a cura di Sonia Zarino (architetto, urbanista)

martedì 28 maggio 2013

Città metropolitane, a che punto siamo?

Focus sui super agglomerati che vedranno la luce a partire dal 2014. Intervista a Franco Sacchi, Direttore del Centro Studi per la Programmazione Intercomunale dell'area Metropolitana (PIM).

di Emanuele Liguori
pubblicato su L'Indro il 17 maggio 2013

(...) 

Direttore, le città metropolitane saranno una realtà a partire dal primo gennaio 2014. Le chiedo: come ci stiamo avvicinando a questo appuntamento? Riusciranno gli ordinamenti interessati dalla riforma a garantire un cambio di regime in tal senso rapido e indolore?
Come notato da alcuni autorevoli osservatori, la normativa (“cd. Spending review), che prevede il riordino delle Province e l’istituzione delle Città metropolitane (Legge 135/2012 del 7 agosto 2012), nasce in una fase non particolarmente vivace del dibattito sulla riforma delle istituzioni locali. Essa si colloca in un contesto più improntato a obiettivi di contenimento della spesa pubblica che di riforma complessiva dell’assetto degli enti locali. Inoltre, la Legge 135/2012 si inserisce in un quadro legislativo particolarmente complesso e, con il passare del tempo, sempre più disorganico. Infine, la normativa rimanda a successivi atti aspetti non secondari del processo di riforma, quali, ad esempio, i criteri di identificazione delle nuove Province, la legge elettorale, ecc. 

Per colmare, almeno parzialmente, tali lacune, il D.L. 188 del novembre 2012 (Disposizioni urgenti in materia di Province e Città metropolitane) si incaricava di dare attuazione ad alcune disposizioni della L. 135/2012, con particolare riferimento alla geografia delle nuove Province. La mancata conversione del D.L. 188/2012 e la manovra “rimediale” effettuata attraverso la Legge di Stabilità 2013 (L. 228/2012, art. 1, comma 115) hanno però determinato un “congelamento” del processo di riforma, prevedendo la sospensione dell’applicazione dei dispositivi in materia fino al 31 dicembre 2013. 

Lo slittamento di un anno del termine di adozione della nuova disciplina, con invarianza della data di nascita della nuova istituzione metropolitana, che rimane fissata per il 1° gennaio 2014, è foriera di conseguenze, in quanto rischia di indebolire il lavoro preparatorio di costruzione della nuova istituzione metropolitana, che sappiamo, anche alla luce delle esperienze internazionali, essere bisognoso di tempi adeguati. Tale congelamento, richiama ancor più pressantemente la necessità di uno spirito pro-attivo da parte degli Enti locali interessati. Quel che non si può fare (o non si è più obbligati a fare) per legge, lo si può (e per certi versi lo si deve) invece fare attraverso un’azione volontaria, preparatoria e animatrice della riforma, in grado di orientare l’azione del nuovo Governo e del nuovo Parlamento nel momento in cui dovrà predisporre un atto integrativo volto a precisare e a dare attuazione alla disciplina introdotta con la L. 135/2012.


La nascita delle città metropolitane va di pari passo con l'abolizione delle Province nei maggiori centri urbani della penisola. Può spiegarci che valore ha una riforma del genere? Quali sono le opportunità che potrebbe comportare e quali i rischi?
Le aree metropolitane, in misura maggiore e in termini più complessi rispetto ad altri territori, sono attraversate da flussi particolarmente densi di relazioni economico-sociali e territoriali. Tali flussi, da una parte, hanno origine e destinazione a scala metropolitana, sviluppando così una struttura territoriale “interna” reticolare e policentrica. Pensiamo solo al decentramento verso l’hinterland di funzioni produttive, ma oggi anche terziarie e di servizio, che generano intensi movimenti di persone e merci sia di tipo radio-centrico (centro-periferia) sia di tipo trasversale (inter-periferico). Dall’altra, invece, i flussi di relazione si manifestano a una scala extra metropolitana e assumono rilevanza a scala mondiale. Si pensi ad esempio a relazioni economico-finanziarie, alle reti di conoscenza, ad alcune funzioni cosiddette “quaternarie”, ecc. che collegano tra loro le metropoli del mondo. In questo senso, la possibilità di disporre di una istituzione con poteri rafforzati rispetto a quelli delle vecchie Province, in termini di pianificazione territoriale-ambientale e infrastrutturale, di strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici e di promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale, potrebbe aiutare a raggiungere maggiori livelli di efficienza sistemica.


