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Nell’ambito dell’Economic Development Forum di Eurocities, che ha avuto luogo a Torino tra il 10 e il 12 aprile 2013, si è svolto un Seminario sulle Città metropolitane destinato a riflettere sui progressi e le questioni in gioco nel processo di costituzione delle Città metropolitane avviato con i recenti provvedimenti normativi nazionali.
Il seminario è stato organizzato dalla Città di Torino e Torino Internazionale/Strategica nell’ambito di un progetto europeo denominato CityRegions (programma Central Europe).
Aperto da una relazione introduttiva sull’evoluzione del quadro normativo in materia di Città metropolitane, il seminario si è successivamente articolato in una serie di presentazioni di esperienze relative ad alcune realtà nazionali (Milano, Bologna, Genova, Venezia e Torino), al fine di evidenziare il percorso finora compiuto, le prospettive future, le difficoltà incontrate, ecc. Questo documento propone una sintesi dei principali elementi emersi nel corso delle presentazioni.
Nell’ambito dell’Economic Development Forum di Eurocities, che ha avuto luogo a Torino tra il 10 e il 12 aprile 2013, si è svolto un Seminario sulle Città metropolitane destinato a riflettere sui progressi e le questioni in gioco nel processo di costituzione delle Città metropolitane avviato con i recenti provvedimenti normativi nazionali.
Il seminario è stato organizzato dalla Città di Torino e Torino Internazionale/Strategica nell’ambito di un progetto europeo denominato CityRegions (programma Central Europe).
Aperto da una relazione introduttiva sull’evoluzione del quadro normativo in materia di Città metropolitane, il seminario si è successivamente articolato in una serie di presentazioni di esperienze relative ad alcune realtà nazionali (Milano, Bologna, Genova, Venezia e Torino), al fine di evidenziare il percorso finora compiuto, le prospettive future, le difficoltà incontrate, ecc. Questo documento propone una sintesi dei principali elementi emersi nel corso delle presentazioni.
Il primo provvedimento in materia (l. 142/90) non condusse all’istituzione di alcuna CM, e ciò per diverse ragioni: innanzitutto, il percorso attuativo della norma era abbastanza complesso (prevedeva un dialogo tra la Regione, il Comune capoluogo e i Comuni dell’area metropolitana); in secondo luogo, la crisi che investì il sistema politico negli anni immediatamente successivi all’approvazione della legge (1992-1993), pose altri e più pressanti problemi nell’agenda dei decisori.
Le CM nel 2001 furono introdotte nella Costituzione in aggiunta agli altri livelli di governo (Regioni, Province e Comuni) con la riforma del suo Titolo V, al cui interno era anche previsto un ulteriore regime speciale per Roma Capitale.
Il testo unico degli enti locali approvato con il d.lgs 267/2000 aveva nel frattempo introdotte significative modifiche rispetto al processo di costituzione delle CM previsto dalla legge 142/90 riducendo il ruolo delle Regioni e legandolo più all’iniziativa spontanea di Province e Comuni. Anche questa riforma tardò a trovare attuazione, soprattutto per motivi politici. La legislatura successiva fu infatti governata da una coalizione diversa (centro destra) da quella che aveva introdotto la riforma costituzionale e tra i suoi obiettivi aveva anche quello di “riformare la riforma”. La nuova proposta di rivisitazione della carta costituzionale non verrà tuttavia formalmente approvata (bocciata in sede referendaria).
Nella legislatura successiva (2006-2008), le CM trovano spazio nel rilevante disegno di legge promosso dal governo di centro sinistra (Carta delle autonomie); anche questa proposta tuttavia non giunse ad approvazione. La legislatura 2008-2013 partì con un governo di centro destra che pose al centro della sua azione il cosiddetto “federalismo fiscale” che trovò formulazione in un provvedimento molto complesso (la legge 42/2009), all’interno del quale erano ricomprese nuove regole per il finanziamento e il processo di costituzione delle CM. L’attuazione del federalismo fiscale è stata tuttavia interrotta dalla recente crisi economica finanziaria, in seguito alla quale sono stati approvati una serie di provvedimenti di carattere emergenziale, volti principalmente alla riduzione delle spese e delle classe politica. Il primo di tali provvedimenti è il d.l. 201/2011 (“Salva Italia”) con il quale sostanzialmente si prevedeva la soppressione delle Province o meglio la loro trasformazione in enti di secondo livello, con poche funzioni, governate da un presidente e un consiglio provinciale di dimensioni molto ridotte (eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali della provincia di riferimento).
Le preoccupazioni sulla incerta costituzionalità di tale provvedimento, per gli aspetti relativi alle province, ha condotto il governo a ritornare successivamente sulla questione.
Richiamato in proposito l’atteggiamento di indifferenza quando non di vera e propria opposizione manifestato sia dalla Regione che dalla Provincia sulla questione del governo metropolitano. La Provincia ha di recente, (2012) deciso di chiudere un consorzio tra Provincia e Comune di Venezia istituito alla fine degli anni sessanta del secolo scorso che era dedicato proprio a queste tematiche di governo di area vasta.
Tali atteggiamenti sono riconducibili sia al timore che un ente metropolitano tolga spazio alle istituzioni presenti, sia al fatto che spesso tali istituzioni (Regione, Provincia e Comune capoluogo) sono governate da maggioranze politiche di diverso colore.
Per quanto riguarda il percorso innescato dal recente quadro normativo, in sede locale è stata istituita (a novembre del 2012) la conferenza metropolitana che ha tuttavia sospeso i suoi lavori in seguito all'approvazione della legge nazionale di stabilità 2013.
Un aspetto interessante riguarda il fatto che alcuni Comuni della provincia di Padova hanno formalmente chiesto di aderire alla CM di Venezia. Qui si pone un problema non irrilevante sulla dimensione territoriale dell’area metropolitana. La Regione, nei suoi documenti di pianificazione ha sempre ragionate con riferimento ad una area più estesa della sola provincia di Venezia (il “famoso bilanciere” Padova Venezia) ed anche il recente studio dell’OECD (Territorial Review dell’OECD) dedicato a Venezia ha ipotizzato un’area metropolitana di ampie dimensioni, includente i territori di Padova,Venezia ed anche Treviso (all’Oecd è stato di recente richiesto di sviluppare un’attività di accompagnamento verso la CM di Venezia). Un’area di questa estensione garantirebbe quella visibilità internazionale che molti ritengono fondamentale per competere.
Tornando al livello locale, occorre ricordare che il Comune capoluogo ha una commissione consiliare dedicata alla questione metropolitana (presieduta dall’opposizione) che sta svolgendo una serie di incontri per acquisire elementi conoscitivi utili alla costituzione della CM. Il sindaco di Venezia si è inoltre attivato affinché, su iniziativa del CCRE (sorta di Anci europeo), venisse approvato dal Consiglio d’Europa una mozione per l’attuazione delle CM in Italia. Tra le questioni che dovrebbero essere prese in considerazione nel processo di costituzione della CM (oltre a quelli già richiamati nelle precedenti relazioni) merita di essere ricordata la presenza delle numerose aziende e società di servizi e
sistenti nel territorio (trasporti, acqua, ecologia, ecc.) il cui assetto dei poteri andrà riformulato (“cammino non molto facile”).
