1. E' in discussione al Senato della Repubblica il disegno di legge n. 1250,
già approvato alla Camera dei Deputati il 20 dicembre 1994, relativo a
"Norme per la costituzione delle autorità metropolitane di cui alla legge
8 giugno 1990 n.142". Su questa normativa, però, l'attenzione è stata
sinora assai scarsa. Persino nei Congressi Nazionali dell'UPI (1) e dell'ANCI
(2) , svoltisi nello scorso mese di ottobre, il dibattito su questa proposta di
legge è stato sostanzialmente inesistente. Così come è stato a suo tempo assai
scarso l'interesse dei commentatori di fronte al fatto che, malgrado le norme
vincolanti contenute nella l. 142, le Città metropolitane non avessero trovato
attuazione nei tempi previsti dalla legge. Peraltro, la ricostruzione di questa
vicenda e l'esame dei termini nei quali oggi si sta svolgendo la discussione
parlamentare possono essere assai utili a capire meglio alcuni aspetti della
complessità che caratterizza il "caso italiano" quando ci si trova di
fronte a problemi che riguardano le riforme istituzionali ed ordinamentali.
2. Non vi è dubbio che, quando la l. n. 142 del 1990 venne approvata, la
previsione relativa alla Città metropolitana fu vista come un'innovazione di
assoluto rilievo. Almeno tre furono, infatti, i profili che vennero
sottolineati con particolare enfasi:
a) che attraverso le Città
metropolitane poteva essere avviata a soluzione la questione della
razionalizzazione del governo locale nelle Aree metropolitane; b) che, insieme alla normativa sulle
unioni e le fusioni dei Comuni, la Città metropolitana costituiva una
significativa risposta al problema della irrazionale articolazione di un
sistema comunale che vede trattati sostanzialmente al medesimo modo i grandi
Comuni che hanno centinaia di migliaia di abitanti e i piccolissimi Comuni che
hanno poche decine di cittadini; c) che l'aver attribuito alle Regioni il compito di
definire la delimitazione territoriale della Città, stabilendo altresì le
eventuali modificazioni da apportare ai confini dei Comuni interni all'area e
le competenze comunali da assegnare alla Città metropolitana in aggiunta a
quelle già previste dalla legge statale, costituiva un significativo elemento
di "regionalizzazione" del sistema di governo locale.
La L 142 prevedeva, peraltro,
termini rigidi per l'istituzione delle Città metropolitane, nonché meccanismi
sostitutivi a favore del Governo, nel caso in cui le Regioni non fossero state
in grado di rispettare i termini previsti. Ed anche questo fu giustamente
visto, a suo tempo, come un elemento importante: adottando la tecnica del
potere sostitutivo, la legge introduceva infatti un meccanismo sanzionatorio
dell'inefficienza delle Regioni e voleva garantirsi dal rischio della
sostanziale inattuazione di questa sua parte. Già dopo pochi mesi si capì però
che questa parte della l. 142 era destinata a restare di fatto inapplicata
(così come altre parti non meno importanti della stessa legge: si pensi in
particolare alla normativa relativa all'unione e alla fusione dei Comuni
piccoli). Nessuna delle Regioni interessate fu infatti in grado di rispettare
i termini previsti e il Governo, invece di applicare le norme relative al suo
potere sostitutivo di intervento, procedette con più decreti legge successivi a
prorogare i termini previsti dalla l. 142. Anche per questo fenomeno sono state
individuate diverse spiegazioni.
In primo
luogo, si è detto che il modello adottato dalla legge, quello cioè di un
livello di governo individuato attraverso un unico ente al quale vengono
assegnate funzioni relative a settori diversi di intervento, è stato esso
stesso, nella sua rigidità, un fattore rilevante della resistenza ad attuare
questa parte della norma.
In secondo
luogo, si è sottolineato che di fronte alle difficoltà delle scelte
territoriali da compiere ed alla resistenza posta dai Comuni e dalle Province,
le Regioni hanno dovuto fare i conti con la oggettiva debolezza e fragilità
della loro classe politica.
