Intervista a Roberto Camagni, professore ordinario al Politecnico di Milano
Milano, 01.02.2013
A cura di Simona Venturi // ReCS
ReCS, febbraio 2013 - www.recs.it
Roberto Camagni
è professore ordinario di Economia Urbana e docente di Economia e
Valutazione delle Trasformazioni Urbane al Politecnico di Milano. E’
stato Presidente della European Regional Science Association e durante
il primo Governo Prodi è stato Capo del Dipartimento Aree Urbane alla
Presidenza del Consiglio dei Ministri. E' stato presidente
dell’Associazione Italiana di Scienze Regionali, Vice Presidente del
Gruppo Affari Urbani dell’OECD di Parigi. E' attualmente presidente del
Gremi (Groupe de Recherche Européen sur les Milieux Innovateurs), una
rete internazionale di studiosi con sede alla Sorbona di Parigi che
analizza i territori locali dell'innovazione, e membro del Comitato
Scientifico della DATAR di Parigi.
- La proposta di
regolamento del FESR 2014-2020 riformula le priorità per finanziare i
progetti urbani e dichiara che ‘verranno allocate le risorse
prioritariamente per rispondere ai bisogni dei diversi livelli
territoriali, per rinforzare la dimensione urbana, per promuovere lo
sviluppo locale, laddove i progetti sostengono un approccio
multilivello, multisettoriale, territoriale e integrato’. Almeno il 5%
delle risorse del FESR sarà destinato ad azioni integrate per lo
sviluppo urbano sostenibile. Inoltre, la Commissione Europea ha proposto
di sviluppare una ‘ambiziosa Agenda urbana’ in ciascun Paese membro,
che permetta alle amministrazioni cittadine di essere direttamente
coinvolte nell’elaborazione delle strategie di sviluppo territoriale. La
Pianificazione Strategica, in quanto strumento dotato di tutte quelle
caratteristiche richieste dalla Strategia Europa 2020, potrebbe essere
il metodo per definire le azioni integrate per lo sviluppo nelle aree
urbane del Paese per l’ottenimento dei finanziamenti? Potrebbero essere
previsti dei meccanismi incentivanti e premiali per le città o aree
urbane che adottano processi di pianificazione strategica come strumento
di governo del territorio?
Certamente! La “pianificazione strategica” (che in inglese suona, in
modo più preciso, integrated spatial development planning) è proprio lo
strumento, o meglio il metodo, per raggiungere l’obiettivo di produrre
progetti integrati, condivisi, all’interno di una visione complessiva
sullo sviluppo possibile della città. Come tale, viene già da tempo
proposta dall’Unione Europea alle regioni per definire strategie,
programmi e progetti da sottoporre al supporto dei Fondi Strutturali.
Più che incentivare questo metodo, la Commissione dovrebbe essere chiara
sul fatto che la pianificazione strategica è condizione fondamentale
per la presentazione di progetti al FESR, e che questi ultimi saranno
giudicati sulla base non di piani di facciata, ma sulla evidenza di
processi partecipati e partenariali, di azioni integrate
multisettoriali, di una significativa responsabilizzazione e
co-finanziamento da parte del privato, di chiari e misurabili obiettivi
strategici, sia generali sia affidati ai singoli progetti. Ma è proprio
questo che esprime già chiaramente la Commissione con i suoi nuovi
Regolamenti, nonché in Italia il Ministro per la Coesione Barca con le
sue nuove “condizionalità” (1) .
Una ulteriore premialità specifica rischierebbe di essere
controproducente. I piani strategici devono nascere spontaneamente da
una cultura di governo e da una maturità delle classi dirigenti urbane,
convinte della necessità di rilanciare una nuova progettualità e nuove
sinergie fra i diversi attori locali, e non artificialmente e
utilitaristicamente come veicolo per ottenere risorse pubbliche - come è
avvenuto nella maggior parte dei piani strategici realizzati nel
Mezzogiorno, con scarsi risultati, ben documentati dalle recenti analisi
di ReCS.