Per quanto concerne il sistema elettorale, si può ipotizzare un elezione indiretta degli organi del governo metropolitano se questo ha una funzione strumentale, ovvero operi come associazione dei comuni; molto rilevante il tema dell’unione e della fusione dei comuni. Altro elemento rilevante concerne il coinvolgimento dei cosiddetti corpi sociale intermedi (sindacati, associazioni di categoria, ecc.) che, più di altri soggetti, sollecitano l’istituzione di un governo metropolitano e per i quali sarebbe opportuno individuare, nello Statuto della CM, opportune forme per la loro partecipazione (oltre naturalmente a quelle prevista per i cittadini). Rilevata la rilevanza di funzione di area vasta peculiari nell’esperienza veneziana (ruolo dei consorzi di bacino nel controllo delle acque).
Infine è stata posta attenzione su una serie di ulteriori aspetti: la possibilità di utilizzare i piani territoriali di coordinamento provinciale come strumenti di governo dell’area metropolitana (soprattutto quando essi assumo i caratteri tipici dei piani strategici); la necessità di avviare e attrezzarsi per promuovere partnership pubblico private; tra le attività della CM attribuire molta rilevanza alla questione dei servizi (per far percepire ai cittadini che la CM migliora i livelli dei servizi).
L’ultima relazione del seminario ha richiamato alcuni aspetti del caso di Torino (Gino Anchisi, segretario generale dell’Unione Province Piemontesi).
In particolare è stata ricordata la necessità di procedere ad una riforma delle Province nella direzione di un loro accorpamento e conseguente riduzione di numero con previsione contestuale di istituzione della CM.
Al centro di questa proposta la questione dell’individuazione della dimensione entro la quale si manifesta le domande di servizio da parte dei cittadini e la dimensione ottimale per l’erogazione dei servizi. La consapevolezza che la dimensione comunale non sia adeguata è ormai consolidata. È stato richiamato il problema innescato dalla crisi economica e conseguente riduzione di disponibilità finanziarie per le amministrazioni pubbliche locali che avrà ripercussioni anche sui servizi di interesse pubblico erogati ai cittadini.
Un tema rilevante in tutto questo processo riguarda le modalità di esercizio del potere ovvero di come verranno governati e gestiti i servizi. Se tutti sono d’accordo sulla necessità di costruire sistemi in grado di aver e una visione complessiva per le diverse questioni (acqua, trasporti, rifiuti, ecc.), il problema di chi gestisce effettivamente il potere si pone: governo delle grandi aziende pubblico private oppure organi di rappresentanza collettive?
All’origine della questione c’è la difficoltà di distinguere tra governo e gestione dei servizi.
Alcuni caratteri generali del caso torinese erano stati richiamati in precedenza nell’intervento introduttivo (Claudio Lubatti, Assessore alla mobilità e trasporti e area metropolitana) ove era stato ricordato che la Città di Torino, su esplicito impegno del Sindaco, cerca di impostare tutte le politiche su base metropolitana. Peraltro, negli anni scorsi le politiche strategiche sono sempre state studiate con un’ottica metropolitana ma non su base provinciale, bensì individuando a seconda delle tematiche quali erano i Comuni interessati.
Il problema risiede nel definire l’area metropolitana a Torino e quanto questa possa essere diversa da altre aree metropolitane italiane. Consapevoli che per molte politiche non si può più ragionare avendo come riferimento la dimensione comunale.
Ad es. sul tema mobilità è necessario ragionare tenendo conto dei 31 comuni che circondano Torino. Coerentemente, l’agenzia metropolitana che gestisce i trasporti su base metropolitana non ha 315 comuni ma ne ha 31 quelli che rappresentano la vera area metropolitana. Riflessioni analoghe devono esser fatte quando si prende in considerazione la questione dei rifiuti o le politiche urbanistiche.
Il problema a Torino è che il territorio della Provincia ha un’estensione pari 315 comuni, alcuni inseriti in contesti specifici, diversi da quelli dell’area metropolitana in senso stretto. Ulteriore tema rilevante riguarda la relazione che questi territori hanno conla Regione, area ancora più vasta. Su queste due tematiche sono necessari approfondimenti tecnici, per poter creare una nuova istituzione metropolitana che risulti coerente con le specificità del territorio torinese.
Le CM nel 2001 furono introdotte nella Costituzione in aggiunta agli altri livelli di governo (Regioni, Province e Comuni) con la riforma del suo Titolo V, al cui interno era anche previsto un ulteriore regime speciale per Roma Capitale.
Il testo unico degli enti locali approvato con il d.lgs 267/2000 aveva nel frattempo introdotte significative modifiche rispetto al processo di costituzione delle CM previsto dalla legge 142/90 riducendo il ruolo delle Regioni e legandolo più all’iniziativa spontanea di Province e Comuni. Anche questa riforma tardò a trovare attuazione, soprattutto per motivi politici. La legislatura successiva fu infatti governata da una coalizione diversa (centro destra) da quella che aveva introdotto la riforma costituzionale e tra i suoi obiettivi aveva anche quello di “riformare la riforma”. La nuova proposta di rivisitazione della carta costituzionale non verrà tuttavia formalmente approvata (bocciata in sede referendaria).
Nella legislatura successiva (2006-2008), le CM trovano spazio nel rilevante disegno di legge promosso dal governo di centro sinistra (Carta delle autonomie); anche questa proposta tuttavia non giunse ad approvazione. La legislatura 2008-2013 partì con un governo di centro destra che pose al centro della sua azione il cosiddetto “federalismo fiscale” che trovò formulazione in un provvedimento molto complesso (la legge 42/2009), all’interno del quale erano ricomprese nuove regole per il finanziamento e il processo di costituzione delle CM. L’attuazione del federalismo fiscale è stata tuttavia interrotta dalla recente crisi economica finanziaria, in seguito alla quale sono stati approvati una serie di provvedimenti di carattere emergenziale, volti principalmente alla riduzione delle spese e delle classe politica. Il primo di tali provvedimenti è il d.l. 201/2011 (“Salva Italia”) con il quale sostanzialmente si prevedeva la soppressione delle Province o meglio la loro trasformazione in enti di secondo livello, con poche funzioni, governate da un presidente e un consiglio provinciale di dimensioni molto ridotte (eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali della provincia di riferimento).
Le preoccupazioni sulla incerta costituzionalità di tale provvedimento, per gli aspetti relativi alle province, ha condotto il governo a ritornare successivamente sulla questione.
L’ordinamento delle CM è attualmente disciplinato dal d.l. n. 95 del 6 luglio 2012 (convertito con l. 135/2012), successivamente modificato dal decreto-legge 5 novembre 2012, n. 188 (non convertito e “congelato” con la legge di stabilità 2013). Attraverso tali provvedimenti, oltre a riformare la Provincia, è stata prevista l’istituzione di 10 Città metropolitane (Milano, Genova, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari e Reggi o Calabria). La caratteristica di queste Città metropolitane è che, laddove previste, esse sostituiscono le Province (che vengono pertanto soppresse) assumendone le relative finzioni, personale e risorse. Per quanto concerne il territorio delle CM esso, prevede la norma, coincide con il territorio della Provincia preesistente. Oltre ad assumere quelle affidate in generale alle Province, alle CM vengono affidate specifiche funzioni di valenza metropolitana: pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali, strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, viabilità e mobilità, promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale dell’area.
