Pubblicato su Il Fatto del 25 Ottobre 2013
di Antonio Puggioni
Dalla sentenza 220/2013, con la quale la Corte Costituzionale aveva dichiarato l’incostituzionalità dell’abolizione delle Province per decreto legge, il governo Letta ha tratto immediatamente le proprie conclusioni sulla vicenda istituzionale delle province, presentando due interventi paralleli.
Il primo, proposto all’indomani della sentenza della Consulta, consiste
nuovamente nell’abolizione delle Province, ma stavolta con un disegno
di legge costituzionale che quindi prevederà un iter di approvazione più
dilatato nel tempo e con maggioranze aggravate (come stabilito
dall’articolo 138 della Costituzione).
Il secondo disegno di legge – il cosiddetto ddl Delrio,
presentato alla Camera dei Deputati lo scorso 20 Agosto e ancora in
esame in Commissione Affari Costituzionali – introduce la disciplina
transitoria per le Province fino alla loro abolizione, e per la
creazione delle città metropolitane, le unioni di comuni e la fusione di
comuni. Qui cercherò di dare un quadro unitario dei due interventi
legislativi, guardando al nuovo testo costituzionale, al futuro assetto
istituzionale dei nuovi enti locali (città metropolitane e unioni di
comuni) e alle funzioni di questi enti.
Per quanto concerne la nuova bozza delle disposizioni costituzionali, il punto fondamentale è evidentemente il nuovo elenco di enti costitutivi della Repubblica:
se in precedenza le province e le città metropolitane avevano pari
dignità nei confronti di Stato, regioni e comuni, nella bozza le
province sono abolite e le città metropolitane hanno un trattamento
riservato (al terzo comma dell’articolo 114) non più come ente
costitutivo della Repubblica. Il nuovo assetto istituzionale resta
comunque garantista nei confronti del principio di autonomia sancito
dall’articolo 5 della Costituzione, con la presenza di comuni, città
metropolitane e Regioni – sebbene l’abolizione di un ente intermedio tra
Comune e Regione non sembri rispecchiare l’obiettivo della promozione
delle autonomie locali e del decentramento previsto dallo stesso
principio costituzionale. Tuttavia, il ddl Delrio, presentato con il
fine di delineare la disciplina degli enti intermedi, sembrerebbe porre rimedio a tali carenze.
Il
ddl Delrio (A.P. 1542 della XVII Legislatura) prevede la creazione
delle città metropolitane, la disciplina delle province fino all’entrata
in vigore della legge costituzionale che le abolirebbe e la formazione
delle unioni di Comuni.
Per quanto riguarda le città metropolitane (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli, Reggio Calabria), il disegno di legge pone finalmente termine alla lunga questione relativa all’istituzione di questi enti, certamente necessari per rispondere efficacemente alle esigenze di città con un’economia strettamente collegata a quella dei territori loro adiacenti. Istituzionalmente, gli organi previsti sono:
Per quanto riguarda le città metropolitane (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli, Reggio Calabria), il disegno di legge pone finalmente termine alla lunga questione relativa all’istituzione di questi enti, certamente necessari per rispondere efficacemente alle esigenze di città con un’economia strettamente collegata a quella dei territori loro adiacenti. Istituzionalmente, gli organi previsti sono:
- il sindaco metropolitano, con un ruolo di rappresentanza e di impulso sull’attività dell’ente;
- il consiglio metropolitano (un organo ristretto, composto dal sindaco metropolitano, dai sindaci dei comuni con popolazione supreriore a 15000 abitanti e dai presidenti delle unioni di comuni), come organo legislativo;
- la conferenza metropolitana (un organo più ampio, costituito da tutti i sindaci dei comuni appartenenti alla città metropolitana), con il compito fondamentale di approvare il bilancio.
Gli organi della città metropolitana
avrebbero dunque una legittimazione indiretta, a meno che lo statuto
della città metropolitana (da redigere ed approvare dopo la formazione
di tale ente) non stabilisca diversamente. Appare evidente come questa
scelta rispecchi necessità di pragmatismo e come dimostri la natura
“declassata” di tale ente nei confronti delle regioni e dei comuni.
Per
quanto riguarda le Province, fino alla loro abolizione, il sistema
istituzionale è simile a quello delineato dai precedenti disegni di
legge decaduti alla fine della XVI Legislatura, con un presidente eletto
da un’assemblea dei sindaci della Provincia e la previsione di un
consiglio provinciale più ristretto (come il consiglio metropolitano se
confrontato con la conferenza metropolitana).
Per palliare all’abolizione delle province, sono mantenute (e probabilmente potenziate nel loro funzionamento) le unioni di Comuni. Dotate di una struttura ternaria simile a quella delle città metropolitane e delle province in via di abolizione – con un presidente, un comitato di sindaci (formato da tutti i sindaci dell’unione) e un consiglio dell’unione (formato dai sindaci e da due consiglieri per comune) -le unioni di comuni costituiscono una modalità efficace per svolgere al meglio funzioni che difficilmente un singolo comune di piccola dimensione potrebbe svolgere da solo, e un esempio di federalismo dal basso verso l’alto, con l’associazione volontaria, e non decisa dallo Stato centrale, di comuni in un ente più grande.
Per palliare all’abolizione delle province, sono mantenute (e probabilmente potenziate nel loro funzionamento) le unioni di Comuni. Dotate di una struttura ternaria simile a quella delle città metropolitane e delle province in via di abolizione – con un presidente, un comitato di sindaci (formato da tutti i sindaci dell’unione) e un consiglio dell’unione (formato dai sindaci e da due consiglieri per comune) -le unioni di comuni costituiscono una modalità efficace per svolgere al meglio funzioni che difficilmente un singolo comune di piccola dimensione potrebbe svolgere da solo, e un esempio di federalismo dal basso verso l’alto, con l’associazione volontaria, e non decisa dallo Stato centrale, di comuni in un ente più grande.
L’aspetto problematico, tuttavia, risiede proprio in questa rivisitazione dell’organizzazione degli enti locali.
La Provincia viene abolita, ma un ente simile, quale l’unione di
comuni, si troverà ad essere potenziato. Le funzioni delle Province
dovranno infatti essere riallocate, o ai Comuni, o alle Regioni (con
legge statale o regionale). E’ qui che nasce un disegno che sembrerebbe
illogico: se il Comune dovesse trovarsi con le competenze riguardanti
l’edilizia scolastica e la manutenzione delle strade ex-provinciali, ci
si troverebbe di fronte a risultati paradossali in termini di efficienza
e costi. Sulla competenza in campo scolastico, uno studio dell’Unione delle Province Italiane
mostra come l’allocazione di tale competenza al livello dei comuni
porterebbe ad una moltiplicazione dei centri di spesa e a un conseguente
aumento delle spese di 645 milioni di euro. Un altro risultato
incongruente può derivare dalla riallocazione della competenza sulle
strade: se fossero assegnate ai comuni, si potrebbe arrivare ad avere
tratti di strada con manutenzione adeguata (da parte dei comuni con
risorse), e tratti meno curati, ove il Comune non abbia risorse
sufficienti.
Quale può essere la soluzione? Con buona probabilità, un potenziamento delle unioni di comuni,
che assumerebbero informalmente le funzioni delle Province ormai
abolite, poiché funzioni di area vasta tipiche di un ente intermedio
possono essere svolte con maggiore efficienza da enti di grandezza
comparabile a quella delle Province. Se quindi le Province sono uscite
dalla porta principale, tramite abolizione dal testo costituzionale, si
rischia di rivederle rientrare dalla finestra della legge ordinaria.
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