a cura di Sonia Zarino (architetto, urbanista)

giovedì 31 gennaio 2013

Area Metropolitana Genovese: un tema ricorrente

di Francesco Gastaldi (Università IUAV – Venezia)


Fin dagli anni '60 la pianificazione del territorio genovese è stato oggetto di riflessione che però non ha dato seguito ad una compiuta volontà pianificatoria, in modo particolare in tema di area vasta. Oggi il tema è tornato di attualità a seguito di recenti provvedimenti legislativi.

Un primo ciclo di interesse sul tema dell’area metropolitana genovese si ha nei primi anni Sessanta in concomitanza con i dibattiti che a livello nazionale riguardano i rapporti fra programmazione economica e pianificazione territoriale e la formazione di possibili piani intercomunali. In occasione degli studi condotti da Giovanni Astengo per la revisione del Prg di Genova (1963-1967) il tema non viene sollevato con sufficiente rilievo, mentre prevale un’attenzione alla dimensione comunale. Alla fine del decennio, la nuova commissione incaricata di predisporre la variante generale, presieduta da Silvano Tintori, elabora un documento noto come “Relazione di sintesi” in cui si propone un forte decentramento produttivo prendendo in considerazione un territorio assai vasto che ha i suoi vertici su Savona, Sestri Levante e Alessandria. Il basso Piemonte viene indicato come polo di decongestionamento tra Milano e Genova anche nel Progetto 80 elaborato dal Ministero del Bilancio nel 1969. Sono di questi anni i tentativi di Angelo Costa[1] di creare un polo per il deposito di merci a Rivalta Scrivia, oltre Appennino, potenziando i collegamenti fra quest’area e il nodo marittimo e ferroviario genovese. La preoccupazione di molti ambienti legati agli industriali, alla Camera di commercio e a studiosi e ricercatori dell’ILRES (Istituto Ligure di Ricerche Economiche e Sociali) era che Genova, stretta fra mare e monti, potesse rimanere esclusa dai processi di sviluppo ed espansione industriale dell’Italia settentrionale. Il nuovo piano regolatore comunale di Genova adottato dalla giunta di sinistra nel 1976 abbandona ogni ipotesi di sviluppo sovracomunale per puntare invece su un utilizzo più razionale del territorio compreso nei confini comunali in un’ottica di rilancio dello sviluppo industriale. Alla fine degli anni Settanta il “Piano programma 1978-81” predisposto dal comune sostiene invece la necessità di un maggiore riequilibrio di scala vasta attraverso il decongestionamento delle aree forti e la rivitalizzazione delle aree marginali.


Negli ultimi 25 anni il tema della delimitazione territoriale e di possibili forme di istituzionalizzazione dell’area metropolitana genovese (così come quello della provincia del Tigullio) è tornato ciclicamente alla ribalta[2], anche se politiche, azioni, programmi e strumenti di pianificazione territoriale che si sono succeduti nel tempo, non hanno mai assunto il tema come obiettivo prioritario.

Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta è la Regione Liguria a scendere in campo con il Piano Territoriale di Coordinamento dell’Area Centrale Ligure (adottato dalla Giunta nel 1989 e definitivamente approvato dal consiglio regionale nel 1992). Il piano nasce in una fase di profonda trasformazione dell’economia del capoluogo e la regione individua un progetto strategico per l’area metropolitana genovese mirante a favorirne la transizione verso una diversificazione produttiva di tipo post-fordista. In questo quadro l’area metropolitana genovese comprende l’arco litoraneo tra il savonese e il monte di Portofino a levante (escludendo il Tigullio) e il basso alessandrino verso nord.

Nel 1991 la Regione con la l.r. n. 12 individuava l’area metropolitana genovese in ottemperanza a quanto prescritto dalla legge 142 del 1990. Si trattava di una delimitazione di tipo geografico, il territorio individuato comprende la linea costiera da Cogoleto (a ponente) ai comuni del Golfo Paradiso (a levante), e le valli del genovesato, escludendo una parte dell’attuale provincia di Genova cioè l’area costiera del Tigullio (da Portofino a Moneglia) e il rispettivo entroterra. La possibile suddivisione amministrativa era imperniata sul riconoscimento di due polarità storiche fondamentali: Genova e Chiavari nel Tigullio. Ai sensi della legge 142, non si prevedevano estensioni al di fuori dei confini provinciali e tanto meno regionali.

La l.r. n. 12 una volta fissati i confini, non assegna le funzioni all’entità metropolitana, non individua neppure i percorsi di tipo istituzionale attraverso cui addivenire alla concretizzazione dell’iniziativa, da subito apparse chiaro che la cosa difficilmente si tramuterà in realtà. Non solo, tale delimitazione è decisamente schematica, si limita a dividere in due parti il territorio provinciale senza considerare le effettive gravitazioni e le relazioni che si sviluppano attorno al capoluogo genovese. Per l’area del Tigullio si discute molto della possibilità di acquisire maggiore autonomia attraverso la creazione di una nuova provincia, in Parlamento vengono presentate da parte di esponenti politici locali alcune proposte di legge istitutiva, ma tutto resta lettera morta.

Durante gli anni Novanta, a partire dalla legge 142 del 1990 e dalla costituzionalizzazione del 2001, l’istituzione della città metropolitana di Genova non fa grandi passi in avanti, anche se il dibattito sul tema è tornato ciclicamente di attualità, fino all’estate 2012.






[1] Angelo Costa, appartenente ad una storica famiglia di armatori genovesi fu per due volte presidente nazionale di Confindustria e fu uno dei principali protagonisti della vita economica e sociale genovese del dopoguerra.


[2] Francesco Gastaldi, “Area metropolitana genovese?”, in Urbanistica Informazioni n. 187, 2003, pagg. 16-18


 

 


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