Le CM saranno enti di secondo livello, i cittadini non voteranno il consiglio metropolitano (che saranno invece eletti dai sindaci e dai consiglieri comunali appartenenti ai Comuni della CM, ovvero i Comuni della provincia), anche se vi è l’opzione per gli Statuti di prevedere l’elezione diretta del sindaco metropolitano.
Questo è un primo problema poiché vi sono forze e orientamenti che vorrebbero l’elezione diretta (da parte dei cittadini) del sindaco metropolitano e del consiglio metropolitano .
Altro aspetto, così come attualmente configurato il consiglio metropolitano è composto di un numero ridotto di componenti (da 16 membri per le CM con popolazione superiore ai 3 milioni di abitanti a 10 membri per CM sotto 800 mila abitanti), scelta legata al fatto che la regolamentazione della materia è orientata alla riduzione della spesa (sindaco metropolitano e consiglieri metropolitano sono scelti tra i componenti delle amministrazioni comunali appartenenti alla CM). Tale struttura della CM ha evidenti contraddizioni: ad essa vengono affidate notevoli e significative competenze, ma per essa si prevedono organi di ridotte dimensione.
Altre questioni problematiche relative all’istituzione della CM sono collegate al fatto che esse dovranno convivere con i comuni capoluoghi ed agiscono in contesti regionali dove talora preesiste una normativa ad hoc. In sintesi, sono ancora molti i problemi sul tappeto, alcuni richiedono interventi legislativi mentre altri potranno essere affrontati in sede locale (attraverso lo Statuto della CM).
Allo stato attuale, per quasi tutte le CM previste è stata istituita la conferenza metropolitana (di cui fanno parte l’attuale presidente della provincia i sindaci dei comuni del territorio della CM) con il compito di definire lo statuto della CM, che sarà poi confermato o meno quando la CM sarà effettivamente istituita (1° gennaio 2014).
Tale statuto potrà ovviamente essere diverso poiché diverse sono le CM previste (per dimensione territoriale e demografica, per modello di sviluppo economico, ecc.). Alle singole CM è quindi lasciato il compito di “aggiustarsi il vestito”, ad es. definendo nello statuto i rapporti fra comuni e CM, le modalità di funzionamento degli organi,ecc.
Il secondo intervento (di Piergiorgio Monaci, Direttore del Progetto Speciale Milano Metropoli, Città di Milano) è stato dedicato all’esperienza di Milano. Per caratteristiche quella milanese (forse con Napoli) è l’area metropolitana italiana più compatta dal punto di vista territoriale. Il comune capoluogo e i comuni intorno costituiscono un contunuum urbano senza soluzione di continuità (ad eccezione di una parte posta a sud) occupando una significativa superficie di territorio e con una popolazione complessiva di circa 4 milioni di abitanti (di cui 1,3 milioni nel capoluogo).
Si richiama tuttavia il problema legato alla provincia Monza Brianza che, pur essendo oggi provincia a sé, il suo territorio è strettamente connesso all’area metropolitana milanese per cui dovrebbe essere ricondotto nell’ambito della costituenda CM. Il territorio dell’area milanese presenta consolidate esperienze di cooperazione intercomunale; si ricorda l’esperienza del piano intercomunale milanese (PIM), avviata negli anni ’60 del secolo scorso, quale tentativo di costruire politiche integrate tra comuni(soprattutto in tema di progettazione, programmazione delle grandi assi infrastrutturali e in tema urbanistico).
Nel corso di tale esperienza è stata costituita un’associazione tra Comuni (tuttora esistente). Questo vicenda è molto importante perché ha segnato un percorso che oggi si sta cercando di riprendere e proseguire.
Inoltre, come in molte altre aree metropolitane, anche in quella milanese negli ultimi decenni sono state avviate alcune esperienze di cooperazione tra alcuni comuni: per la redazione (negli anni ’90) di piani strategici di scala sovracomunale comprendenti comuni aventi caratteristiche abbastanza omogenee; attraverso la creazione di strutture tecniche quali agenzie di sviluppo territoriale, la costituzione di società di gestione di servizi in tema di rifiuti, trasporti, ecc.
Nel periodo più recente sono emerse alcune novità:
Per quanto riguarda il processo di costituzione della CM, oltre a partecipare ai gruppi di lavoro dell’Anci, sono state avviate una serie di attività di supporto all’azione del lavoro della conferenza metropolitana (che nel caso di Milano non è stata insediata e ha seguito un percorso tortuoso a causa della vicenda “Monza Brianza”). Tuttavia sono state adottate alcune decisioni e promosse una serie di iniziative. Innanzitutto si è scelto di avvalersi delle strutture consolidate (come quelle del pim) e si sta lavorando per raccogliere una serie di elementi conoscitivi di natura tecnica. A tale proposito, attraverso un primo gruppo di lavoro, si prevede di realizzare dei dossier tematici di carattere tecnico sulle funzioni e le competenze attribuite alla CM, una ricognizione delle competenze relative a reti viarie, grandi infrastrutture di comunicazione (e loro attuale stato di attribuzione tra comune, provincia, regione ecc.) così come delle esistenti strutture organizzative (ad es. le società partecipate che gestiscono servizi).
Tali lavori confluiranno in specifici position papers che serviranno come base di confronto tra i sindaci.
Le CM saranno enti di secondo livello, i cittadini non voteranno il consiglio metropolitano (che saranno invece eletti dai sindaci e dai consiglieri comunali appartenenti ai Comuni della CM, ovvero i Comuni della provincia), anche se vi è l’opzione per gli Statuti di prevedere l’elezione diretta del sindaco metropolitano.
Questo è un primo problema poiché vi sono forze e orientamenti che vorrebbero l’elezione diretta (da parte dei cittadini) del sindaco metropolitano e del consiglio metropolitano .
Altro aspetto, così come attualmente configurato il consiglio metropolitano è composto di un numero ridotto di componenti (da 16 membri per le CM con popolazione superiore ai 3 milioni di abitanti a 10 membri per CM sotto 800 mila abitanti), scelta legata al fatto che la regolamentazione della materia è orientata alla riduzione della spesa (sindaco metropolitano e consiglieri metropolitano sono scelti tra i componenti delle amministrazioni comunali appartenenti alla CM). Tale struttura della CM ha evidenti contraddizioni: ad essa vengono affidate notevoli e significative competenze, ma per essa si prevedono organi di ridotte dimensione.
Altre questioni problematiche relative all’istituzione della CM sono collegate al fatto che esse dovranno convivere con i comuni capoluoghi ed agiscono in contesti regionali dove talora preesiste una normativa ad hoc. In sintesi, sono ancora molti i problemi sul tappeto, alcuni richiedono interventi legislativi mentre altri potranno essere affrontati in sede locale (attraverso lo Statuto della CM).
Allo stato attuale, per quasi tutte le CM previste è stata istituita la conferenza metropolitana (di cui fanno parte l’attuale presidente della provincia i sindaci dei comuni del territorio della CM) con il compito di definire lo statuto della CM, che sarà poi confermato o meno quando la CM sarà effettivamente istituita (1° gennaio 2014).
Tale statuto potrà ovviamente essere diverso poiché diverse sono le CM previste (per dimensione territoriale e demografica, per modello di sviluppo economico, ecc.). Alle singole CM è quindi lasciato il compito di “aggiustarsi il vestito”, ad es. definendo nello statuto i rapporti fra comuni e CM, le modalità di funzionamento degli organi,ecc.
