Il tema della "sovranità" dei singoli comuni, specie se molto piccoli, è uno di quelli assai delicati perchè viene a toccare uno degli assiomi insiti nel tessuto molto frammentario che costituisce il nostro territorio. Eppure, se si mette da parte il ben noto campanilismo, si potrebbe invece considerare quanto un utilizzo meno parcellizzato del territorio e quanto una pianificazione avente vedute un po' più ampie avrebbe ripercussioni positive sulla riduzione del consumo di suolo originando una pianificazione urbanistica di qualità più elavata.
pubblicato su ArcipelagoMilano
di Vittore Soldo*
Il suolo rappresenta il substrato, l’elemento di base, sul quale si
manifestano la maggior parte dei processi di insediamento, sviluppo e
crescita di una comunità. L’urbanistica è lo strumento grazie al quale
questi processi collettivi trovano una sintesi e danno una forma nuova
al paesaggio su cui esercitano la propria azione, rendendo il contesto
territoriale su cui si manifesta, funzionale alle facilitazioni della
comunità che lo insedia.
La
missione di una materia così importante e complessa come l’urbanistica
dovrebbe essere la seguente: elaborare e risolvere la complessità di
creare o rigenerare il tessuto urbano, riuscendo a mantenere in
equilibrio il contesto ambientale e la comunità che vi si innesta, anche
e soprattutto in funzione di contingenze di carattere economico,
produttivo e sociale.
Nel corso del tempo l’urbanistica si è manifestata assecondando le
esigenze e i fenomeni sociali (flussi migratori, abbandono delle
campagne, industrializzazione, deindustrializzazione). Negli ultimi
anni, questa materia è stata per buona parte subordinata a processi
esclusivamente speculativi.
A oggi, il risultato dell’azione di occupazione della maggior parte
del suolo italiano, intesa sia a carattere residenziale che produttivo,
ha risentito di una mancata azione di governo del fenomeno che fosse
coordinata a vari livelli istituzionali, comprendendo in questo
contenitore sia le istituzioni in senso stretto (comuni, province e
regioni) che le istituzioni in senso lato (università, associazioni di
categoria, ordini professionali). Questo mancato presidio si è espresso
soprattutto con una legislazione che ha dato ampi margini perché si
arrivasse alla situazione in cui ci troviamo oggi.
Chiunque abbia avuto un’esperienza da amministratore locale ha potuto
verificare il grosso limite degli strumenti urbanistici in vigore: il
mancato adeguamento degli strumenti rispetto all’assetto istituzionale
italiano. Spiego meglio: per quale motivo lo strumento urbanistico della
città di Milano dovrebbe dare lo stesso potere, la stessa capacità di
governo e si dovrebbe chiamare allo stesso modo (Piano di Governo del
Territorio) dello strumento urbanistico a uso di un comune di 400
abitanti? Cosa “governa” un comune di qualche centinaio di abitanti?
Cosa governano tanti piccoli comuni italiani confinanti uno con l’altro
se non l’aumento di “disordine” urbanistico, sociale, commerciale e
ambientale?
Prima questione che si dovrebbe sviluppare quando si ragiona sul
contenimento del consumo di suolo dovrebbe essere quella relativa al
grado di autonomia di un’istituzione locale rispetto all’attività di
pianificazione territoriale che a oggi le competerebbe. I tanti piccoli
comuni e le poche grandi città che ci caratterizzano, hanno o non hanno
contesti così diversi da giustificare strumenti di governo delle
politiche di governo del territorio diverse in funzione della porzione
di territorio sul quale si va ad agire?
Chi, tra gli amministratori locali, ha esercitato una politica di
contenimento di consumo di suolo l’ha potuto fare soprattutto perché la
pressione edificatoria e la spinta imprenditoriale connessa, in questi
ultimi anni, è venuta meno. Nonostante ciò l’amministratore locale, che
dovrebbe essere, in primis, colui che ha a cuore la propria
comunità intesa in una dimensione collettiva e non solo come insieme di
tante istanze o di categorie elettorali (anziani, imprenditori, giovani
coppie, ecc), risente pesantemente della fiscalità locale, fatta di
mancati trasferimenti, mancato utilizzo dei residui attivi e patto di
stabilità, quindi, per poter esercitare la propria azione politica
arriva a rivolgere la sua attenzione sugli oneri di urbanizzazione.
Questo è uno dei principali meccanismi che innescano il consumo di
suolo. La speculazione edilizia, il malaffare, i quartieri e le città
dormitorio e tutta la serie di situazioni negative correlate a una
sbagliata pianificazione urbanistica si innestano sulla politica degli
oneri di urbanizzazione che quindi deve essere rivista e riformata.
A livello di amministratori locali manca inoltre una
sensibilizzazione rispetto a quelle che dovrebbero essere le “buone
pratiche”: il vero motivo che porta un amministrazione locale ad
abbattere il consumo di suolo nel contesto di un comune medio piccolo,
cioè nella maggior parte dei comuni italiani, deve essere l’attenzione
verso la propria comunità e non verso la propria riaffermazione
politica.
