A valle dell'entrata in vigore della legge 56/2014, riproponiamo questo scambio di punti di vista intorno al tema della riorganizzazione degli Enti Locali che analizzava i principali punti problematici del disegno di legge allora in itinere. Sono quesiti che permangono, in gran parte, irrisolti, e che auspichiamo possano essere ancora affrontati nel prossimo futuro. Perchè la città metropolitana è un primo passo, a cui deve seguire un generale cambio di mentalità capace di superare particolarismi e resistenze campanilistiche.
di Valentino Ballabio e Ugo Targetti
A margine del convegno dell’INU sulla riforma della legge
urbanistica regionale, tenutosi alla Triennale il 3 dicembre, sul
contributo critico di Ugo Targetti si è prodotto un breve carteggio
riguardo gli aspetti istituzionali connessi che – data la concomitanza
con la discussione parlamentare in corso sul Disegno di legge cosiddetto
“svuota-province” – può rivestire qualche interesse. A partire dal
seguente passaggio:
“Non
ultima ragione che induce alla revisione della legge urbanistica
regionale è l’istituzione delle città metropolitane e l’eliminazione
delle province, proposte dai due ultimi governi Monti e Letta.
L’istituzione della città metropolitana è una riforma necessaria, utile
soprattutto alla Lombardia, ma molto indebolita dall’impostazione del
Governo (sistema elettivo di secondo livello, processo di formazione
incerto, poteri indefiniti, impegno sine cura del sindaco
metropolitano e degli amministratori, ecc). Per quanto riguarda le
province il Ddl si accinge a svuotarne i poteri in previsione di
eliminarle dalla Costituzione, lasciando il governo di livello
intermedio nella più totale incertezza. È un grave errore. La
prospettiva di riforma delle istituzioni utile alla organizzazione
territoriale della nostra società dovrebbe andare esattamente nella
direzione opposta, ovvero rafforzare le Province affidando a esse tutte
le funzioni e le relazioni sovra e inter-comunali che sono sempre più
consistenti. L’eliminazione delle province determinerà, in particolare
nelle grandi regioni, un danno grave alla gestione del territorio e ne
aumenterà la confusione e i costi.”
Ballabio a Targetti: “Apprezzo la tua analisi ma
l’osservazione riguarda l’aspetto istituzionale, inscindibile da una
riforma seria della legislazione urbanistica. In particolare per salvare
come è giusto l’ente intermedio è necessario prevederne una radicale
modifica. Città metropolitana: deve almeno estendersi all’area
metropolitana; inammissibile la coincidenza con l’attuale provincia
mutilata dalla scissione monzasco – brianzola. Inoltre non regge se
Milano non procede a un energico decentramento e al superamento
tendenziale del comune unico. Province: sono più difendibili se
accorpate (vedi l’abortito decreto Monti) o perlomeno se rientrano le
neo (Lodi, Lecco, Monza) per tornare all’eccellente criterio della
raggiungibilità del capoluogo “con una giornata a cavallo”. Inoltre
devono essere liberate dalle competenze gestionali (manutenzione di
strade, scuole, ecc) per dedicarsi al governo strategico dell’area vasta
con organi elettivi ma snelli (giunte di 3/4 assessori).”
Targetti a Ballabio: “Condivido tutte le tue
considerazioni salvo l’ultima. Mi sto convincendo che se si vuole
davvero introdurre semplificazione e ottenere contenimento della spesa
pubblica il modello debba essere adattato alle dimensioni delle regioni
(ci sono regioni meno popolose della provincia di Brescia) ma che per le
grandi, come la Lombardia, il modello debba essere: la regione
legifera, programma la spesa e gestisce poche cose essenziali. Città
metropolitana e provincie pianificano e gestiscono tutte le funzioni
sovra-comunali compresa la sanità, eliminando tutti gli altri organismi
intermedi (ATO, consorzi, parchi non regionali, ASL, ecc.). I Comuni,
unificando quelli piccoli, fanno tutto il resto. L’UPI ha calcolato per
esempio che il passaggio delle scuole superiori ai comuni comporterà
l’aumento da 100 centri di spesa a 1400, con evidente riduzione dei
vantaggi di scala. Nel mio modello le Provincie vanno caricate di
funzioni e naturalmente gli organi politici devono essere eletti
direttamente. La spesa delle regioni è di 168 miliardi se risparmiassero
l’1 per mille sarebbero coperti i costi “della politica” delle
province. A questo punto credo di avere dieci sostenitori come i lettori
del Manzoni.”