Il secondo intervento (di Piergiorgio Monaci, Direttore del Progetto Speciale Milano Metropoli, Città di Milano) è stato dedicato all’esperienza di Milano. Per caratteristiche quella milanese (forse con Napoli) è l’area metropolitana italiana più compatta dal punto di vista territoriale. Il comune capoluogo e i comuni intorno costituiscono un contunuum urbano senza soluzione di continuità (ad eccezione di una parte posta a sud) occupando una significativa superficie di territorio e con una popolazione complessiva di circa 4 milioni di abitanti (di cui 1,3 milioni nel capoluogo).
Si richiama tuttavia il problema legato alla provincia Monza Brianza che, pur essendo oggi provincia a sé, il suo territorio è strettamente connesso all’area metropolitana milanese per cui dovrebbe essere ricondotto nell’ambito della costituenda CM. Il territorio dell’area milanese presenta consolidate esperienze di cooperazione intercomunale; si ricorda l’esperienza del piano intercomunale milanese (PIM), avviata negli anni ’60 del secolo scorso, quale tentativo di costruire politiche integrate tra comuni(soprattutto in tema di progettazione, programmazione delle grandi assi infrastrutturali e in tema urbanistico).
Nel corso di tale esperienza è stata costituita un’associazione tra Comuni (tuttora esistente). Questo vicenda è molto importante perché ha segnato un percorso che oggi si sta cercando di riprendere e proseguire.
Inoltre, come in molte altre aree metropolitane, anche in quella milanese negli ultimi decenni sono state avviate alcune esperienze di cooperazione tra alcuni comuni: per la redazione (negli anni ’90) di piani strategici di scala sovracomunale comprendenti comuni aventi caratteristiche abbastanza omogenee; attraverso la creazione di strutture tecniche quali agenzie di sviluppo territoriale, la costituzione di società di gestione di servizi in tema di rifiuti, trasporti, ecc.
Nel periodo più recente sono emerse alcune novità:
- La prima è l’esistenza di una legge che codifica e impone la CM.
- La seconda e più importante novità è legata al ruolo più attivo e propositivo che intende svolgere il Comune capoluogo
Per quanto riguarda il processo di costituzione della CM, oltre a partecipare ai gruppi di lavoro dell’Anci, sono state avviate una serie di attività di supporto all’azione del lavoro della conferenza metropolitana (che nel caso di Milano non è stata insediata e ha seguito un percorso tortuoso a causa della vicenda “Monza Brianza”). Tuttavia sono state adottate alcune decisioni e promosse una serie di iniziative. Innanzitutto si è scelto di avvalersi delle strutture consolidate (come quelle del pim) e si sta lavorando per raccogliere una serie di elementi conoscitivi di natura tecnica. A tale proposito, attraverso un primo gruppo di lavoro, si prevede di realizzare dei dossier tematici di carattere tecnico sulle funzioni e le competenze attribuite alla CM, una ricognizione delle competenze relative a reti viarie, grandi infrastrutture di comunicazione (e loro attuale stato di attribuzione tra comune, provincia, regione ecc.) così come delle esistenti strutture organizzative (ad es. le società partecipate che gestiscono servizi).
Tali lavori confluiranno in specifici position papers che serviranno come base di confronto tra i sindaci.
Un secondo gruppo di lavoro è composto da giuristi delle università milanesi e ad esso è stato affidato il compito di predisporre delle possibili opzioni di statuto della CM. Uno degli aspetti positivi dell’attuale quadro normativo è la previsione di uno statuto di carattere molto flessibile, che può essere modificato nel tempo senza eccessive difficoltà. Inoltre è stato promosso un percorso di confronto con altre città internazionali per studiare le diverse esperienze di governo metropolitano. A tal proposito è stata recentemente organizzata una conferenza internazionale - in cui sono state illustrate le esperienze di Berlino, Parigi e Stoccarda – dalla quale sono emersi aspetti interessanti (non esiste un modello unico e universale di governo metropolitano e il percorso di realizzazione di queste forme di governo richiede di ragionare con orizzonti temporali molto lunghi, anche di venti anni).
Infine si è scelto di avvalersi di strumenti in grado di informare e coinvolgere i cittadini su questo percorso istitutivo della CM (sito web orientato a informare e a raccogliere riflessioni dei cittadini). Un ultimo aspetto merita infine di essere richiamato per l’esperienza milanese. L’attuale sindaco del capoluogo ritiene che il processo avviato debba condurre alla fusione dell’attuale Comune con la Provincia per confluire in un unico soggetto (la CM), con componenti eletti direttamente dai cittadini.
L’esperienza di Bologna è stata l’oggetto della successiva relazione. Nella prima parte dell’intervento(Francesco Tentoni, Responsabile Unità Operativa Affari Generali Affari generali ed innovazione istituzionale) è stata ripercorsa la storia metropolitana di Bologna. Una storia che ha radici profonde e antiche, segnata da successi ma anche grandi frenate.
L’avvio della vicenda bolognese si colloca nel periodo immediatamente successivo all’approvazione della l. n. 142/90 e le iniziative messe in campo conducono alla stipula nel 1994 di un Accordo per la Città metropolitana, sottoscritto dalla Provincia, dal Comune capoluogo e da 50 dei 60 comuni in cui si articola la provincia di Bologna. Attraverso l’Accordo i soggetti si impegnano di giungere all’istituzione del nuovo ente metropolitano e nella promozione di comuni servizi metropolitani (unendo le competenze tecniche delle burocrazie comunali e provinciali).
Uno dei primi esempi di questi orientamento a lavorare in comune è costituito dal primo piano territoriale di coordinamento provinciale. L’Accordo del 1994 ha inoltre istituito la conferenza metropolitana quale sede di confronto e coordinamento tra i sindaci e il presidente della Provincia a cui presto si è affiancato un Ufficio di Presidenza (di dimensioni più ridotte) e poi, con funzioni più tecniche, un Tavolo di consulenza giuridica orientato a rendere più omogenee le procedure e a fornire interpretazioni condivise sulle principali novità legislative.
Tali strutture esistono tuttora anche se non si è giunti, come prevedeva l’Accordo, alla costituzione dell’ente metropolitano. Nel 1995 la Regione Emilia Romagna aveva delimitato territorialmente l’area metropolitana bolognese e definito alcuni connotati che avrebbe potuto avere la CM (l.r. 19/1995). Per quanto riguarda i suoi confini, l’area metropolitana coincide con il territorio provinciale (e su questo aspetto non si è mai registrato particolare conflitto). In merito agli aspetti di carattere strutturale,la legge regionale ipotizza la soppressione della Provincia e sua sostituzione con la CM e prevede la possibilità di istituire il Circondario e di frazionare il Comune capoluogo.
La previsione del Circondario è legata al fatto che nel territorio è presenta un’area territoriale con peculiari caratteristiche economico-sociali e a forte vocazione autonomista (Imola e i comuni ad essa limitrofi).
Le caratteristiche della CM previste dalla l.r. evidenziano inoltre i tratti di un ente metropolitano “gestore di servizi” (richiamando la questione delle compartecipazioni e delle maggioranze nelle attuali società gestrici dei servizi). L’approvazione della l.r. non porta alla formale istituzione della CM ma si rafforzano i rapporti tra gli enti interessati che avviano una serie di attività e servizi comuni (concorsi unici metropolitani, formazione comune, ufficio tecnico della pianificazione, consulenza per
gare e contratti, ecc.).
