Quotidianamente i giornali parlano del declino e della crisi economica che caratterizzano la Liguria e la provincia di Genova: il calo demografico è un chiaro sintomo della perdita di attrattività di un territorio che, tuttavia, possiede non poche potenzialità. Come fare per valorizzarle e far ripartire l'attrattività territoriale e, quindi, rimettere l'economia locale sulla via dello sviluppo? Proviamo, per prima cosa, ad analizzare i dati per inquadrare il problema.
Dire che un territorio deve essere attrattivo può risultare una ovvietà, tuttavia ci si potrebbe domandare: attrattivo, certo, ma per chi? Scopriremmo così che l’attrattività di un’area può variare, anche considerevolmente, se chi la valuta è un privato ivi residente, oppure un turista, o ancora un lavoratore pendolare, un imprenditore, uno studente straniero, e così via.
L’attrattività è, in generale, la
capacità di ogni territorio di attrarre a sé persone e attività (turismo,
residenzialità, attività economiche, capitali, imprese, centri di formazione e
cultura). Tale capacità è in relazione con un altro fattore, il benessere, che
rappresenta la capacità di ogni territorio di garantire qualità della vita per
chi ci abita e ci lavora. L’attrattività è un fattore fondamentale anche per
sviluppare quella che si chiama la competitività di un territorio, ed è la
capacità di produrre efficaci e sostenibili performance economiche, ambientali
e sociali.
Potremmo sintetizzare che un
territorio è tanto più competitivo quanto più è attrattivo ed in grado di
garantire benessere: i tre aspetti sono altamente interrelati.
L’andamento della popolazione nella provincia di Genova
Un primo misuratore
dell’attrattività territoriale è la variazione della popolazione residente,
esaminata nelle due componenti: saldo naturale e saldo migratorio. Il saldo
naturale misura, in un certo senso, la tendenza di una popolazione a diminuire
o ad aumentare in funzione di dinamiche “interne” al territorio. Ad esempio,
una popolazione con un alto indice di vecchiaia (come è appunto il caso della
provincia di Genova) vedrà in generale una prevalenza dei decessi sulle
nascite, quindi saldi naturali negativi. Il saldo negativo della popolazione
può indicare anche una scarsa propensione ad avere dei figli (condizioni
economiche negative, difficoltà di accesso ai servizi, ecc.). Il saldo
migratorio indica, più direttamente, l’attrattività di un territorio (offerta
di opportunità di lavoro, di formazione, di attività culturali, turismo, ecc.)
poiché misura spostamenti fisici di persone da un luogo verso un altro.
I movimenti naturali della popolazione (nascite e decessi)
L’andamento della popolazione totale
residente nella provincia di Genova evidenzia, tra il 2001 e il 2012, una
diminuzione complessiva di 25.523 unità[1],
pari a -3,22%.
La tendenza alla diminuzione si
interrompe a partire dal 2003 per effetto, come vedremo, dell’immigrazione
straniera, che ha per un certo periodo controbilanciato efficacemente il
perdurante saldo naturale negativo. Negli ultimi anni anche il saldo migratorio
si è ridotto in misura rilevante, accentuando la diminuzione di residenti nella
provincia.
La forte “accelerazione” della
diminuzione di popolazione che si nota tra 2010 e 2011 è l’effetto del
riassestamento dei dati al censimento che si è svolto proprio nel 2011 e che
come è noto mette in rilievo quelli che sono dei disallineamenti con i dati delle
anagrafi comunali (nascite, morti, nuove iscrizioni, ecc.).
A cosa sono dovuti questi
disallineamenti? La Liguria (tra le regioni che maggiormente hanno presentato
questo fenomeno) ha registrato una percentuale di scostamento pari al 2,9% tra
dato censuario e dato anagrafico.[2]
Al termine del “riallineamento” dei dati si è comunque evidenziata una
diminuzione piuttosto marcata della popolazione residente anche in rapporto al
dato del 2001.
Cerchiamo di capire cosa è
successo analizzando ora i movimenti migratori che hanno interessato la
provincia di Genova: essi ci forniscono ulteriori, significativi elementi di
analisi circa l’attrattività del nostro territorio.
