pubblicato il 24/02/2014 su ForumPA.it
Contrariamente a quanto sta succedendo nel resto del monto in Italia le
città metropolitane pur avendo valenza costituzionale non esistono né
come soggetti economico-territoriali né come soggetti
politico-amministrativi. A 23 anni dalla loro introduzione
nell’ordinamento italiano, quindi, si preparano ad essere riformate (dal
disegno di legge Delrio) senza essere mai esistite. Presentiamo
un’analisi di Walter Tortorella che si sofferma sugli aspetti problematici e
pericolosi di questa prossima svolta. Occasione è l’uscita del volume
“Città metropolitane. La lunga attesa” scritto con Massimo Allulli[i].
La competizione economica internazionale si misura sempre più sulla
capacità dei grandi centri urbani di essere motori di sviluppo e da
tempo, i sistemi territoriali cresciuti attorno alle grandi realtà
urbane hanno guadagnato terreno come attori economici globali. Diversi
studi, da quelli della Banca Mondiale a quelli dell’Ocse, seppure con un
grado di analisi opinabile, tendono ad evidenziare come oggi una quarantina di città-regione rappresentino circa il 40% dell'economia mondiale.
Sul piano dell’innovazione e della produzione, la competitività degli
stati, e quindi delle aree continentali, dipenderà sempre più dalle reti
– formali e informali - delle grandi aree metropolitane e dalla loro
tendenza a superare addirittura i confini statuali.
Il livello urbano, insomma, sembrerebbe reagire meglio del livello nazionale alle attuali sfide della globalizzazione.
Guardando all’Europa le principali città-regione - al netto di Londra e
Parigi - come Barcellona, Lione, Francoforte, Stoccarda, Amsterdam,
Copenaghen, Stoccolma si sono, da tempo, avviate verso forme di governo
metropolitano all’interno di un’architettura istituzionale nazionale.
Non è un caso che per il prossimo periodo di programmazione dei fondi
comunitari 2014-2020 la Commissione Europea - con la proposta di riserva
regolamentare del 5% delle risorse FESR per le aree urbane - abbia dato
grande enfasi al ruolo delle città nella gestione diretta delle
risorse.
In Italia, invece, le città metropolitane pur avendo valenza
costituzionale (vale ricordare che ad oggi non ne è stata formalmente
istituita alcuna) non esistono né come soggetti economico-territoriali né come soggetti politico-amministrativi.
Al contrario esistono come “realtà funzionali”, ovvero fluidi bacini di
utenza per lo più intercomunali – si pensi alla mobilità per lavoro,
istruzione, servizi sanitari, leisure, ecc. - senza alcuna
delimitazione amministrativa rispetto a spazi territoriali conclusi.
Ed è
paradossale che proprio mentre buona parte delle economie europee
avanzate si siano preparate per tempo ad avere città metropolitane
pronte ad accogliere le nuove risorse economiche dei fondi comunitari,
l’Italia rischia di ritrovarsi con realtà urbane inadeguate sia da un
punto di vista istituzionale che amministrativo e per giunta al difuori
di una agenda urbana nazionale.
Con il recente disegno di legge Delrio
(cosiddetto «svuota province») recante “Disposizioni sulle città
metropolitane, sulle province, sulle Unioni e fusioni di comuni”,
approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri il 26 luglio
2013 e attualmente in fase di discussione in sede parlamentare, infatti,
si prevede l’istituzione delle città metropolitane, già contemplate dal
nostro ordinamento da 23 anni con la legge 142/1990, nonché recepite
nel TUEL (d.lgs. 267/2000) e costituzionalizzate all’articolo 114 e 117
del Titolo V riformato nel 2001. Le nuove città metropolitane di Torino,
Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Roma
Capitale, entro il 2014 vedranno il loro territorio coincidere con
quello della relativa provincia esistente (ferma restando l’iniziativa
dei comuni), alla quale si sostituiscono.
La norma si applicherà anche a
Reggio Calabria al termine del commissariamento del comune capoluogo[ii].
Alle città metropolitane verrebbero trasferite non soltanto le
competenze attuali e future delle province contestualmente soppresse, ma
anche quelle dei comuni aventi valenza sovracomunale. Un provvedimento,
insomma, che rappresenta un avvio significativo per una revisione nei
livelli di governo della pubblica amministrazione da più parti evocato.
Pur tuttavia, l’approccio meramente giuridico-amministrativo fa
trasparire parecchi limiti, sottolineando ancora una volta il tentativo
di innovare e cambiare l’amministrazione pubblica con spallate normative
che poi alla lunga, puntualmente, fanno emergere non solo casi limite,
localismi e particolarismi, bensì situazioni di forti differenziazioni
territoriali che ritraggono più la prassi che l’eccezione.
L’Italia è un Repubblica fondata sui comuni
e le sue città ne rappresentano una evoluzione storica, sociale,
economica, politica, culturale; a differenza delle amministrazioni
provinciali e regionali si tratta di soggetti nati dal basso, con
popolazioni aventi un forte senso di identità che difficilmente si
riconoscerebbero in una dimensione geo-amministrativa artefatta. In
questi oltre venti anni il legislatore ha seguito due strade. In un
primo decennio ha attribuito alle regioni il compito di delimitare le
città metropolitane (come sappiamo senza alcun esito); tra le diverse
difficoltà va ricordato che il primo competitor istituzionale della
amministrazione regionale sarebbe proprio la città metropolitana, con
tutto quello che ne potrebbe conseguire. Nel secondo decennio ha puntato
sempre di più direttamente sui comuni e il ddl Delrio è il punto finale
di arrivo con il quale il legislatore sembra quasi “alzare le mani” in
materia di confini, purché nascano le città metropolitane. Prescindendo,
quindi, dagli sviluppi che si avranno, il rischio è però che si perda
di vista il principale obiettivo dell’istituzione e riconoscimento della
città metropolitana che non può essere solo quello di istituire un
nuovo ente locale in sostituzione delle province, bensì quello di
trovare forme di governo intercomunale in grado di valorizzare e
sostenere quei sistemi locali produttivi (siano essi finanziari,
industriali, di servizio, ecc.) già esistenti e che vanno ben oltre
qualsiasi reticolo istituzionale si pensi di costruire.
Il riordino
delle competenze e delle funzioni tra i diversi soggetti presenti
all’interno di un’area metropolitana deve avere come orizzonte la riduzione della spesa pubblica unitamente al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro,
di recupero di efficienza e qualità nell’erogazione servizi, ma
soprattutto partire dalla definizione di un’agenda nazionale per le aree
urbane che ne deve rappresentare la necessaria impalcatura politica.
Le opinioni qui espresse sono personali e prescindono dall’ente di appartenenza dell’autore.
[i] Città metropolitane. La lunga attesa di di Walter Tortorella e Massimo Allulli, Marsilio 2014.
[ii]
I meccanismi appena descritti trovano applicazione nelle regioni a
statuto ordinario, ma anche i Consigli regionali di Sardegna,
Friuli-Venezia Giulia e Sicilia hanno avviato degli iter normativi
riguardanti le città metropolitane, che hanno raggiunto stadi di
avanzamento diversi a seconda dei casi.
Nessun commento :
Posta un commento
Grazie per il tuo commento, iscriviti al blog per ricevere gli aggiornamenti