Il dibattito sulla CM riprende in sede locale con la riforma del Titolo V della Costituzione e il successivo rinnovato Statuto regionale (in cui si dichiara che il capoluogo della regione è la CM di Bologna). Il successivo rilancio della questione delle autonomie locali e l’avvio del “federalismo fiscale” porta a costituire alcuni gruppi di lavoro dedicati ad affrontare la questione delle funzioni della CM.
Il “cantiere” della CM riprende spazio nel dibattito con il d.l.95/2012 (e successivi provvedimenti). Nei
mesi più recenti si è proceduto ad istituire la Conferenza metropolitana che dovrà giungere all'approvazione dello Statuto (nonché il regolamento di funzione della Conferenza medesima). Per i lavori della conferenza, supportati tra l’altro dalla strutture preesistenti e dagli uffici provinciali, è prevista un articolazione in tre commissioni destinate ad affrontare questioni diverse:
funzioni, governance e risorse della CM.
Nonostante il rallentamento determinato dalle previsioni della legge di stabilità 2013, proseguono le attività di analisi e studio.
Nella seconda parte dell’intervento (Stefano Ramazza, Dirigente Responsabile del Gabinetto di Presidenza, Provincia di Bologna) è stata dapprima illustrata una riflessione del diverso significato del termine “metropolitano”,con riferimento al caso emiliano e a Bologna. Si sono così richiamate la regione metropolitana che coincide con l’intero territorio regionale (caratterizzato da un forte policentrismo lungo l’asse della Via Emilia che nei capoluoghi delle attuali province i nodi più rilevanti), l’area vasta metropolitana che riguarda invece il territorio della sola Provincia di Bologna (1 milione di abitanti e una densità di 270 ab/kmq), e l’area urbana metropolitana composta dal continuum urbano che ricomprende il capoluog o e altri due comuni confinanti (per 450 mila abitanti e una densità dieci volte superiore rispetto a quella dell’area vasta). E’ importante osservare che il milione di cittadini dell’area vasta metropolitana, ovvero della Provincia, si riconoscono nell’identità bolognese.
Nei mesi recenti in cui si è riavviato il percorso della CM, i lavori sono stati improntati ad un serie di principi e obiettivi (peraltro previsti dalla recente l.r. 21/2012 sul riordino degli enti territoriali) ovvero: razionale distribuzione delle funzioni (alla luce dei criteri di unicità, semplificazione, adeguatezza, prossimità al cittadino, non sovrapposizione e non duplicazione delle stesse) e tendenziale l'attribuzione ad un unico soggetto dell'intera funzione. L’istituzione della CM va infatti collocato anche nell’ambito della legge regionale di riordino e sulla consapevolezza che molte funzioni hanno una rilevanza sovra comunale (in Emilia Romagna vi sono 380 comuni). L’azione sovra comunale può essere promossa attraverso due forme:
l’unione volontaria dei Comuni o il processo di fusione dei Comuni e nella Provincia di Bologna sono presenti alcune interessanti esperienze di fusione dei Comuni, concluse o in corso (Valsamoggia e Reno Galliera) dalle quali, tra l’altro, si è registrata una riduzione della spesa per amministratori.
Per quanto concerne la CM è importante segnalare che oltre al percorso istituzionale di elaborazione dello statuto provvisorio da parte della Conferenza metropolitana, è partito nei territori della provincia di Bologna un percorso di coinvolgimento dei cittadini che si avvale di tecniche e modalità innovative (open space technology, town meeting, work cafe); entro il settembre 2013 si prevede un town meeting che coinvolgerà 300 rappresentanti scelti tra livelli istituzionali e popolazione al fine di formulare proposte per lo statuto della CM. Nel corso degli incontri con la popolazione finora svolti è costante la richiesta di dar vita ad un robusto ente metropolitano con elezione diretta del sindaco metropolitano. In linea generale,i cittadini sembrano aver assimilato un’identità metropolitana e hanno consapevolezza che i problemi richiedono interventi di livello sovra comunale e metropolitano.
Alla luce del lavoro svolto e dell’attuale quadro normativo (integrato nel caso emiliano con i principi della legge regionale di riordino), sono proposti tre scenari, con diversi orizzonti temporali, che partono dalla consapevolezza che nella realtà bolognese la governance metropolitana esiste e funziona mentre è necessario agire sul government, sulle istituzioni e promuovere in maggior misura la fusione dei comuni. I tre diversi scenari vanno nella direzione di ridurre i livelli del governo locale, propongono una riduzione del numero dei comuni esistenti (attraverso loro fusione), e la disarticolazione del Comune capoluogo in 4/6 comuni.
Il caso di Genova (Luisa Tarantola, responsabile dello staff della Segreteria generale della Città di Genova) presenta alcuni caratteri distintivi rispetto ad altre aree metropolitane. Il territorio della città metropolitana, che coincide con quello della Provincia è costituito da 67 comuni per una popolazione complessiva di oltre 850 mila abitanti. Il capoluogo ha un peso molto elevato (600 mila abitanti) e gli altri Comuni sono invece caratterizzati da ridotte dimensioni demografiche. Per quanto concerne l’articolazione territoriale dell’area metropolitana presenta una sorta tripolarità costituite dalla città capoluogo, le vallate dell’entroterra e il territorio costiero a forte vocazione turistica. La dinamica demografica ha registrato un regresso nelle vallate equilibrato da un flusso migratorio verso il capoluogo (che ha le attività tipiche di città portuale) e verso le zone rivierasche che hanno connotazione turistica. Il profilo economico produttivo dell’area (che sconta i segni della recente crisi) è caratterizzato dalla presenza del porto e da grandi insediamenti industriali, oggi soprattutto a livello cantieristico e di produzione annesse. Inoltre, la vocazione turistica, già saldamente presente nel contesto rivierasco (soprattutto nella zona del Tigullio ai confini con la provincia di La Spezia e la Toscana), si va consolidando anche nella città capoluogo.
Per quanto riguarda le attività volte all’istituzione della CM un primo elemento di contesto riguarda il fatto che la Provincia (che sarebbe dovuta andare ad elezione nella primavera 2012) è attualmente governata da un commissario straordinario proprio in ragione del recente quadro normativo (soppressione Province e istituzione CM). La conferenza metropolitana, composta, oltre che dal commissario straordinario, dai sindaci dei 67 comuni della Provincia, è stata istituita abbastanza celermente (settembre 2012) e ha prima approvato un regolamento di organizzazione e funzionamento (ottobre 2012) e poi una bozza provvisoria di Statuto, molto ancorato al dettato normativo. La conferenza è articolata in tre commissioni tematiche: organi di governo, personale e risorse finanziare; funzioni dell CM; rapporti tra CM e comuni.
Le commissioni, di dimensioni ridotte rispetto alla conferenza, sono composte da sindaci individuati in modo da rispettare la rappresentanza territoriale. Il lavoro delle commissioni è supportato dagli apparati amministrativi della Provincia, del Comune capoluogo e degli altri Comuni interessati. La conferenza metropolitana si riunisce con una certa periodicità al fine di condividere i lavori svolti dalle commissione e renderli noti anche a ai sindaci che non partecipano ad alcuna commissione.