Nel dettaglio quali saranno i benefici a vantaggio dei cittadini? La nascita delle città metropolitane abbatteranno gli sprechi in termini di burocrazia?
Riordino delle Province e istituzione della Città metropolitana sono destinati a modificare profondamente l’assetto delle istituzioni di governo locale del nostro Paese. Stiamo parlando dunque di mutare l’assetto istituzionale che ci accompagna dal secondo dopo guerra e, per certi versi, persino da prima. Dobbiamo quindi tenere lo sguardo alto e non guardare a un simile processo dal buco della serratura. Trattare i temi/problemi in agenda ad una scala adeguata e con istituzioni dotate di poteri idonei, per quanto non risolutivi, potrebbe migliorare l’efficacia e l’efficienza delle decisioni pubbliche in settori cruciali per la vita della collettività e delle imprese. Nel campo della pianificazione territoriale, stiamo parlando di funzioni come programmazione strategica e strutturale di livello metropolitano, programmazione di nuove centralità funzionali e di localizzazione di servizi di rango superiore, politiche per il contenimento del consumo di suolo, ecc. Per quanto riguarda la pianificazione delle infrastrutture e della mobilità, si tratta di gestione e programmazione delle grandi infrastrutture viarie insieme alla cura della rete sovra locale della mobilità, di programmazione delle linee metropolitane e delle ferrovie suburbane, di integrazione tariffaria del trasporto pubblico, di sistemi di interscambio e di attestamento merci-persone per l’accesso in città, di reti tecnologiche, ecc. Per quanto concerne paesaggio e ambiente, ci riferiamo a progettazione dei parchi urbani di cintura, a coordinamento delle politiche per il contenimento dell’inquinamento, alla gestione dei rifiuti e della rete idrica, a politiche di rilancio dell’agricoltura, ecc. In tema di economia, si tratta di promozione e coordinamento di politiche di sviluppo economico e sociale, di mercato del lavoro, di formazione, di sportelli unici per le attività produttive.


Di istituire le città metropolitane se ne parla ormai da oltre vent'anni; la prima bozza di riforma risale infatti alla L. n. 142 del 1990. Come spiega tanti ritardi? E quanto ha perso l'Italia in termini di competitività ed efficienza delle sue metropoli?
La storia del nostro Paese è fatta di riforme istituzionali dal percorso accidentato. Pensiamo solo alle Regioni, previste in Costituzione e attuate con oltre 20 anni di ritardo. E’ evidente che tali ritardi hanno contribuito a far perdere competitività al nostro sistema metropolitano nei confronti di altre metropoli internazionali. Anche se va detto, che la struttura specifica del sistema socio-economico italiano, contrassegnato da un’elevata vivacità dei sistemi territoriali periferici, ha, almeno in parte, attenuato i problemi, sostenendo la competitività del “sistema Italia”. Oggi il quadro è molto diverso rispetto all’epoca in cui intervenne la legge 142/90. In primo luogo, la legge 142/90 si innestava su un quadro economico ancora complessivamente espansivo. Oggi il dato dominante è quello della crisi, che porta con sé, nel bene e nel male, una necessità e un sentiment diffuso di cambiamento, anche istituzionale. In secondo luogo, la riforma del Titolo V della Costituzione fornisce alla Città metropolitana un quadro di legittimità ben superiore rispetto a quello goduto dalla legge 142/90. In terzo luogo, la legge 135/12, pur con i limiti precedentemente evidenziati, introduce un meccanismo di consequenzialità procedurale che, per quanto connotato da “durezza” e “rigidità”, impone di traguardare alcuni passaggi attuativi. Insomma, non siamo certo di fronte alla migliore delle leggi possibili, ma l’odierna legge istitutiva delle Città metropolitane apre comunque uno spazio d’azione che sarebbe miope non praticare con un atteggiamento pragmatico e migliorativo. Sotto questo profilo, la fase di costruzione dello Statuto della Città metropolitana sarà cruciale per il buon fine del processo.


