In un recente documento l’UPI
(Unione delle Province Italiane) fa il punto sullo stato della legge 56/2014 e
rileva preoccupanti criticità nel suo stato di attuazione.
di Sonia Zarino
Vi è, secondo l’UPI, un evidente
disallineamento tra la legislazione regionale, che doveva riattribuire le
funzioni non essenziali delle Province e
delle Città metropolitane, e la legge di Stabilità che, sottraendo alle
stesse risorse in una misura ritenuta eccessiva, blocca di fatto l’effettiva attuazione della
riforma.
In effetti, se da un lato i nuovi
enti sono di fatto operativi, e in grado quindi di svolgere i compiti a loro
affidati dalla L. 56, nelle more degli adempimenti previsti da parte delle Regioni essi devono
continuare a svolgere tutti i compiti delle “vecchie” province. Tale onere si
traduce quindi nella necessità di fare fronte a spese di cui non si hanno di
fatto le necessarie coperture economiche: si pensi solo che la prevista legge
di Stabilità 2015 taglia al bilancio delle Province un miliardo nel 2015, 2
miliardi nel 2016 e 3 miliardi nel 2017.
Ad oggi, la sola parte pienamente
attuata della riforma delle province riguarda il cambio degli organi
amministrativi, costituiti da sindaci e consiglieri provenienti dai comuni
dell’Città metropolitana e non più eletti direttamente dai cittadini.
L’UPI prova quindi a quantificare
il reale fabbisogno per fare funzionare le “nuove” province e le città
metropolitane, citando a tal proposito una valutazione fatta dal SOSE[1]. In base a tale studio
Province e Città metropolitane per fornire i servizi essenziali delle funzioni
fondamentali (manutenzione strade, scuole superiori, tutela dell’ambiente,
trasporti) dovrebbero spendere, per la sola spesa corrente, 2 miliardi e 360
milioni. Questa cifra esclude ovviamente impegni di spesa per opere ex novo
(nuove strade, nuove scuole, ristrutturazioni delle stesse, ecc.).
Sempre secondo il SOSE le entrate
fiscali delle province ammonteranno nel 2015 a 3 miliardi e 817 milioni, ma il
41% (pari a 1 miliardo e 675 milioni) verrà trattenuto dallo Stato, e sottratto
ai servizi fondamentali erogati.
Tuttavia il fabbisogno delle
province e delle città metropolitane non è riferibile solo alle spese correnti
“proprie”, poiché sono da considerarsi anche i rimborsi dei prestiti contratti
in precedenza e le spese correnti per le funzioni non fondamentali che le
province continuano a sostenere in attesa che le Regioni legiferino sulla loro
riorganizzazione: la cifra di questi ulteriori oneri fa lievitare il fabbisogno
di un altro miliardo solo per la spesa corrente, a fronte dei 221 milioni di
entrate previste nel DL 78/15[2].
In questo quadro di carenza di
risorse, gli investimenti sono già crollati drasticamente come denunciano molte
amministrazioni provinciali che hanno dovuto ridurre servizi essenziali quali
la manutenzione delle strade e delle scuole.
Tornando al DL, la cui legge di
conversione è attualmente[3] all’esame della Camera[4] dopo essere stata approvata
al Senato, sono necessarie secondo UPI
alcune modifiche su bilancio, personale e gestione delle risorse ritenute
necessarie per poter chiudere in equilibrio i bilanci 2015.
Sul fronte della riforma
complessiva degli Enti locali sono però le Regioni le responsabili dell’attuale
ristagno e del conseguente ingorgo istituzional/economico, in quanto solo in
sei avevano, a luglio, approvato le leggi di riordino delle funzioni non
fondamentali delle province. L’esame dei testi normativi non risulta peraltro
soddisfacente in quanto in nessun caso si prevede il passaggio del personale e
dei relativi costi a partire dal 1 gennaio 2015 come era previsto nella legge
di Stabilità, mentre tutte le funzioni continuano a restare in capo alle
province senza la relativa copertura finanziaria. Anche i Centri per l’impiego
avrebbero dovuto passare dal 1 gennaio 2015 allo Stato, ma ad oggi le strutture
e i relativi ingenti costi sono ancora in carico a province e città
metropolitane, senza che vi sia adeguata copertura finanziaria.
La L. 56/14 disciplina il
passaggio del personale corrispondente alle funzioni trasferite, mentre la
legge di Stabilità ha imposto alle
Province il taglio del 50% della spesa del personale dal 1° gennaio 2015 (30% nel
caso delle Città metropolitane). Entro il 2017 il personale in esubero (circa
20.000 dipendenti) dovrà trovare una ricollocazione presso altre
Amministrazioni locali e centrali, ma ancora non risulta nessuna riallocazione
effettuata.
In conclusione, le risorse
previste per province e città metropolitane appaiono largamente insufficienti
anche solo per garantire le spese correnti legate ai servizi essenziali delle
funzioni fondamentali, mentre si prevedono ulteriori, drastici tagli negli anni
a venire.
Tutto questo avviene mentre,
osserva l’UPI, le Regioni non hanno riattribuito alle province o alle città
metropolitane la gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica in ambito
provinciale attualmente gestito mediante aziende partecipate (es.: ATO acque,
ATO rifiuti, consorzi, partecipate, ecc.), ed il cui costo è stato pari a 1
miliardo e 796 milioni. Anche dalla riduzione delle stazioni appaltanti si
potrebbero avere consistenti risparmi (oltre 2 miliardi nel 2015 e oltre 7
miliardi nel 2016) per essere dedicati ai servizi essenziali quali il
riscaldamento e la manutenzione delle scuole superiori o la manutenzione delle
strade e lo sgombero neve e frane.
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