In terzo
luogo, si è osservato che tutta la prima fase di applicazione della l.142 si è
sviluppata mentre erano già in atto i primi segnali del terremoto
politico-istituzionale che ha caratterizzato in questi anni il nostro Paese (3).
Il
referendum sulla preferenza unica del 1991 e l'imminenza delle elezioni
politiche del 1992, insieme alle complesse vicende che, anche per gli
interventi del Presidente Cossiga, caratterizzarono, infatti i primi due anni
di vigenza della legge, concorrendo a creare nel Pese un clima di obbiettiva
tensione all'interno della classe politica dell'epoca.
Il che
indubbiamente può aiutare a spiegare il fatto che larga parte di quella
normativa, e comunque, per quanto qui ci interessa, certamente quella
riguardante le Città metropolitane, non abbia trovato alcuna attuazione,
neppure in ordine alla pura e semplice definizione degli ambiti territoriali.
Non è
difficile, dunque, spiegarsi perché quando scadde l'anno previsto dall'art.17
della l.142 come termine per la delimitazione di ciascuna area si dovette
constatare che nessuna Regione era stata in grado di adempiere. Più
interessante è, piuttosto, chiedersi perché il problema delle Città
metropolitane sia entrato così rapidamente in un "cono d'ombra", dal
quale, malgrado le iniziative legislative oggi in discussione, pare non essere
ancora uscito.
3. Come in altra sede si è cercato di dimostrare (4), la crisi italiana
è stata caratterizzata, almeno nel periodo che va dalle elezioni del 1992 allo
scioglimento del Parlamento nel 1994, dal concorrere di tre diverse prospettive
di riforma: la prima si incentrò intorno alla Commissione bicamerale per le
riforme istituzionali; la seconda si sviluppò, invece, intorno alle modifiche
elettorali, da ottenere in via di riforma legislativa (per i Comuni e per le
Province), in via referendaria (e solo poi legislativa) per Camera e Senato; la
terza, infine, puntò sulla concessione al Governo di quattro deleghe
finalizzate a riformare settori rilevanti dell'ordinamento quali il sistema
sanitario, fiscale, scolastico e quello del pubblico impiego. In questo
complesso quadro, che vide sconfitta la strategia delle riforme istituzionali e
vincente, invece, quella del mutamento del sistema politico attraverso la
modifica delle leggi elettorali, il sistema degli enti locali non fu preso in
considerazione se non per la parte relativa al nuovo sistema elettorale dei Sindaci
e dei Presidenti di Provincia. In altri termini, i problemi di attuazione della
l.142, che pure già si erano manifestati, furono del tutto trascurati perché
comunque estranei a ciascuna delle linee strategiche di riforma che in quel
periodo si confrontavano. Ne è prova, del resto, il fatto che la l.81 del 1993
lasciò sostanzialmente immodificata la distribuzione dei poteri fra gli organi
dei Comuni e delle Province e non toccò affatto gli aspetti organizzatori
relativi ai rapporti fra questi enti. La sola previsione relativa a strutture
organizzative diverse dai Comuni e dalle Province fu quella relativa alla
remissione ai Consigli comunali del compito di definire i sistemi elettorali
delle Circoscrizioni: ma, appunto, anche questa fu un'innovazione normativa
riguardante il tema dei sistemi elettorali e non già quello della
riorganizzazione del governo locale. Né peraltro sarebbe persuasivo dire, a giustificazione
di questo fenomeno, che in fondo l'ordinamento locale era appena stato innovato
e che era dunque logico che se ne rimettesse in discussione solo quella parte
immediatamente collegata con l'obbiettivo di mutare il sistema politico
attraverso il cambiamento del sistema elettorale. Questa spiegazione appare
infatti assolutamente debole perché, come si é detto, si erano già palesemente
manifestate le difficoltà di applicare la 142 in parti importanti, quali