- Il 17 gennaio scorso è stato approvato il Piano Città. Questa
azione - insieme al forte ruolo che il CIPU presieduto dal Ministro
Barca sta rivestendo - sembra essere in possesso dei requisiti necessari
per uscire dalla situazione di stallo in cui le città italiane
giacciono inerte da molto tempo. Aldilà di che cosa accadrà alla città
metropolitana, è indubbio che le città stanno tornando a rivestire un
ruolo di primo piano nella politica del nostro Paese. Fare interagire
politiche urbane e politiche nazionali non è mai stato facile. Quali
sono le sue considerazioni in merito al rapporto tra città e governo
nazionale in questa fase di ridefinizione e sviluppo dei rispettivi
ruoli? Quali sono possibili soluzioni per rafforzare le azioni di
pianificazioni strategiche urbane in modo che possano rappresentare un
pezzo di una strategia complessiva di sviluppo del Paese?
L’avvio di una nuova coscienza sul ruolo che le città sono e saranno
ancor più chiamate a rivestire nei prossimi anni come driver della
ripresa economica e attori delle necessarie innovazioni per la nuova
fase storica di sviluppo, è una novità assolutamente benvenuta.
Finalmente nel nostro paese un governo dimostra di interessarsi alle
città, dopo un lunghissimo periodo di disinteresse non condiviso dalla
maggior parte dei paesi europei, in modo non retorico o ritualistico ma
estremamente concreto. Per chi come me aveva predisposto nel lontano
1996 per il Governo italiano, presidente di turno dell’Unione, un
Rapporto per l’avvio di una “Agenda Urbana Europea”, con le relative
giustificazioni teorico-politiche, i principi di base, gli obiettivi e
le possibili azioni, successivamente in larga misura adottati nel
Framework for action for sustainable urban development dell’UE del 1998
(2) , la novità non può che riempire di soddisfazione e di speranza.
Tre considerazioni e riflessioni sono dovute al riguardo. Innanzitutto,
le decisioni citate nella domanda nascono da due decise azioni esterne:
la decisione della Commissione Europea di riservare il 5% dei fondi FESR
a progetti integrati e innovativi proposti dalle maggiori città, e
l’azione illuminata di un gruppo interparlamentare animato da Walter
Vitali che ha proposto la costituzione del Comitato Interministeriale
per le Politiche Urbane, che il Governo ha intelligentemente affidato al
Ministro Barca.
La seconda considerazione riguarda le città, e in
particolare le più grandi: esse hanno oggi una occasione per assumersi
responsabilità più dirette nella predisposizione dei progetti da
presentare al supporto FESR, e nella gestione delle relative
negoziazioni con la Commissione, dopo anni in cui un malcelato
centralismo regionale le aveva relegate in secondo piano. Ma esse devono
ora dimostrare di meritarsi questo nuovo ruolo, esibendo quella
capacità progettuale e di visione che la teoria economica e politica
urbana assegna loro, ma che nella realtà del nostro paese non è oggi
molto evidente – come dimostra il ritardo con cui la maggior parte di
esse si accinge ad avviare il processo di progettazione strategica. Una
vera governance multilivello del processo è oggi possibile e a portata
di mano.
La terza considerazione concerne gli obiettivi di una Agenda Urbana nel
nostro paese e i compiti di una struttura centrale di gestione. Da anni
ormai le strutture ministeriali che si sono occupate del management dei
Fondi Strutturali, dei relativi orientamenti, negoziazioni, monitoraggi e
valutazioni hanno sviluppato una competenza e una efficacia
rilevantissima, come si è potuto constatare dal “miracolo” della
capacità di utilizzo dei fondi assegnati all’Italia in questa fase
finale del periodo di programmazione 2006-13. Questi compiti e queste
professionalità sono dunque facilmente acquisibili al progetto Città.
Ma
non sono solo questi gli obiettivi e i compiti conseguenti da assegnare
alla struttura. Innanzitutto, dopo anni di scarsa attenzione, occorre
lanciare un progetto di analisi di benchmarking internazionale e di
interpretazione delle criticità infrastrutturali e funzionali delle
nostre città nei confronti delle città degli altri paesi europei, al
fine di individuare priorità, potenzialità, specificità e ambiti di
intervento progettuale.