In queste prime fasi si è inoltre avviato un dialogo con la Regione, soprattutto per iniziativa della commissione incaricata di approfondire la questione delle funzioni della CM e volta ad esaminare la tematica del governo del territorio e la pianificazione urbanistica in generale (la Regione ha infatti in corso la revisione e formulazione di una nuova legge urbanistica). A richiamare l’attenzione su questi aspetti è anche la “fragilità territoriale” che caratterizza il territorio, un problema molto sentito e condiviso a livello locale. Molte delle tematiche sensibili emerse dai lavori delle commissioni e della conferenza metropolitane sono già stati richiamati negli interventi precedenti. La dimensione molto ristretta degli organi di governo (la norma prevede 10 componenti per il consiglio metropolitano di Genova) pone qualche problema in ordine alla sua capacità di rappresentare efficacemente i territori dell’area metropolitana genovese. A tal fine, la prima bozza provvisoria di Statuto prevede una conferenza permanente dei sindaci con funzioni consultive e propositive nei confronti del consiglio metropolitano (che date le sue ridotte dimensione sembra quasi configurarsi come una sorta di giunta). Inoltre, è in discussione anche l’organizzazione della stessa conferenza permanente; si prevede di istituire delle commissioni (ma non ancora definito il criterio organizzativo, se per area territoriale o per tematiche).
Un altro aspetto che può creare difficoltà è la presenza nella CM di un capoluogo di grandi dimensioni rispetto agli altri comuni. Infine, un aspetto di notevole rilevanza risiede è la questione dell'attribuzione o delega di funzione aggiuntive da parte dei Comuni alla CM sulla scorta di esistenti esperienze di cooperazione intercomunale e tra comuni e provincia.
Il caso di Venezia è stato l’oggetto della successivo intervento (Isabella Scaramuzzi, Segreteria Tecnica del Sindaco, Città di Venezia). Premesso che la questione metropolitana è stata affrontata con un dibattito ormai ultradecennale e che finalmente la legge obbliga a costruire l’ente metropolitano è opportuno ricordare che alcune esperienze di governance metropolitana sono già state avviate in passato. A Venezia, come già a Milano, era stato promosso il piano intercomunale a cui sono poi seguite altre iniziative di cooperazione intercomunale e tra comuni e provincia e regione (patti territoriali, accordi di programma, intese di sviluppo, ecc.).
E’ importante ricordare che il governo metropolitano è sito specifico (ogni realtà presenta caratteri diversi) ed il processo di costituzione della CM è path dependent.
Infine si è scelto di avvalersi di strumenti in grado di informare e coinvolgere i cittadini su questo percorso istitutivo della CM (sito web orientato a informare e a raccogliere riflessioni dei cittadini). Un ultimo aspetto merita infine di essere richiamato per l’esperienza milanese. L’attuale sindaco del capoluogo ritiene che il processo avviato debba condurre alla fusione dell’attuale Comune con la Provincia per confluire in un unico soggetto (la CM), con componenti eletti direttamente dai cittadini.
L’esperienza di Bologna è stata l’oggetto della successiva relazione. Nella prima parte dell’intervento(Francesco Tentoni, Responsabile Unità Operativa Affari Generali Affari generali ed innovazione istituzionale) è stata ripercorsa la storia metropolitana di Bologna. Una storia che ha radici profonde e antiche, segnata da successi ma anche grandi frenate.
L’avvio della vicenda bolognese si colloca nel periodo immediatamente successivo all’approvazione della l. n. 142/90 e le iniziative messe in campo conducono alla stipula nel 1994 di un Accordo per la Città metropolitana, sottoscritto dalla Provincia, dal Comune capoluogo e da 50 dei 60 comuni in cui si articola la provincia di Bologna. Attraverso l’Accordo i soggetti si impegnano di giungere all’istituzione del nuovo ente metropolitano e nella promozione di comuni servizi metropolitani (unendo le competenze tecniche delle burocrazie comunali e provinciali).
Uno dei primi esempi di questi orientamento a lavorare in comune è costituito dal primo piano territoriale di coordinamento provinciale. L’Accordo del 1994 ha inoltre istituito la conferenza metropolitana quale sede di confronto e coordinamento tra i sindaci e il presidente della Provincia a cui presto si è affiancato un Ufficio di Presidenza (di dimensioni più ridotte) e poi, con funzioni più tecniche, un Tavolo di consulenza giuridica orientato a rendere più omogenee le procedure e a fornire interpretazioni condivise sulle principali novità legislative.
Tali strutture esistono tuttora anche se non si è giunti, come prevedeva l’Accordo, alla costituzione dell’ente metropolitano. Nel 1995 la Regione Emilia Romagna aveva delimitato territorialmente l’area metropolitana bolognese e definito alcuni connotati che avrebbe potuto avere la CM (l.r. 19/1995). Per quanto riguarda i suoi confini, l’area metropolitana coincide con il territorio provinciale (e su questo aspetto non si è mai registrato particolare conflitto). In merito agli aspetti di carattere strutturale,la legge regionale ipotizza la soppressione della Provincia e sua sostituzione con la CM e prevede la possibilità di istituire il Circondario e di frazionare il Comune capoluogo.
La previsione del Circondario è legata al fatto che nel territorio è presenta un’area territoriale con peculiari caratteristiche economico-sociali e a forte vocazione autonomista (Imola e i comuni ad essa limitrofi).
Le caratteristiche della CM previste dalla l.r. evidenziano inoltre i tratti di un ente metropolitano “gestore di servizi” (richiamando la questione delle compartecipazioni e delle maggioranze nelle attuali società gestrici dei servizi). L’approvazione della l.r. non porta alla formale istituzione della CM ma si rafforzano i rapporti tra gli enti interessati che avviano una serie di attività e servizi comuni (concorsi unici metropolitani, formazione comune, ufficio tecnico della pianificazione, consulenza per
gare e contratti, ecc.).
Il dibattito sulla CM riprende in sede locale con la riforma del Titolo V della Costituzione e il successivo rinnovato Statuto regionale (in cui si dichiara che il capoluogo della regione è la CM di Bologna). Il successivo rilancio della questione delle autonomie locali e l’avvio del “federalismo fiscale” porta a costituire alcuni gruppi di lavoro dedicati ad affrontare la questione delle funzioni della CM.
Il “cantiere” della CM riprende spazio nel dibattito con il d.l.95/2012 (e successivi provvedimenti). Nei
mesi più recenti si è proceduto ad istituire la Conferenza metropolitana che dovrà giungere all'approvazione dello Statuto (nonché il regolamento di funzione della Conferenza medesima). Per i lavori della conferenza, supportati tra l’altro dalla strutture preesistenti e dagli uffici provinciali, è prevista un articolazione in tre commissioni destinate ad affrontare questioni diverse:
funzioni, governance e risorse della CM.
Nonostante il rallentamento determinato dalle previsioni della legge di stabilità 2013, proseguono le attività di analisi e studio.
Nella seconda parte dell’intervento (Stefano Ramazza, Dirigente Responsabile del Gabinetto di Presidenza, Provincia di Bologna) è stata dapprima illustrata una riflessione del diverso significato del termine “metropolitano”,con riferimento al caso emiliano e a Bologna. Si sono così richiamate la regione metropolitana che coincide con l’intero territorio regionale (caratterizzato da un forte policentrismo lungo l’asse della Via Emilia che nei capoluoghi delle attuali province i nodi più rilevanti), l’area vasta metropolitana che riguarda invece il territorio della sola Provincia di Bologna (1 milione di abitanti e una densità di 270 ab/kmq), e l’area urbana metropolitana composta dal continuum urbano che ricomprende il capoluog o e altri due comuni confinanti (per 450 mila abitanti e una densità dieci volte superiore rispetto a quella dell’area vasta). E’ importante osservare che il milione di cittadini dell’area vasta metropolitana, ovvero della Provincia, si riconoscono nell’identità bolognese.