appunto la Città metropolitana. Né si può ignorare che questa questione non fu
affrontata nemmeno nel quadro della terza strategia riformatrice: quella che,
come si è detto, consistette nell'attribuire al Governo ampie deleghe
legislative per il riordino di ampi settori, fu affrontata . Nell'ambito delle
quattro deleghe date al Governo Amato nel 1992, infatti, fu riformata in modo
significativo la finanza locale (con l'introduzione dell'ICI) ma non fu
affrontata (né forse avrebbe potuto esserlo) la più ampia questione
dell'attuazione complessiva della l.142. Certamente più incisiva fu, rispetto
al sistema del governo locale e alla posizione delle Regioni, l'azione del
Governo Ciampi, soprattutto attraverso le iniziative assunte dai Ministri
Cassese e Paladin. Tuttavia nemmeno questo Governo che pure, mentre da un lato
garantiva che il Parlamento potesse approvare le nuove leggi elettorali,
dall'altro sviluppava in modo assai rilevante la strategia delle riforme per
decreto delegato già inaugurata dal precedente Esecutivo Amato, ritenne di
occuparsi della questione dell'inattuazione della l. 142 per le parti che qui
interessano. In quel periodo, infatti, il sistema di governo locale, e
specificamente quello incentrato intorno ai grandi Comuni, fu oggettivamente
interessato soprattutto dal problema della rimozione del ceto politico uscito
dalle elezioni del 1990. A caratterizzare quella fase fu, fondamentalmente, la
questione di individuare una nuova classe politica locale attraverso
l'applicazione della l. n. 81 del 1993 (5) .Tra la primavera
del 1993 e quella del 1994 si rinnovarono infatti i Comuni di tutte le grandi
Città definite dalla l.142 come Aree metropolitane, eccezione fatta per Bologna
(che pure cambierà il suo Sindaco, ma non, come accadde per gli altri grandi
Comuni, attraverso lo scioglimento del Consiglio e il ricorso alle urne ) e
Firenze.
4. Con le elezioni del marzo 1994 comincia la nuova legislatura. Ed inizia
anche una nuova fase di quel processo di transizione che è tuttora ben lontano
dall'essere concluso. Come si ricorderà, nell'ambito del
Governo Berlusconi, su specifica pressione della Lega, si cerca di riproporre
la strategia delle riforme istituzionali e ordinamentali (6) .
Per certi aspetti la "questione costituzionale"
diventa, con quel Governo, assolutamente centrale, tanto da spingere Don
Giuseppe Dossetti a chiamare a raccolta contro il rischio di rotture non solo
della legalità costituzionale ma della legittimità stessa del nostro
ordinamento democratico (7) .
Per altri aspetti, invece, il Governo Berlusconi si
dimostrerà del tutto inadeguato, anche perché, dopo aver preteso di fare delle
riforme costituzionali una "questione di governo", cadrà fra l'altro
proprio per l'incapacità di trovare un punto di accordo intorno alla questione
della riforma regionale e della nuova legge elettorale per le Regioni (8) .
Occorre peraltro sottolineare che, istituito
nell'ambito del Governo il "Comitato di studio per le riforme
istituzionali, elettorali e costituzionali" (noto come Commissione
Speroni), la discussione, in quella sede, si sviluppò secondo linee piuttosto
complesse da definire ma certamente senza dare alcuna attenzione al tema della
riforma del governo locale, e soprattutto, dell'inattuazione della l. 142 per
la parte che qui interessa. E' ben vero che l'ambizione di quel Comitato era di
predisporre un testo di riforma della Costituzione: tuttavia merita
sottolineare che, mentre il tema della collocazione costituzionale dei Comuni e
delle Province, soprattutto con riferimento ai poteri e al ruolo delle Regioni,
occupa una parte significativa della proposta finale, presentata al Consiglio
dei Ministri il 21 dicembre 1994, nessuna significativa attenzione pare essere
stata data al tema della inattuazione del sistema di governo locale esistente.