In secondo luogo occorre avviare una seria
riflessione normativa su due problematiche istituzionali:
- i ruoli dei diversi livelli di governo e in modo particolare le
attribuzioni alle nuove città metropolitane, anche al fine di
semplificare l’iter decisionale sui progetti territoriali. E occorre
anche, in questo ambito, ripensare alla riforma delle province, gestita
fin qui in modo approssimativo e largamente superficiale dal Governo
Monti (pensiamo alle aggregazioni imposte ‘contro natura’, alla
delegittimazione del solo organo naturalmente preposto alla – oggi
cruciale – pianificazione territoriale, ai costi della proposta
riorganizzazione, ai limitati risparmi di spesa;
- la necessaria revisione della fiscalità immobiliare, nazionale e
locale. E’ questo un ambito in cui la normativa, nazionale e regionale, è
vecchia, largamente non aggiornata quanto a parametri e definizione di
oneri, inadatta a orientare il settore immobiliare nelle nuove direzioni
da tutti auspicate – riduzione dei consumi di suolo e incentivo alla
rigenerazione urbana – e del tutto insufficiente per finanziare le nuove
priorità urbane, di infrastrutturazione, di gestione, di manutenzione. I
livelli degli oneri concessori e di urbanizzazione non coprono ormai
nemmeno i costi delle opere primarie, e, anche nelle esperienze locali
in cui sono più elevati, appaiono da un quarto a un quinto il livello di
paesi come la Germania o la Spagna. E la legislazione nazionale sui
capital gain immobiliari sembra essere di manica assai larga sia come
livelli di tassazione sia come mancato contrasto alle possibilità facili
di evasione. Da un aggiornamento delle relative legislazioni attendiamo
la possibilità che sia la imposizione sulla rendita immobiliare e
fondiaria a finanziare il rilancio delle città, e non solo una
imposizione patrimoniale tipo IMU che colpisce chi la rendita l’ha
pagata, e cara, all’atto dell’acquisto dell’immobile.
- Quali ritiene essere le opportunità offerte dalle alleanze tra
città come ReCS e tra città e istituzioni sovralocali? E, più in
generale, quale contributo possono offrire reti o associazioni che
affiancano le pubbliche amministrazioni alla costruzione di una visione
urbana nazionale?
L’esperienza delle Rete delle Città Strategiche (ReCS) è ben chiara al
proposito. La possibilità di osservare comparativamente, e dall’interno,
i problemi e le soluzioni che ogni città singolarmente ha elaborato,
apporta un grande valore aggiunto di conoscenza, ben utilizzabile nella
fase attuale. Inoltre la ReCS ha ormai sviluppato una serie di rapporti,
non solo con le città, ma anche con simili associazioni e reti
internazionali, acquisendo una capacità di confronto e di benchmarking
delle migliori pratiche che è assai rara e preziosa. Infine, reti come
la ReCS, ma anche altre istituzioni e laboratori urbani, hanno avviato
una utilissima pratica di cooperazione fra mondo della ricerca
scientifica e mondo della pratica amministrativa e politica che
garantiscono così in buona misura la capacità di coniugare concretezza e
principi generali, visioni coraggiose e strategie operative.
(1)
Ministero della Coesione Territoriale, “Metodi e obiettivi per un uso
efficace dei fondi comunitari 2014-20”, Roma, 27 dicembre 2012.
(2) R. Camagni, M.C. Gibelli, “Cities in Europe:
globalisation, sustainability and cohesion”, in European Spatial
Planning, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma, Il Poligrafico
dello Stato, 1996. Il Rapporto fu consegnato ai Ministri Territoriali
europei al Ministerial Meeting di Venezia, maggio 1996.
ReCS, febbraio 2013 - www.recs.i
a cura di Sonia Zarino (architetto, urbanista)
giovedì 28 marzo 2013
L'Unione Europea e le azioni integrate per lo sviluppo. Il Piano Città: un passo verso un'Italia strategica?
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