Province si, province no, città
metropolitane, macro-regioni: il tema della riorganizzazione degli Enti Locali
si impone all’attenzione dell’opinione pubblica ormai da molti anni, ma nonostante la notevole mole di studi, analisi e
dispositivi di legge fin qui prodotti, esso sembra lungi dall’essere stato
risolto.
I provvedimenti più recenti, in particolare, prefigurando soppressioni e accorpamenti, tradiscono la prevalente volontà di conseguire soprattutto dei risparmi economici più che un efficace riordino degli Enti e finiscono per proporre una riorganizzazione che prescinde dai criteri che dovrebbero invece essere posti alla base della ridistribuzione delle diverse funzioni attribuite alle autonomie locali a garanzia del loro corretto funzionamento nell’interesse dei territori amministrati.
I provvedimenti più recenti, in particolare, prefigurando soppressioni e accorpamenti, tradiscono la prevalente volontà di conseguire soprattutto dei risparmi economici più che un efficace riordino degli Enti e finiscono per proporre una riorganizzazione che prescinde dai criteri che dovrebbero invece essere posti alla base della ridistribuzione delle diverse funzioni attribuite alle autonomie locali a garanzia del loro corretto funzionamento nell’interesse dei territori amministrati.
Riteniamo utile affrontare la
questione utilizzando quale traccia per il ragionamento il testo di una
relazione[1]
prodotta dal prof. Francesco Merloni sullo stato attuale delle riforme in
cui emerge come prioritario il tema dell’attribuzione delle funzioni quale
premessa per un coerente e funzionale riassetto degli Enti Locali.
Parlando delle funzioni, possiamo
concordare sul fatto che sarebbe auspicabile una loro maggiore semplificazione
e ridefinizione intanto per eliminare quelle ormai obsolete e soprattutto i
“doppioni” che si sono stratificati nel corso delle varie riforme e che hanno
finito per mettere in discussione il principio costituzionalmente garantito
dell’autonomia dei diversi livelli di governo locale.
La mancata chiarezza nella
distribuzione delle funzioni è stata del resto la causa principale dei
fallimenti incontrati dai tentativi di riforma succedutisi negli ultimi anni,
ed è per questo che occorre ripartire dai criteri in base ai quali
ridistribuire le funzioni tra gli Enti se si vuole ottenere una riforma
finalmente efficace ed al passo con le nuove esigenze di sviluppo e coesione
territoriale.
Partendo dall’analisi delle norme
costituzionali post-riforma del titolo V, si evince che in tutto il territorio
nazionale i Comuni e le Province devono avere lo stesso livello minimo di
funzioni fondamentali. Vi è una netta distinzione tra funzioni comunali e
funzioni di area vasta: là dove il Comune non riesce ad assicurare una funzione
fondamentale, subentra la Provincia (principio di sussidiarietà).
La differenziazione nell’individuazione
delle funzioni va fatta a livello regionale, perché la Regione ha anche il
compito di individuare altre funzioni da delegare, oltre a quelle fondamentali.
Si può osservare che, a seguito
della riforma del titolo V, è stato riconosciuto il principio della
sussidiarietà tra gli Enti, limitando il principio di uniformità alle funzioni
fondamentali individuate con legge dello Stato.
Anche per questo l’individuazione
delle funzioni fondamentali da attribuire agli Enti Locali è preordinata ad
ogni riforma in quanto consente una revisione organica delle funzioni stesse,
depurandole dalle superfetazioni causate dal sovrapporsi di riforme successive
e a volte incoerenti tra loro.
Possiamo dire che, a distanza di
dodici anni dalla riforma del titolo V, il percorso stabilito per la
definizione e l’attribuzione delle funzioni ha subito molteplici rallentamenti e cambi di rotta, e risulta di
fatto interrotto, senza che i nuovi provvedimenti abbiamo conseguito
significativi risultati in termini di semplificazione e razionalizzazione delle
competenze attribuite agli Enti Locali.
Cosa si può fare?
Ci troviamo attualmente in una
fase di stallo, mentre si annunciano novità importanti quali la
concretizzazione, dal 1 gennaio 2014, delle città metropolitane. E’ il momento
per riprendere il dettato costituzionale per darvi una ordinata e razionale
attuazione, partendo come ovvio dalla individuazione delle funzioni degli Enti
Locali.
In Italia si distinguono funzioni
di prossimità, di competenza comunale, e funzioni di area vasta (provincia,
città metropolitana). I Comuni svolgono tutti le stesse funzioni,
indipendentemente dalla loro taglia territoriale e demografica. Questo aspetto
pone non pochi problemi, di natura organizzativa e soprattutto economica, per i
piccoli comuni, che devono raggiungere una dimensione adeguata per svolgere
effettivamente le funzioni comunali.[2]
Anche il secondo livello di
governo locale possiede le stesse funzioni, estese all’area vasta ed assicurate
nei confronti dei Comuni del territorio (pianificazione urbanistica, trasporti,
ambiente, lavoro e formazione professionale).Alle funzioni di area vasta
corrisponde un autonomo livello di governo che si distingue dal livello
corrispondente alle funzioni comunali, anche quando esse siano svolte in forma
associativa intercomunale.
Se non è auspicabile un eccessivo
ricorso dell’attribuzione di funzioni comunali al secondo livello, occorre
risolvere il problema della relativamente piccola taglia di moltissimi Comuni.