L'istituzione di una città metropolitana presuppone un sistema amministrativo più snello ed efficiente, ma al contempo necessita delle dovute coperture fiscali e di risorse per garantirne le proprie funzioni. Lei crede che in prospettiva debba essere rivisitata in tal senso l'IMU, il cui gettito attualmente è condiviso tra Stato e Comuni?
La situazione della finanza locale nel nostro Paese sta raggiungendo livelli di criticità insostenibili. A tal punto da mettere in discussione servizi fondamentali, senza i quali, non solo la qualità della vita dei cittadini viene colpita, ma anche l’efficienza media del sistema viene intaccata, con il rischio che si accentuino spirali recessive di difficile inversione. Peraltro, il Patto di Stabilità, includendo anche la parte relativa agli investimenti, strozza le possibilità di mettere al lavoro manovre anticicliche con riscontro nel breve periodo, in modo da dare respiro alle imprese, sostenere l’occupazione e i redditi e, per questa via, la domanda interna. Credo, in questo senso, che una revisione concordata dei parametri europei, come peraltro perorato dal nuovo Governo, sia auspicabile. Per quanto riguarda l’IMU, siamo davanti a un classico caso di coperta corta. Non voglio discutere gli specifici meccanismi dell’imposta, peraltro in via di revisione. Faccio solo notare che la tassazione del patrimonio immobiliare esiste in tutti i paesi avanzati e sulla base dei principi costituzionali di sussidiarietà e di valorizzazione delle autonomie mi sembra sensato che rappresenti una delle fonti primarie della fiscalità locale.


Come spesso accade in Italia una grande riforma subisce rallentamenti in termini di riflusso dai vari conservatorismi del caso. La città metropolitana determinerà accorpamenti tra strutture municipalizzate e servizi? Lei teme che anche in questo caso dal principio di una buona riforma si arrivi ad attuarla tradendone le linee guida?
L’esperienza dimostra che non basta una legge per fare nascere istituzioni evolute e buone pratiche di governo metropolitano. E’ necessaria invece un’idea attiva di governo che pratichi il processo di costruzione della Città metropolitana, avendo attenzione a: la costruzione della nuova istituzione va perseguita attraverso processi di coinvolgimento e di partecipazione delle realtà locali (i Comuni in primis), rifuggendo modelli rigidi e dirigistici; la ricerca di coerenze tra specifiche funzioni che verranno statutariamente conferite alla Città metropolitana e modello istituzionale prescelto (Ente prevalentemente di servizio vs. Ente prevalentemente di rappresentanza); gli equilibri inter-istituzionali, individuando eventuali elementi di criticità emergenti dal quadro della distribuzione di competenze tra i vari livelli di governo, con particolare riferimento al riassetto delle relazioni tra Regione, Città metropolitana, Province e Comuni; la valutazione delle potenziali incompatibilità con le normative regionali vigenti e la previsione di eventuali interventi di correzione e modifica; un’agenda di temi consoni alla realtà metropolitana specifica e alla sua articolazione territoriale, provando a comprendere quali sono le questioni strategiche, quali sono i territori ai quali la nuova istituzione si rivolge, quali sono gli attori interessati.