La tipica “situazione” urbanistica di un comune medio-piccolo è
caratterizzata da una ripartizione delle aree residenziali, produttive e
commerciali secondo una logica puramente localistica che si ferma ai
confini del comune appunto. Questo ha portato in molti casi a uno
sviluppo scriteriato di tutti i tessuti che si innestano sul tessuto
principale, il suolo. In molti comuni i tessuti produttivi sono
frazionati in più aree non contigue tra loro ma nemmeno con le aree
produttive dei comuni confinanti. Stessa cosa per quanto riguarda il
tessuto residenziale. Questo chiaramente ha delle chiare implicazioni
sul tessuto sociale, produttivo e commerciale: una comunità con
un’urbanistica disordinata, poco attenta a razionalizzare suolo, ha come
conseguenza una comunità sparsa, che ha pochi luoghi di incontro e che
tendenzialmente cerca al di fuori dal proprio contesto le cose di cui ha
bisogno e i servizi di cui necessità. Questo porta ai quartieri e ai
comuni dormitorio che caratterizzano buona parte della “provincia” che
circonda Milano.
Un forte frazionamento del tessuto urbanistico e dei tessuti che si
innestano sopra di esso, fa scadere anche il commercio locale: un
piccolo imprenditore avrà buon gioco a insediare o allargare la propria
attività commerciale nel momento in cui è certo che la propria attività
sia facilmente raggiungibile e prossimale ai potenziali clienti più
vicini. Una tipica famiglia che vive in un ridente quartiere-villaggio
ai margini del centro cittadino di un comune di provincia se si trova
nella condizione per dover utilizzare l’automobile per raggiungere
un’attività commerciale preferirà un negozio di paese oppure un centro
commerciale che offre maggiore scelta? Inoltre, in un centro commerciale
c’è la stessa possibilità di entrare in contatto con la propria
comunità oppure no?
Altra questione da tenere in considerazione quando si vorrebbe
incentivare il contenimento di suolo per un amministratore locale è il
costo dei servizi erogati dal comune. Quanto più si avrà un tessuto
urbanistico razionalizzato, tanto più si godrà del contenimento della
spesa per l’erogazione dei servizi e di conseguenza ci sarà di un
contenimento dei costi a carico del cittadino/contribuente. Di contro in
un comune medio-piccolo, saranno molto più costosi il trasporto
scolastico, la raccolta dei rifiuti, l’approntamento delle reti
tecnologiche e la manutenzione delle stesse quanto più il tessuto
residenziale, produttivo, commerciale saranno frazionati e dispersi.
Molto utile per contenere il consumo di suolo quindi sarebbe una
legge, sia nazionale che regionale che riformi la pianificazione
urbanistica e vada a toccare anche la fiscalità locale.
Ad oggi, nel consiglio regionale lombardo, ci si appresta a far
passare una legge per il contenimento del consumo di suolo che non ha i
giusti presupposti per essere efficace: i motivi di questo sono ben
spiegati da Andrea Arcidiacono e Damiano Di Simine nell’articolo
comparso il 5 novembre scorso su queste pagine. Addirittura questa
legge, potrebbe innescare ulteriore consumo di suolo. Come dicono
Arcidiacono e Di Simine si dovrebbe ritornare alla precedente
formulazione per poter dire di aver promulgato una legge efficace.
I punti che dovrebbero essere fatti reinserire per contenere efficacemente il suolo sono: 1.
il contenimento dei cosiddetti “residui” presenti negli strumenti
urbanistici (aree edificabli non ancora realizzate mutuate da strumenti
urbanistici precedenti); 2. Subordinazione della
facoltà di pianificazione alla costituzione di raggruppamenti di aree
omogenee, raggruppamenti di comuni e istituzioni che coprano un
territorio inteso come contiguo e omogeneo in raccordo a assonanza con
la pianificazione degli enti di area vasta.
Auspico che la maggioranza del consiglio regionale lombardo riveda la
propria posizione e riavvii il percorso di confronto sul tema
interrotto lo scorso luglio con le minoranze.
Per il contenimento del consumo di suolo, che considero una priorità
oltre alle leggi fatte dalle istituzioni, oltre a una politica promossa
dai partiti che diffonda sensibilità e buone pratiche amministrative,
all’impegno di sensibilizzazione ed elaborazione delle istituzioni
accademiche, serve che ciascun cittadino, sia esso di un piccolo comune o
di una grande città, recuperi una dimensione di comunità di cui fa
parte in modo da intendere la salvaguardia del “bene comune” e quindi
anche del suolo, non come un limite alla propria emancipazione ma come
la possibilità di sviluppo e crescita di un’intelligenza collettiva che
ha un ritorno di più lungo termine.
*Già vice sindaco del Comune di Torre Pallavicina
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