B. a T.: “Ragioniamo sul punto di dissenso. Credo
infatti che le province siano salvabili solo differenziandone nettamente
le funzioni rispetto ai comuni, riducendo dunque al minimo i compiti
gestionali. L’UPI dovrebbe sapere che i 1400 centri di spesa relativi
alle scuole superiori non sarebbero aggiunti bensì assorbiti dai Comuni
(in genere medio – grandi) dove le stesse sono ubicate, già ampiamente
dotati di servizi e uffici atti a gestire materne, elementari e medie
inferiori. Il vetraio del mio paese non si capacita di dover sdoppiare
commesse, appalti, contabilità, ecc. tra Comune e Provincia allorché lui
si considera giustamente un unico “centro” di manutenzione (“sun semper
mì”). L’economia di scala sarebbe inoltre assicurata se, oltre a
dimezzare le Province, si potesse dimezzare al quadrato il numero dei
Comuni (il 70% dei quali non supera i 5.000 abitanti). Otterresti allora
delle entità sufficientemente consistenti (diciamo dai 30/40.000
almeno) per amministrare al meglio oltre alle funzioni correnti anche
talune attualmente consortili o collegate. Le stesse ASL in origine
erano USL ovvero i comuni singoli o associati, ricomprendenti anche gli
ospedali di base, poi divenuti “aziende” in capo alla Regione
(trasformatasi a sua volta da ente legislativo in ibrido mostro
amministrativo!). Tutto questo in teoria, a beneficio dei benevoli dieci
lettori, poiché la prassi politica e parlamentare dominante (vedi il
pasticcio del Ddl governativo attualmente in discussione alla Camera!)
va ovviamente da tutt’altra parte…”
T. a B.: “Ciò che mi/ci indigna è l’assenza di
qualsiasi disegno riformatore completo e coerente; la parola d’ordine è
“eliminare le province perché così vuole il popolo, poi si vedrà”. Se
ragioniamo in termini di fattibilità politica, forse hai ragione tu:
salviamo le funzioni preminenti delle provincie che sono: pianificazione
del territorio, viabilità e trasporti, smaltimento dei rifiuti, ciclo
delle acque, e poco altro e affidiamo il resto ai comuni, ma con un
robusto accorpamento. Se invece ragioniamo liberamente in termini di
architettura razionale del sistema può valere il modello da me sopra
sintetizzato per quanto non piaccia ai “comunardi” che lo considerano
erroneamente gerarchico e che ritengono che tutti i poteri reali debbano
stare in capo ai comuni, indipendentemente dalle dimensioni. Se
vogliamo semplificare la pubblica amministrazione ritengo vadano
eliminati gli organismi intermedi settoriali, compresi i consorzi e le
varie associazioni intercomunali; in passato hanno avuto un ruolo anche
positivo, ma oggi sono diventati elementi di appesantimento del sistema.
Pensiamo all’esempio che tu fai delle scuole superiori. Dovrebbero
essere gestite dal comune sede della scuola, ma con convenzioni di
gestione faticosa e soggette a continui ripensamenti “politici”. Meglio
inoltre limitarsi a unificare i piccoli comuni fino a 1.000 o 2.000
abitanti, numerosi nelle regioni del Nord, che diventerà tra breve una
necessità imprescindibile, mentre la proposta di unificare comuni di
5.000/10.000 abitanti o più incontrerà resistenze fortissime perché a
quel livello si manifestano già interessi consistenti e politicamente
pesanti.
Ci sono anche altre ipotesi di riorganizzazione amministrativa. Ad
esempio la Società geografica italiana ha recentemente proposto, sulla
base dell’analisi delle relazioni territoriali, di eliminare provincie e
regioni e di organizzare il territorio nazionale in 36 sistemi urbani
come unico livello territoriale di area vasta. L’idea di raddoppiare
quasi i centri di produzione legislativa mi sgomenta un po’ ma la
proposta è la riprova che avrebbero potuto essere sondate nuove ipotesi.
Sono invece tuttora mancate, da parte di Governo e Parlamento,
simulazioni dettagliate di modelli diversi, accompagnate da ipotesi
organizzative articolate, stime dei costi, fasi di attuazione, ecc.”
B. a T.: “Condividendo con te da sempre i saggi
richiami manzoniani vien da chiedersi se la politica riformista, ora che
ha “sciacquato i panni in Arno”, riuscirà mai a imboccare un giusto
verso?
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