I movimenti migratori
E’ interessante notare come tra
2004 e 2005 si registri un forte aumento delle iscrizioni di immigrati alle
anagrafi. Tale dato è da mettersi in relazione ai provvedimenti di sanatoria
effetto delle Leggi 189/02 e 222/02 con le quali sono state regolarizzate, in
Italia, circa 650 mila posizioni lavorative di cittadini extracomunitari che
erano già presenti sul nostro territorio. Il dato numerico coincide con
l’incremento di popolazione residente verificatosi nello stesso periodo, mentre
il saldo naturale si mantiene negativo in modo assai costante.
Appare plausibile l’ipotesi che
il disallineamento riscontrato a seguito del censimento del 2011 sia
riconducibile, in massima parte, alla mancata cancellazione dalle anagrafi degli
immigrati che, negli anni in cui la crisi economica incominciava a mordere,
hanno perso il lavoro e hanno deciso di cercarlo in territori economicamente
più attrattivi, in altre regioni italiane o all’estero.
Nel 2012 gli stranieri residenti tornano debolmente ad
aumentare in valore assoluto (+3.758), raggiungendo le 62.387 unità, pari al
7,33% della popolazione totale. La componente femminile prevale in modo più
accentuato rispetto alla totalità dei Genovesi, sia nello stock (56%), sia nel
flusso. Questo dato segnala il perdurare del lavoro femminile straniero nel
campo delle cure socio-sanitarie e dell’assistenza agli anziani over 65,
percentualmente assai numerosi in quanto costituiscono in provincia di Genova
il 27% della popolazione (mentre sono il 21% in Italia).
Le rilevazioni dell'Istat indicano nel 2013 un forte
rallentamento (‐2 per mille) del saldo migratorio con l’estero, che, pur
restando complessivamente positivo, non compensa il pesante passivo della
crescita naturale. A livello italiano il saldo migratorio con l’estero, ovunque
positivo, determina una crescita della popolazione sia in Italia sia nel
Nord‐Ovest (in media ca. 5‰ ogni anno), mentre a Genova non riesce a compensare
l’eccessivo deficit di crescita naturale. La popolazione è calata di ca. 3
abitanti ogni mille nel triennio 2010-2012.
Come si vede, quindi, la scarsa attrattività del
territorio della provincia di Genova è messa in luce tanto dalla negatività del
saldo naturale, quanto, specie negli ultimi anni, dalla esigua positività del
saldo migratorio. I due dati, complessivamente, concorrono a definire un quadro
di forte difficoltà demografica che, se non corretta nell’immediato, tenderà ad
accentuarsi nei prossimi anni con conseguenze potenzialmente assai negative dal
punto di vista economico e sociale, soprattutto se si osserva come un’esigua
popolazione in età di lavoro sostenga una consistente popolazione inattiva: l’indice
di dipendenza strutturale in provincia di Genova è di 64 Inattivi ogni 100
Attivi e supera di circa 10 punti la media italiana e di 8 quella del Nord‐Ovest.
La dinamica delle aziende
L’andamento della dinamica inerente l’iscrizione e la
cessazione di aziende nella provincia di Genova si caratterizza, nel periodo
2001-2006, per la netta prevalenza delle iscrizioni sulle cessazioni. Dal 2006
ad oggi la situazione si presenta più fluttuante: tra il 2007 e il 2008 le
cessazioni prevalgono sulle iscrizioni, che riprendono a salire dal 2009 fino
al 2012 mentre nel 2013 si ha un nuovo cambio di tendenza e tornano a prevalere
le cessazioni di attività.
Settori
economici
Per il settore agricolo, il ridursi delle imprese (-1174
unità tra 2001 e 2013) è ormai un fenomeno che può definirsi di lungo periodo.
Tra le cause, le principali sono l’abbandono di aziende agricole per la loro
marginalità economica e il venir meno dei molti vecchi titolari, da cui il
frequente cambio di destinazione dei suoli agricoli (seconda casa, edilizia
turistica, diffusione di fabbricati industriali, strutture economiche di
servizi, opere pubbliche, logistica, eccetera).
I dati economici riferiti alla regione Liguria evidenziano
come il solo settore vitivinicolo registri, nel 2012, un segno positivo, raddoppiando
il valore della produzione (6,2 milioni di euro).
