di Gianni Trovati
Sono solo dieci, ma ospitano più di 18 milioni di italiani, generano quasi il 35% del prodotto nazionale lordo e concentrano nel proprio territorio il 54% dei corsi di laurea. Insomma: una buona fetta delle chance di ripresa e sviluppo del Paese passano da qui, dalle metropoli di casa nostra, ma sul loro destino finora leggi e ordinamenti hanno prodotto tanti dibattiti e nessun fatto concreto.
La prima legge di «riforma metropolitana» è andata in Gazzetta Ufficiale 23 anni fa, l'8 giugno del 1990, la Costituzione prevede le Città metropolitane dal 2001 ma ancora oggi Roma e Milano, Napoli e Torino sono regolate dalle stesse norme che governano Vercelli, che siede tranquilla in mezzo alla pianura piemontese del riso, o Cingoli, che dalle mura del suo borgo medioevale domina le colline marchigiane e guarda giù fino al Conero e all'Adriatico. Con il risultato che per scatenare le battaglie periodiche tra i grandi Comuni e l'hinterland basta un blocco del traffico o l'apertura di un cantiere: in queste condizioni, governare lo sviluppo e la complessità diventa un problema.
La volta buona per la nascita delle «Città metropolitane» potrebbe però essere vicina. Il Governo ha ottenuto dal Parlamento una corsia preferenziale per l'esame del «disegno di legge Delrio», che oltre a tentare l'ennesimo superamento delle Province scrive appunto le regole per le dieci Città metropolitane di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria. Dovranno in pratica sostituire le loro Province, e si punta all'approvazione del progetto per metà novembre e alla costituzione delle Città dal 1° gennaio prossimo, per essere operativi dal 1° luglio. I sindaci interessati ci credono e questa mattina si incontrano a Catania per discutere su come partire davvero e come mettere in campo il nuovo soggetto istituzionale nelle politiche per lo sviluppo, a partire dalla programmazione dei fondi europei. E il lavoro non manca.
Già, perché far nascere le città metropolitane non vuol dire allargare i confini del Comune e indossare una giacchetta da super-sindaco: significa invece trovare gli strumenti per mettere insieme realtà spesso distanti fra loro, perché la fotografia sociale ed economica delle «cinture» cresciute intorno alle grandi città racconta storie molto diverse da quelle del Comune capoluogo.
Il nuovo rapporto di Cittalia, la Fondazione di ricerca dell'Anci, traduce in numeri queste storie, e mostra per esempio che i 10 milioni di italiani «metropolitani» che vivono nell'hinterland sono in media molto più giovani di quelli che abitano nel Comune centrale, sono più fedeli agli appuntamenti elettorali, vivono in contesti che spesso hanno retto meglio alla crisi ma contano ancora su redditi molto più leggeri. Basta questo per far nascere le prime conseguenze immediate: i cittadini dell'hinterland hanno bisogno di più asili e scuole rispetto al capoluogo, sanità e case di cura guardano più al centro ma centri assistenziali e aiuti alle famiglie devono tornare a rivolgersi alle «cinture». Non così per l'immigrazione, ancora più presente nel capoluogo nonostante i tassi di crescita siano più intensi attorno alla città.
Considerazioni grezze, certo, che le prove sul campo devono affinare e cucire intorno alle singole realtà, ma che finora sono state lasciate alle poche forze dei singoli Comuni. Ma le risorse umane e finanziarie tagliate su misura per un Comune medio o piccolo possono bastare lontano dalle città, ma si rivelano spesso drammaticamente insufficienti nelle cinture e per capirlo basta un salto a Rozzano, alle porte di Milano, a Settimo Torinese o a Casoria.
Integrare in politiche organiche realtà così variegate non è semplice, e un altro paio di numeri targati Cittalia mostra l'entità della sfida. Milano, che oggi conta poco più di 1,3 milioni di abitanti, arriverà a superare i 3,1 milioni, Roma sfiorerà i 4,2 milioni di residenti e a Bari, oggi poco sopra i 320mila cittadini, arriverà a quadruplicare le proprie dimensioni. I nuovi «cittadini metropolitani» che si uniranno agli abitanti dei capoluoghi contano su un reddito medio inferiore di oltre 6mila euro all'anno, a Roma la distanza supera gli 8.600 euro e a Milano tocca il record di 10.500 euro. Ancora più complessa l'integrazione dei servizi: il territorio della Città metropolitana di Bari per esempio oggi è diviso in quattro «ambiti» diversi per la raccolta rifiuti, quello di Firenze è spaccato a metà sia per l'acqua sia per l'igiene urbana, Roma conta otto asl e Torino cinque. Proprio Torino, con il conflitto fra città e Valsusa sulla Tav, ricorda un altro dossier caldo che attende i sindaci metropolitani: secondo il Ninby Forum sono 54 le opere contestate nel territorio delle Città metropolitane, ma solo quattro di queste sono nei capoluoghi: le altre 50 agitano le discussioni delle cinture in cerca di identità.
Scarica in .pdf i seguenti articoli pubblicati su Il Sole 24 Ore:
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