Guardando oltre i confini del nostro Paese, tra le varie metropoli europee quali esempi lei ritiene più utili e preziosi da cui trarre ispirazione e insegnamento in questo percorso di riforma?
Un recente convegno 'Milano: cantiere della Città Metropolitana. Una prospettiva internazionale', promosso dal Comune di Milano, in collaborazione con il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano, tenutosi lo scorso 22 marzo scorso a Palazzo Reale, ha messo a confronto tre casi di studio europeo: Parigi, Barcellona, Stoccarda. Alla luce degli elementi emersi nelle tre esperienze, è forse possibile trarre alcuni spunti di riflessione. 

In primo luogo, l'analisi dei casi esteri ci mostra come il processo istitutivo del nuovo ente di governo metropolitano non si possa configurare come una 'fusione a freddo'. Diversamente, si tratta di processi animati, prima, durante e dopo, da un dibattito culturale e politico-istituzionale ampio e da una partecipazione vasta, che vede coinvolti non solo i portatori di interessi "strutturati", ma anche una platea più vasta di shareholders. Lo sviluppo di un sentiment e di uno spazio politico-culturale metropolitano è cruciale per generare cooperazione e coordinamento ovvero di disponibilità ad un’azione comune per affrontare e risolvere i problemi reali dell’area. 

In seconda istanza, pare evidente il rapporto di consequenzialità tra il modello istituzionale e le funzioni attribuite. Laddove si è scelto un modello istituzionale di primo livello (elezione diretta degli Organi), come a Stoccarda, sono stati attribuiti all'ente maggiori poteri e prerogative, garantiti dall'elevato grado di legittimità. Laddove invece si è scelto un modello di secondo livello (elezione indiretta), come a Barcellona e prossimamente a Parigi, la sensazione è che si sia configurato perlopiù un ente di servizio, in particolare funzionale a supportare l'attività dei Comuni nella gestione dei servizi, fornendo scenari di sviluppo territoriale a livello strategico. 

In terzo luogo, per aumentare le chance di successo, occorre, oltre a una valida architettura istituzionale, mettere a punto un'attenta gestione del processo istitutivo, costruendolo per fasi e atti successivi entro un orizzonte di medio-lungo periodo e prevedendo la possibilità di correggere e adattare il processo stesso "strada facendo". Emblematico il caso di Barcellona, dove il governo metropolitano si è andato a consolidare in quattro fasi progressive, che hanno avuto avvio nel 1974. 

Ancora, le pratiche a scala internazionale, evidenziano l'illusorietà di processi istitutivi - e di architetture istituzionali - ispirati a visioni à la one best way. Diversamente, siamo di fronte a sistemi di governo e a pratiche istituzionali estremamente diversificate (da forme hard a forme soft di governance), costruiti in modo aderente alle specifiche realtà metropolitane. Altro elemento evidente è rappresentato dalle modalità di relazione, spesso conflittuali, tra città centrale e altri Comuni. Questo passaggio ha visto soluzioni differenti, riuscendo in ogni caso a trovare alla fine un equilibrio, che, come nel caso di Stoccarda, ha visto soluzione anche grazie alla scelta dell'elezione diretta. Fondamentale sarà dunque la gestione di questo passaggio in fase costitutiva, quella maggiormente delicata. Infine, il ruolo (necessario) della politica. Le tre esperienze dimostrano come non sia sufficiente una spinta dal basso per portare a compimento questo complesso processo. In particolare, si è dimostrato determinante un intervento deciso del Governo centrale (meno nel caso di Barcellona, anche in ragione dello spiccato autonomismo catalano), nel farsi promotore della necessità del nuovo ente. Intervento che ha inoltre permesso di gestire la temporalità del processo e le sue complesse fasi, oltreché spingere verso la risoluzione della conflittualità locale, che si è mostrata in tutte le esperienze.

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