Di particolare interesse appare il dato inerente forme di
attività quali l’agriturismo, che rispetto al 2012 evidenzia un incremento del
numero delle attività rispetto all’anno 2011, passando a livello regionale da
478 unità a 543 unità. Rispetto all’anno precedente aumentano le attività
autorizzate all’alloggio e le attività autorizzate esclusivamente alla
ristorazione. In termini di superficie agricola utilizzata totale, si ha un
lieve aumento rispetto all’anno 2011, pari al 5,9%.[3]
Nel settore delle costruzioni si registra nel periodo un
aumento delle aziende attive (+3813). Tale dato appare però in contrasto con
una consistente perdita di occupati nel settore dell’edilizia ed è spiegabile
osservando come tali nuove imprese siano per lo più costituite da addetti che
hanno deciso di aprire la partita Iva e rientrare nel mercato del lavoro dopo
esserne usciti a seguito della chiusura dell'azienda in cui lavoravano come
dipendente. Nel 2011 sono stati più di 5000 i posti in meno nell’edilizia, e
anche il 2012 ha segnato un saldo negativo di oltre 1300 unità. Si osserva
tuttavia un rallentamento della diminuzione di posti di lavoro nell’edilizia
dovuto probabilmente al rafforzamento degli incentivi fiscali alle
ristrutturazioni, attualmente ancora in corso e prorogate fino a tutto il 2014.
Il settore manifatturiero registra un calo consistente nel
periodo (-1510 unità). La delocalizzazione di molte produzioni in paesi che
presentano costi globali di produzione inferiori ha contribuito notevolmente al
depauperamento del tessuto industriale locale. Per inciso, negli ultimi 10 anni
l’Italia ha perso qualcosa come 27mila aziende andate all’estero attraverso la
delocalizzazione parziale o totale, generando sempre all’estero 1 milione e
600mila posti di lavoro invece che da noi[4].
L’industria manifatturiera è tra i settori maggiormente interessati dal
fenomeno, rappresentando il 28,6% del totale delle aziende considerate nello
studio.
L’inizio del 2014 fa registrare tuttavia segnali di
miglioramento: le imprese manifatturiere esprimono fiducia circa l’andamento
degli ordini attesi e gli indicatori relativi a produzione e fatturato sono in
crescita rispetto alle rilevazioni precedenti.[5]
Nonostante ciò, è necessario che tali previsioni siano
confermate e rafforzate nel corso dell’anno, così da consolidare l’inizio di
ripresa in atto.
Dal 2007 si è registrato un balzo consistente nella
creazione di imprese attive nel settore turistico e ricettivo, che conferma nel
2012 lo stato di buona salute grazie soprattutto all’incremento di turisti
stranieri.
Il settore dei trasporti nel periodo considerato riflette
la crisi congiunturale e si conferma in flessione a causa della diminuzione
della domanda di trasporto di passeggeri e di merci.
Il settore dei servizi si presenta in aumento, grazie alla
domanda sempre sostenuta di cure domestiche agli anziani e alla componente
turistica.
Mercato del
lavoro
La provincia di Genova ha perso circa 15mila Occupati tra
il 2009 e il 2012. Nel solo anno 2010 si sono persi ben 7mila posti. Nel 2011
gli Occupati hanno continuato a diminuire (circa -2mila posti), così come nel
2012 (circa -6mila posti). Di questi, ben 10.000 erano posti di lavoro occupati
da donne, le quali in buona parte si trasferiscono nella categoria degli Inattivi
in età lavorativa (i cosiddetti “scoraggiati”).
Gli Inattivi (395mila unità) sono nel 2012 molto più
numerosi degli Occupati (348mila), e se è vero che in questa categoria sono
prevalenti gli anziani (225mila unità), occorre precisare che oltre un terzo
degli Inattivi della provincia di Genova sono in età lavorativa (ben 170mila) e
sono pari al 45% della popolazione attiva (377mila unità), rappresentando un
forte squilibrio che potrebbe essere attenuato se almeno una parte di questi
fosse recuperata alle attività produttive, attraverso efficaci politiche incentivanti.
I tassi di attività e di occupazione sono in discesa a
partire dal 2010 mentre si accentua il divario tra uomini e donne: nel 2012 si
ha oltre il 70% il tasso di occupazione maschile contro il 55% circa di quello
femminile.
