di Francesco Gastaldi (Università
IUAV – Venezia)
Fin dagli anni '60 la pianificazione del territorio
genovese è stato oggetto di riflessione che però non ha dato seguito ad una
compiuta volontà pianificatoria, in modo particolare in tema di area vasta. Oggi
il tema è tornato di attualità a seguito di recenti provvedimenti
legislativi.
Un primo ciclo di interesse sul
tema dell’area metropolitana genovese si ha nei primi anni Sessanta in
concomitanza con i dibattiti che a livello nazionale riguardano i rapporti fra
programmazione economica e pianificazione territoriale e la formazione di
possibili piani intercomunali. In occasione degli studi condotti da Giovanni
Astengo per la revisione del Prg di Genova (1963-1967) il tema non viene sollevato
con sufficiente rilievo, mentre prevale un’attenzione alla dimensione comunale.
Alla fine del decennio, la nuova commissione incaricata di predisporre la
variante generale, presieduta da Silvano Tintori, elabora un documento noto
come “Relazione di sintesi” in cui si propone un forte decentramento produttivo
prendendo in considerazione un territorio assai vasto che ha i suoi vertici su
Savona, Sestri Levante e Alessandria. Il basso Piemonte viene indicato come
polo di decongestionamento tra Milano e Genova anche nel Progetto 80 elaborato
dal Ministero del Bilancio nel 1969. Sono di questi anni i tentativi di Angelo
Costa[1] di creare un polo per il
deposito di merci a Rivalta Scrivia, oltre Appennino, potenziando i
collegamenti fra quest’area e il nodo marittimo e ferroviario genovese. La
preoccupazione di molti ambienti legati agli industriali, alla Camera di
commercio e a studiosi e ricercatori dell’ILRES (Istituto Ligure di Ricerche
Economiche e Sociali) era che Genova, stretta fra mare e monti, potesse rimanere
esclusa dai processi di sviluppo ed espansione industriale dell’Italia
settentrionale. Il nuovo piano regolatore comunale di Genova adottato dalla
giunta di sinistra nel 1976 abbandona ogni ipotesi di sviluppo sovracomunale
per puntare invece su un utilizzo più razionale del territorio compreso nei
confini comunali in un’ottica di rilancio dello sviluppo industriale. Alla fine
degli anni Settanta il “Piano programma 1978-81” predisposto dal comune
sostiene invece la necessità di un maggiore riequilibrio di scala vasta
attraverso il decongestionamento delle aree forti e la rivitalizzazione delle
aree marginali.
Negli ultimi 25 anni il tema della delimitazione territoriale e di
possibili forme di istituzionalizzazione dell’area metropolitana genovese (così
come quello della provincia del Tigullio) è tornato ciclicamente alla ribalta[2], anche se politiche, azioni, programmi e
strumenti di pianificazione territoriale che si sono succeduti nel tempo, non
hanno mai assunto il tema come obiettivo prioritario.
Tra la fine degli anni Ottanta e
l’inizio degli anni Novanta è la Regione Liguria a scendere in campo con il
Piano Territoriale di Coordinamento dell’Area Centrale Ligure (adottato dalla
Giunta nel 1989 e definitivamente approvato dal consiglio regionale nel 1992).
Il piano nasce in una fase di profonda trasformazione dell’economia del
capoluogo e la regione individua un progetto strategico per l’area
metropolitana genovese mirante a favorirne la transizione verso una
diversificazione produttiva di tipo post-fordista. In questo quadro l’area
metropolitana genovese comprende l’arco litoraneo tra il savonese e il monte di
Portofino a levante (escludendo il Tigullio) e il basso alessandrino verso
nord.
Nel 1991 la Regione con la l.r. n. 12 individuava l’area
metropolitana genovese in ottemperanza a quanto prescritto dalla legge 142 del
1990. Si trattava di una delimitazione di tipo geografico, il territorio
individuato comprende la linea costiera da Cogoleto (a ponente) ai comuni del
Golfo Paradiso (a levante), e le valli del genovesato, escludendo una parte
dell’attuale provincia di Genova cioè l’area costiera del Tigullio (da
Portofino a Moneglia) e il rispettivo entroterra. La possibile suddivisione
amministrativa era imperniata sul riconoscimento di due polarità storiche
fondamentali: Genova e Chiavari nel Tigullio. Ai sensi della legge 142, non si
prevedevano estensioni al di fuori dei confini provinciali e tanto meno
regionali.
La l.r. n. 12 una volta fissati i
confini, non assegna le funzioni all’entità metropolitana, non individua
neppure i percorsi di tipo istituzionale attraverso cui addivenire alla
concretizzazione dell’iniziativa, da subito apparse chiaro che la cosa
difficilmente si tramuterà in realtà. Non solo, tale delimitazione è
decisamente schematica, si limita a dividere in due parti il territorio
provinciale senza considerare le effettive gravitazioni e le relazioni che si
sviluppano attorno al capoluogo genovese. Per l’area del Tigullio si discute
molto della possibilità di acquisire maggiore autonomia attraverso la creazione
di una nuova provincia, in Parlamento vengono presentate da parte di esponenti
politici locali alcune proposte di legge istitutiva, ma tutto resta lettera
morta.
Durante gli anni Novanta, a partire dalla legge 142 del 1990 e dalla
costituzionalizzazione del 2001, l’istituzione della città metropolitana
di Genova non fa grandi passi in avanti, anche se il dibattito sul tema è
tornato ciclicamente di attualità, fino all’estate 2012.
[1]
Angelo Costa, appartenente ad una storica famiglia di armatori genovesi fu per
due volte presidente nazionale di Confindustria e fu uno dei principali
protagonisti della vita economica e sociale genovese del dopoguerra.
[2] Francesco Gastaldi, “Area metropolitana genovese?”,
in Urbanistica Informazioni n. 187, 2003, pagg. 16-18
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