Nei mesi recenti in cui si è riavviato il percorso della CM, i lavori sono stati improntati ad un serie di principi e obiettivi (peraltro previsti dalla recente l.r. 21/2012 sul riordino degli enti territoriali) ovvero: razionale distribuzione delle funzioni (alla luce dei criteri di unicità, semplificazione, adeguatezza, prossimità al cittadino, non sovrapposizione e non duplicazione delle stesse) e tendenziale l'attribuzione ad un unico soggetto dell'intera funzione. L’istituzione della CM va infatti collocato anche nell’ambito della legge regionale di riordino e sulla consapevolezza che molte funzioni hanno una rilevanza sovra comunale (in Emilia Romagna vi sono 380 comuni). L’azione sovra comunale può essere promossa attraverso due forme:
l’unione volontaria dei Comuni o il processo di fusione dei Comuni e nella Provincia di Bologna sono presenti alcune interessanti esperienze di fusione dei Comuni, concluse o in corso (Valsamoggia e Reno Galliera) dalle quali, tra l’altro, si è registrata una riduzione della spesa per amministratori.
Per quanto concerne la CM è importante segnalare che oltre al percorso istituzionale di elaborazione dello statuto provvisorio da parte della Conferenza metropolitana, è partito nei territori della provincia di Bologna un percorso di coinvolgimento dei cittadini che si avvale di tecniche e modalità innovative (open space technology, town meeting, work cafe); entro il settembre 2013 si prevede un town meeting che coinvolgerà 300 rappresentanti scelti tra livelli istituzionali e popolazione al fine di formulare proposte per lo statuto della CM. Nel corso degli incontri con la popolazione finora svolti è costante la richiesta di dar vita ad un robusto ente metropolitano con elezione diretta del sindaco metropolitano. In linea generale,i cittadini sembrano aver assimilato un’identità metropolitana e hanno consapevolezza che i problemi richiedono interventi di livello sovra comunale e metropolitano.
Alla luce del lavoro svolto e dell’attuale quadro normativo (integrato nel caso emiliano con i principi della legge regionale di riordino), sono proposti tre scenari, con diversi orizzonti temporali, che partono dalla consapevolezza che nella realtà bolognese la governance metropolitana esiste e funziona mentre è necessario agire sul government, sulle istituzioni e promuovere in maggior misura la fusione dei comuni. I tre diversi scenari vanno nella direzione di ridurre i livelli del governo locale, propongono una riduzione del numero dei comuni esistenti (attraverso loro fusione), e la disarticolazione del Comune capoluogo in 4/6 comuni.
Il caso di Genova (Luisa Tarantola, responsabile dello staff della Segreteria generale della Città di Genova) presenta alcuni caratteri distintivi rispetto ad altre aree metropolitane. Il territorio della città metropolitana, che coincide con quello della Provincia è costituito da 67 comuni per una popolazione complessiva di oltre 850 mila abitanti. Il capoluogo ha un peso molto elevato (600 mila abitanti) e gli altri Comuni sono invece caratterizzati da ridotte dimensioni demografiche. Per quanto concerne l’articolazione territoriale dell’area metropolitana presenta una sorta tripolarità costituite dalla città capoluogo, le vallate dell’entroterra e il territorio costiero a forte vocazione turistica. La dinamica demografica ha registrato un regresso nelle vallate equilibrato da un flusso migratorio verso il capoluogo (che ha le attività tipiche di città portuale) e verso le zone rivierasche che hanno connotazione turistica. Il profilo economico produttivo dell’area (che sconta i segni della recente crisi) è caratterizzato dalla presenza del porto e da grandi insediamenti industriali, oggi soprattutto a livello cantieristico e di produzione annesse. Inoltre, la vocazione turistica, già saldamente presente nel contesto rivierasco (soprattutto nella zona del Tigullio ai confini con la provincia di La Spezia e la Toscana), si va consolidando anche nella città capoluogo.
Per quanto riguarda le attività volte all’istituzione della CM un primo elemento di contesto riguarda il fatto che la Provincia (che sarebbe dovuta andare ad elezione nella primavera 2012) è attualmente governata da un commissario straordinario proprio in ragione del recente quadro normativo (soppressione Province e istituzione CM). La conferenza metropolitana, composta, oltre che dal commissario straordinario, dai sindaci dei 67 comuni della Provincia, è stata istituita abbastanza celermente (settembre 2012) e ha prima approvato un regolamento di organizzazione e funzionamento (ottobre 2012) e poi una bozza provvisoria di Statuto, molto ancorato al dettato normativo. La conferenza è articolata in tre commissioni tematiche: organi di governo, personale e risorse finanziare; funzioni dell CM; rapporti tra CM e comuni.
Le commissioni, di dimensioni ridotte rispetto alla conferenza, sono composte da sindaci individuati in modo da rispettare la rappresentanza territoriale. Il lavoro delle commissioni è supportato dagli apparati amministrativi della Provincia, del Comune capoluogo e degli altri Comuni interessati. La conferenza metropolitana si riunisce con una certa periodicità al fine di condividere i lavori svolti dalle commissione e renderli noti anche a ai sindaci che non partecipano ad alcuna commissione.
In queste prime fasi si è inoltre avviato un dialogo con la Regione, soprattutto per iniziativa della commissione incaricata di approfondire la questione delle funzioni della CM e volta ad esaminare la tematica del governo del territorio e la pianificazione urbanistica in generale (la Regione ha infatti in corso la revisione e formulazione di una nuova legge urbanistica). A richiamare l’attenzione su questi aspetti è anche la “fragilità territoriale” che caratterizza il territorio, un problema molto sentito e condiviso a livello locale. Molte delle tematiche sensibili emerse dai lavori delle commissioni e della conferenza metropolitane sono già stati richiamati negli interventi precedenti. La dimensione molto ristretta degli organi di governo (la norma prevede 10 componenti per il consiglio metropolitano di Genova) pone qualche problema in ordine alla sua capacità di rappresentare efficacemente i territori dell’area metropolitana genovese. A tal fine, la prima bozza provvisoria di Statuto prevede una conferenza permanente dei sindaci con funzioni consultive e propositive nei confronti del consiglio metropolitano (che date le sue ridotte dimensione sembra quasi configurarsi come una sorta di giunta). Inoltre, è in discussione anche l’organizzazione della stessa conferenza permanente; si prevede di istituire delle commissioni (ma non ancora definito il criterio organizzativo, se per area territoriale o per tematiche).
Un altro aspetto che può creare difficoltà è la presenza nella CM di un capoluogo di grandi dimensioni rispetto agli altri comuni. Infine, un aspetto di notevole rilevanza risiede è la questione dell'attribuzione o delega di funzione aggiuntive da parte dei Comuni alla CM sulla scorta di esistenti esperienze di cooperazione intercomunale e tra comuni e provincia.