Anche il tasso di disoccupazione maschile (6.5%) è più
basso di quello femminile (9.36%). Molto preoccupante il dato sulla
disoccupazione giovanile, che si attesta intorno al 30%, inferiore tuttavia al
dato nazionale che supera il 35%.
Nel 2012 la maggior parte dei posti di lavoro è andata
persa nel settore dell’edilizia (-5000 addetti), registrando un minimo storico.
Essendo questo uno dei settori un tempo trainanti dell’economia locale, la sua
forte contrazione rappresenta un elemento di criticità complessiva.
Nel 2012 il settore turistico si conferma quello che ha registrato il maggior
numero di assunzioni, aumentando il peso relativo dal 15% del 2011 al 22% del
totale.
Tra le tipologie contrattuali, hanno prevalso quelle a
tempo determinato per i nuovi assunti, raggiungendo quota 60% e confermando il
perdurare della tendenza all’utilizzo di lavoro precario in mancanza di forti
segnali di ripresa economica.
Il Lavoro Intermittente è stato particolarmente utilizzato
nel settore del turismo mentre il Lavoro a Progetto è stato utilizzato in
particolare nelle attività del terziario. Particolarmente interessante il dato
sulle assunzioni a tempo indeterminato, che si sono concentrate per quasi un
terzo del totale nei Servizi alle famiglie (colf, badanti).[6]
Conclusioni
I dati evidenziano una attrattività territoriale
complessivamente assai debole, per non dire negativa. Specie negli ultimi anni
infatti i dati demografici dimostrano un calo generalizzato tanto nei saldi naturali
che in quelli migratori.
Anche il quadro economico si presenta problematico.
Settori storicamente trainanti quali l’edilizia sono in crisi, molte imprese cessano
l’attività o delocalizzano le produzioni per ridurre i costi globali e
l’agricoltura dà qualche segno di miglioramento in settori di nicchia, quali
l’agriturismo.
Non mancano segnali di miglioramento, specie nel settore
delle imprese manifatturiere che registrano un aumento degli ordinativi sia
dall’estero, sia dall’interno, senza però che questo generi nell’immediato una
ripresa dell’occupazione.
Il territorio provinciale appare nel complesso poco
attrattivo per le attività economiche, di conseguenza lo è anche nei confronti
dei nuovi cittadini, che sono portati a cercare altrove migliori opportunità
occupazionali. Questo meccanismo è uno dei maggiori fattori di depauperamento
economico del territorio. Uno dei pochi settori in controtendenza è quello dei
servizi e dell’assistenza socio-sanitaria alle persone anziane.
Un altro settore che reagisce positivamente alla crisi è
quello turistico-ricettivo, che specie grazie all’afflusso di stranieri cresce
e produce occupazione, e che possiede ancora notevoli margini di sviluppo.
L’analisi evidenzia, infine, luci ed ombre, osservando le
quali si può iniziare a capire verso quali settori occorre più decisamente
puntare per aumentare l’attrattività del territorio della provincia di Genova
allo scopo di ottenere uno sviluppo durevole e sostenibile: turismo di qualità,
tutela del territorio e delle produzioni agricole di pregio, cultura e
formazione, industrie compatibili e ad elevata tecnologia, recupero e
riqualificazione energetica degli edifici, migliore efficienza dei processi
amministrativi della Pubblica Amministrazione e capacità di pianificazione
dello sviluppo a livello sovracomunale, ecc.
Svilupperemo, in un prossimo articolo, alcune possibili
linee di intervento per incrementare il grado di attrattività della provincia
di Genova, anche nella prospettiva della costituenda Città metropolitana.
[1] Da 876.806 residenti censiti al 31
dicembre 2001 a 851.283 residenti censiti al 31 dicembre 2012– dati da anagrafi
comunali
[2]
Cfr. Ricostruzione della popolazione residente
per età, sesso e cittadinanza nei comuni – 26 settembre 2013 - Istat
[4]
Dati CGIA Mestre - La
crisi ha fermato la fuga delle nostre aziende
[5]
Confindustria Liguria Indagine
congiunturale sulle previsioni di andamento dell’industria in Liguria nel
primo trimestre 2014
[6]
Dati della Provincia di Genova Rapporto
Statistico Annuale 2012
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