Per far ciò, occorre riportare il territorio comunale alle dimensioni adeguate
allo svolgimento delle sue proprie funzioni, operando per via di accorpamenti o
in alternativa per via di associazione e collaborazione.Le forme associative
tra Comuni, in particolare, sono lo strumento per svolgere in modo condiviso le
funzioni propriamente comunali.
Tali forme possono essere più o
meno “forti” in funzione del livello di gestione integrata che i vari Comuni si
ripropongono di ottenere, e contenere garanzie democratiche per i cittadini in
grado di rappresentarne adeguatamente le istanze e le volontà.
Per quel che riguarda le funzioni
di area vasta, esse consistono:
a) Nelle
funzioni la cui dimensione di esercizio supera chiaramente quella comunale. Nel
caso dei Comuni grandi e delle Città metropolitane le funzioni di area vasta
interferiscono necessariamente con quelle comunali, in gran parte sovrapponendovisi;
b) Nelle
funzioni ad elevato contenuto tecnico non organizzabili a livello comunale;
c) Nelle
funzioni da svolgersi “nei confronti dei
Comuni (es.: programmazione, coordinamento, localizzazione (positiva o
negativa) di interventi pubblici anche complessi, dove la decisione
amministrativa deve valutare i diversi interessi pubblici in gioco, ma senza
esserne direttamente condizionata”[3].
La
partecipazione attiva dei Comuni resta ovviamente un elemento imprescindibile,
tuttavia è importante affermare il principio che, in caso di conflitti,
l’ultima parola spetta all’ente di area vasta.
Quanto alle
funzioni relative all’area vasta, occorre in primo luogo considerare,
aggiornandole, quelle già previste dal Tuel e che sono:
a) Le
funzioni in materia di ambiente (difesa del suolo, tutela contro
l’inquinamento, protezione della natura);
b) La
viabilità provinciale, da coordinare strettamente con quella dei vari comuni
tanto per la parte di programmazione quanto per quella della manutenzione;
c) Le
funzioni in materia di mercato del lavoro (sicurezza, offerta e domanda,
formazione professionale);
d) L’assistenza
tecnica ai Comuni che va potenziata (uffici unificati, stazioni appaltanti
unificate, coordinamento dei dati, utilizzo delle tecnologie informatiche,
ecc.);
e) Il
governo del territorio, coordinando sempre meglio gli strumenti di
pianificazione territoriale con quelli di governo locale e di attuazione,
incentivando le scelte localizzative condivise dei servizi ed impianti di
livello comprensoriale per evitare inutili duplicazioni e mettere a sistema le
risorse. Il piano territoriale di coordinamento dovrebbe avere una valenza
maggiormente cogente sulle scelte di area vasta e le conseguenti ricadute a
livello comunale;
f) I
trasporti pubblici locali sono da organizzarsi, al minimo, secondo bacini di
livello provinciale (o di città metropolitana);
g) La
raccolta differenziata e il riciclo dei rifiuti necessitano di una gestione
integrata a livello provinciale (o di c.m.), anche per consolidare una filiera
basata sull’uguale differenziazione dei rifiuti e la conseguente migliore
qualità del prodotto da avviare al riciclo che porterebbe non solo a risparmi
di gestione ma anche a maggiori ricavi dalla vendita del rifiuto separato;
h) Servizio
idrico integrato (distribuzione dell’acqua e depurazione) per ridistribuire le
risorse e supportare soprattutto le piccole realtà nella realizzazione e
manutenzione degli impianti;
i) Distribuzione dell’energia promuovendo la
creazione di impianti di micro-generazione da mettere in rete e sfruttando
fonti rinnovabili (sole, vento, biomasse, ecc.);
j) Le funzioni in materia di edilizia scolastica
sono da riconnettere con quelle della programmazione dell’offerta formativa;
k) Le
funzioni inerenti i servizi sociali andrebbero conferite in toto ai Comuni;
l) Le funzioni inerenti lo sviluppo economico
andrebbero conferite completamente alla Regione.
Alla luce dell’assetto
legislativo vigente, è la Provincia (e, a breve, la città metropolitana) l’ente
cui tali funzioni debbono essere attribuite, adeguando alle funzioni le Province
esistenti, ridisegnandone il territorio in conseguenza di una sua rilettura in
grado di attualizzare i bisogni e le aspettative, arrivando ove necessario ad
una scomposizione/ricomposizione dei confini attuali che non è fattibile
operando dal centro.
Occorre operare in modo
articolato su base regionale possibilmente fissando dei requisiti minimi
uniformi su base nazionale che tengano conto tanto dell’ampiezza territoriale
quanto della densità della popolazione, alla ricerca di un equilibrio in grado
di portare ad una effettiva efficacia gestionale delle diverse funzioni.
Anche gli organi di governo
possono essere semplificati e ridotti, senza tuttavia sottovalutare
l’importanza di garantire adeguate rappresentanze democratiche ai territori
coinvolti.
[1] Semplificare
il governo locale? Partiamo dalle funzioni. F. Merloni, pubblicato sul sito dell’associazione
Astrid.
[2] I comuni fino a 1000 abitanti e fino a
5000 devono esercitare obbligatoriamente in forma associata, attraverso Unione
di Comuni o convenzione tutte le sei funzioni fondamentali indicate
nell’articolo 21, comma 3 della legge 42/2009.
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