Il caso di Venezia è stato l’oggetto della successivo intervento (Isabella Scaramuzzi, Segreteria Tecnica del Sindaco, Città di Venezia). Premesso che la questione metropolitana è stata affrontata con un dibattito ormai ultradecennale e che finalmente la legge obbliga a costruire l’ente metropolitano è opportuno ricordare che alcune esperienze di governance metropolitana sono già state avviate in passato. A Venezia, come già a Milano, era stato promosso il piano intercomunale a cui sono poi seguite altre iniziative di cooperazione intercomunale e tra comuni e provincia e regione (patti territoriali, accordi di programma, intese di sviluppo, ecc.).
E’ importante ricordare che il governo metropolitano è sito specifico (ogni realtà presenta caratteri diversi) ed il processo di costituzione della CM è path dependent.
Richiamato in proposito l’atteggiamento di indifferenza quando non di vera e propria opposizione manifestato sia dalla Regione che dalla Provincia sulla questione del governo metropolitano. La Provincia ha di recente, (2012) deciso di chiudere un consorzio tra Provincia e Comune di Venezia istituito alla fine degli anni sessanta del secolo scorso che era dedicato proprio a queste tematiche di governo di area vasta.
Tali atteggiamenti sono riconducibili sia al timore che un ente metropolitano tolga spazio alle istituzioni presenti, sia al fatto che spesso tali istituzioni (Regione, Provincia e Comune capoluogo) sono governate da maggioranze politiche di diverso colore.
Per quanto riguarda il percorso innescato dal recente quadro normativo, in sede locale è stata istituita (a novembre del 2012) la conferenza metropolitana che ha tuttavia sospeso i suoi lavori in seguito all'approvazione della legge nazionale di stabilità 2013.
Un aspetto interessante riguarda il fatto che alcuni Comuni della provincia di Padova hanno formalmente chiesto di aderire alla CM di Venezia. Qui si pone un problema non irrilevante sulla dimensione territoriale dell’area metropolitana. La Regione, nei suoi documenti di pianificazione ha sempre ragionate con riferimento ad una area più estesa della sola provincia di Venezia (il “famoso bilanciere” Padova Venezia) ed anche il recente studio dell’OECD (Territorial Review dell’OECD) dedicato a Venezia ha ipotizzato un’area metropolitana di ampie dimensioni, includente i territori di Padova,Venezia ed anche Treviso (all’Oecd è stato di recente richiesto di sviluppare un’attività di accompagnamento verso la CM di Venezia). Un’area di questa estensione garantirebbe quella visibilità internazionale che molti ritengono fondamentale per competere.
Tornando al livello locale, occorre ricordare che il Comune capoluogo ha una commissione consiliare dedicata alla questione metropolitana (presieduta dall’opposizione) che sta svolgendo una serie di incontri per acquisire elementi conoscitivi utili alla costituzione della CM. Il sindaco di Venezia si è inoltre attivato affinché, su iniziativa del CCRE (sorta di Anci europeo), venisse approvato dal Consiglio d’Europa una mozione per l’attuazione delle CM in Italia. Tra le questioni che dovrebbero essere prese in considerazione nel processo di costituzione della CM (oltre a quelli già richiamati nelle precedenti relazioni) merita di essere ricordata la presenza delle numerose aziende e società di servizi e
sistenti nel territorio (trasporti, acqua, ecologia, ecc.) il cui assetto dei poteri andrà riformulato (“cammino non molto facile”).
Per quanto concerne il sistema elettorale, si può ipotizzare un elezione indiretta degli organi del governo metropolitano se questo ha una funzione strumentale, ovvero operi come associazione dei comuni; molto rilevante il tema dell’unione e della fusione dei comuni. Altro elemento rilevante concerne il coinvolgimento dei cosiddetti corpi sociale intermedi (sindacati, associazioni di categoria, ecc.) che, più di altri soggetti, sollecitano l’istituzione di un governo metropolitano e per i quali sarebbe opportuno individuare, nello Statuto della CM, opportune forme per la loro partecipazione (oltre naturalmente a quelle prevista per i cittadini). Rilevata la rilevanza di funzione di area vasta peculiari nell’esperienza veneziana (ruolo dei consorzi di bacino nel controllo delle acque).
Infine è stata posta attenzione su una serie di ulteriori aspetti: la possibilità di utilizzare i piani territoriali di coordinamento provinciale come strumenti di governo dell’area metropolitana (soprattutto quando essi assumo i caratteri tipici dei piani strategici); la necessità di avviare e attrezzarsi per promuovere partnership pubblico private; tra le attività della CM attribuire molta rilevanza alla questione dei servizi (per far percepire ai cittadini che la CM migliora i livelli dei servizi).
L’ultima relazione del seminario ha richiamato alcuni aspetti del caso di Torino (Gino Anchisi, segretario generale dell’Unione Province Piemontesi).
In particolare è stata ricordata la necessità di procedere ad una riforma delle Province nella direzione di un loro accorpamento e conseguente riduzione di numero con previsione contestuale di istituzione della CM.
Al centro di questa proposta la questione dell’individuazione della dimensione entro la quale si manifesta le domande di servizio da parte dei cittadini e la dimensione ottimale per l’erogazione dei servizi. La consapevolezza che la dimensione comunale non sia adeguata è ormai consolidata. È stato richiamato il problema innescato dalla crisi economica e conseguente riduzione di disponibilità finanziarie per le amministrazioni pubbliche locali che avrà ripercussioni anche sui servizi di interesse pubblico erogati ai cittadini.
Un tema rilevante in tutto questo processo riguarda le modalità di esercizio del potere ovvero di come verranno governati e gestiti i servizi. Se tutti sono d’accordo sulla necessità di costruire sistemi in grado di aver e una visione complessiva per le diverse questioni (acqua, trasporti, rifiuti, ecc.), il problema di chi gestisce effettivamente il potere si pone: governo delle grandi aziende pubblico private oppure organi di rappresentanza collettive?
All’origine della questione c’è la difficoltà di distinguere tra governo e gestione dei servizi.
Alcuni caratteri generali del caso torinese erano stati richiamati in precedenza nell’intervento introduttivo (Claudio Lubatti, Assessore alla mobilità e trasporti e area metropolitana) ove era stato ricordato che la Città di Torino, su esplicito impegno del Sindaco, cerca di impostare tutte le politiche su base metropolitana. Peraltro, negli anni scorsi le politiche strategiche sono sempre state studiate con un’ottica metropolitana ma non su base provinciale, bensì individuando a seconda delle tematiche quali erano i Comuni interessati.
Il problema risiede nel definire l’area metropolitana a Torino e quanto questa possa essere diversa da altre aree metropolitane italiane. Consapevoli che per molte politiche non si può più ragionare avendo come riferimento la dimensione comunale.
Ad es. sul tema mobilità è necessario ragionare tenendo conto dei 31 comuni che circondano Torino. Coerentemente, l’agenzia metropolitana che gestisce i trasporti su base metropolitana non ha 315 comuni ma ne ha 31 quelli che rappresentano la vera area metropolitana. Riflessioni analoghe devono esser fatte quando si prende in considerazione la questione dei rifiuti o le politiche urbanistiche.
Il problema a Torino è che il territorio della Provincia ha un’estensione pari 315 comuni, alcuni inseriti in contesti specifici, diversi da quelli dell’area metropolitana in senso stretto. Ulteriore tema rilevante riguarda la relazione che questi territori hanno conla Regione, area ancora più vasta. Su queste due tematiche sono necessari approfondimenti tecnici, per poter creare una nuova istituzione metropolitana che risulti coerente con le specificità del territorio torinese.
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