avranno sforato il Patto di stabilità.


Certo è che il processo di riforma non sembra avere quella fluidità che sarebbe necessaria per un passaggio senza intoppi da una forma ad un'altra dell’ordinamento complessivo degli Enti locali.


La natura e l'ambito di interesse della città metropolitana
Uno dei problemi che maggiormente si percepisce è la poca comprensione, negli stessi amministratori, delle reali implicazioni che, specie nel caso della città metropolitana, la creazione del nuovo ente comporta, e questo compromette non di poco, a nostro avviso, la riuscita della riforma stessa.


Se infatti molto spesso la città metropolitana viene rappresentata come una nuova versione della provincia, della quale in effetti ha conservato i confini, occorre studiarne più a fondo la vera natura per accorgerci che essa è in realtà molto diversa. Questa visione è certo favorita dalla scarsità di risorse e dalla mancata riallocazione delle funzioni non più in capo alla città metropolitana, che desta giusta preoccupazione nei sindaci e negli amministratori chiamati a gestire, senza possibilità di spesa, il perseguimento di finalità che, almeno sulla carta, sono molto ambiziose.


Ma quali sono queste finalità? La legge 56/14[1] è sul punto molto chiara e indica nello sviluppo strategico del territorio la finalità principale assegnata alla città metropolitana, che si avvarrà a tal scopo di un piano territoriale strategico.

Chiarire questo aspetto è fondamentale perché così facendo si potrà mettere finalmente a fuoco la natura e le competenze della città metropolitana che come vedremo non ricalcano affatto quelle della provincia né quelle degli altri enti locali.


Il Testo Unico degli Enti Locali[2] assegnava a comuni e province le stesse finalità generali, ossia la rappresentanza, la cura degli interessi e la promozione dello sviluppo della  propria  comunita'.

La legge 56 da un lato abroga la definizione delle finalità delle province[3], dall’altro definisce finalità affatto nuove per un ente locale, non coincidenti con quelle dei comuni, ma volte ad evidenziare ben determinati aspetti dell’azione di governo della città metropolitana, ovvero: la cura dello sviluppo strategico del territorio metropolitano; la promozione e la gestione  integrata  dei  servizi,  delle infrastrutture e delle  reti  di  comunicazione  di  interesse  della citta' metropolitana; la cura delle relazioni istituzionali afferenti al proprio livello,  ivi  comprese  quelle  con  le  citta'  e  le  aree metropolitane europee.


Come si vede, sono ad un tempo compiti più circoscritti rispetto alle finalità generali dei comuni, per quanto riguarda le materie in sé, ma potenzialmente in grado di sviluppare sinergie con realtà che vanno ben al di là dei confini amministrativi, essendo le città metropolitane in grado di relazionarsi con altre città metropolitane in Europa e, forse, nel mondo.

La città metropolitana non è quindi, come la “vecchia” provincia, un ente intermedio tra comune e regione, ma è semmai “a lato” come ha ben scritto Franco Pizzetti in un recente saggio[4] e vanno capite e correttamente interpretate le conseguenze di tale nuova natura giuridico-amministrativa.


Molto spesso purtroppo questa importante innovazione non viene colta e si tende a rappresentare la città metropolitana quale ente in contrapposizione alla regione di riferimento, della quale insidierebbe le prerogative ed i poteri, in primis quello pianificatorio di governo del territorio.

Tuttavia la città metropolitana è un ente con una missione ben definita, tanto è vero che si potranno delegare ad essa unicamente quelle funzioni che saranno compatibili con le finalità previste dalla legge 56.


Ci si potrebbe interrogare a questo punto come si debba interpretare il concetto di “sviluppo strategico del territorio metropolitano”, se non coincide più sic et simpliciter con gli interessi generali delle comunità locali. Appare chiaro, a nostro avviso, che i due concetti non sono in contrapposizione, ma che semmai il primo è contenuto nel secondo, essendo lo sviluppo territoriale la necessaria premessa per il perseguimento di finalità di benessere più generali a beneficio della comunità di riferimento. Tuttavia l’aver messo tra le finalità della città metropolitana la cura delle relazioni con le altre città metropolitane introduce anche un’apertura che suggerisce come le tipologie di sviluppo messe in atto a livello locale possano e debbano avere riflessi a livelli molto più ampi, regionali, statali e sovranazionali.


Le città metropolitane, sembra dire il legislatore, devono essere aperte e permeabili a stimoli esterni rispetto ai limiti amministrativi: essere locali, agire localmente, ma pensando globalmente. Questo pensiero strategico deve orientare le scelte urbanistiche e di organizzazione dei servizi allo scopo di attirare capitali finanziari e capitali umani, che troveranno nella varietà dei territori dell’area metropolitana standard qualitativi mediamente alti e affidabili per il loro insediamento, portando lavoro, sviluppo, benessere sostenibile. 


Le città metropolitane hanno dunque la funzione di “acceleratori dello sviluppo” ma devono per questo dotarsi ancora di molti strumenti.

La legge 56, ponendo a fondamento della governance delle città metropolitane uno Statuto che, per sua natura, è strutturalmente variabile, introduce un elemento di grande flessibilità che può essere molto efficace nell’orientare le scelte dell’Ente rispetto alla governance e ai rapporti con i comuni.


In tutti gli statuti il piano strategico territoriale costituisce il cuore dell’attività organizzativa della città metropolitana, ma occorre superare lo stereotipo che vede il piano strategico come una forma di governo del territorio, da interpretarsi rigidamente, piuttosto che, correttamente, come uno strumento di sviluppo.


Questo non significa che i comuni non siano tenuti a conformarsi ad esso per quel che riguarda le materie di competenza, che sono ad esempio le reti infrastrutturali e dei servizi. La città metropolitana ha una finalità più vasta rispetto alla tutela degli interessi dei singoli comuni o anche delle di unioni di comuni. Come abbiamo già avuto modo di osservare, la città metropolitana ha una finalità di sviluppo territoriale che si riverbera sullo sviluppo dell’intero Paese.


Anche da questo punto di vista c’è molto da fare perché vengano superati antichi campanilismi e localismi che oramai non sono più sostenibili, neppure economicamente.

Le regioni, dal canto loro, devono trovare forme di dialogo istituzionale con le città metropolitane (la legge 56 è un po’ troppo ellittica, da questo punto di vista) che sappiano andare al di là della riattribuzione delle funzioni non fondamentali. Questo vale ovviamente per il discorso della pianificazione dei trasporti che deve raccordarsi con quanto prefigurato dalle città metropolitane, ma può estendersi anche ad altri temi comuni afferenti allo sviluppo socio-economico.







[1] Art. 1 comma 2

[2] DECRETO LEGISLATIVO 18 agosto 2000, n. 267

[3] Art. 1 comma 3


[4] F. Pizzetti -  “Le città metropolitane per lo sviluppo strategico del territorio: tra livello locale e livello sovranazionale”

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