Nell'ambito della stessa esperienza di Governo fu peraltro
creata anche la cosiddetta Commissione Maroni, o meglio un "Comitato di
studio per la riforma delle Regioni e delle autonomie locali", istituito
presso il Ministero degli Interni nel luglio del 1994. La Commissione Maroni
prese in esame a fondo tutta la tematica relativa alla l.142, assumendo proprio
i problemi connessi con l'attuazione (o l'inattuazione) di questa legge come il
punto di partenza per una riflessione a tutto campo sui rapporti fra Stato,
Regioni e sistema delle Autonomie Locali (9). Questa Commissione
e soprattutto la Sottocommissione "Ordinamento", si pose, fra gli
altri, il problema dell'inattuazione della l.142 in materia di Aree
Metropolitane. Essa, anche sulla scia di un'esperienza già in atto nel Comune
di Bologna (10 ), stava sviluppando
una serie di ipotesi finalizzate a definire una articolata proposta da presentare
al Governo, quando, prima che i lavori fossero conclusi e comunque prima che la
Sottocommissione Ordinamento, accelerando i tempi previsti a causa
dell'imminente crisi di governo, presentasse, in data 20 dicembre 1994, una
prima Relazione (11) , furono
depositatati alla Camera dei Deputati due diversi disegni di legge sulla
materia delle Aree Metropolitane, l'uno a iniziativa Vito ed altri, n. 1436, e
un altro a iniziativa Novelli ed altri, n. 1444. Entrambi questi progetti,
peraltro, avevano essenzialmente l'obbiettivo di garantire comunque tempi certi
per istituzione dei nuovi enti, anche tenendo conto dell'imminenza delle nuove
elezioni amministrative che si sarebbero tenute improrogabilmente entro la
primavera del 1995. In ogni caso, questo fatto costrinse ovviamente la
Commissione Maroni e soprattutto la Sottocommissione Ordinamento, che pure si
accingeva a redigere la sua Relazione, a prendere in esame questi progetti e
sottolineare le caratteristiche differenziali fra queste due proposte e quella
sulla quale la Sottocommissione stessa aveva lavorato fino a quel momento. In
sostanza, mentre la Commissione Speroni discuteva di riforme istituzionali
secondo un progetto che poi non fu in grado di condurre a termine, e mentre la
Commissione Maroni cercava di inserire le proposte di revisione della normativa
sulla Città metropolitana in un progetto organico di riordino del sistema
locale, intervenivano ben due proposte di legge che imponevano di considerare
la questione delle Aree Metropolitane come un problema a sé stante. Si può
dire, allora, che nel recente passato, almeno per questa parte, l'inattuazione
della L.142 si è comunque imposta anche come un problema a sé stante, tale da
obbligare sia la Commissione Maroni, prima, sia il Parlamento, poi, ad
occuparsene specificamente. Il che non toglie che si possa sottolineare anche
il fatto che in ogni caso i due progetti di legge presentati apparivano
oggettivamente molto limitate nei loro obbiettivi.
5. La proposta Novelli confluì poi, di fatto, in quella Vito, che costituisce
comunque il testo base del disegno di legge poi approvato dalla Camera. Come si
è detto, peraltro, questo progetto aveva la caratteristica di essere articolato
intorno ad alcuni pochi punti, finalizzati tutti a prevedere tempi e modi certi
per l'istituzione della Città metropolitana sulla base di una puntuale, quanto
formale, attuazione della l. 142.
Esso prevedeva infatti: a) che le Regioni dovessero
procedere alla delimitazione territoriale delle Aree metropolitane, sentiti i
Comuni e le Province interessate, entro il 31 luglio 1996; b) che in caso di
inadempienza delle Regioni il Governo dovesse provvedere con decreto
legislativo entro il 15 dicembre 1996; c) che se neppure il Governo avesse
provveduto nei termini indicati, allora la delimitazione delle Aree
metropolitane avrebbe comunque dovuto coincidere con il territorio delle
Province interessate. Stabiliva inoltre tempi certi entro i quali le Regioni
potevano procedere al riparto delle funzioni amministrative fra Città
metropolitana e Comuni (il 31 luglio 1996) e al riordino delle circoscrizioni
territoriali dei Comuni interni all'area ( il 31 dicembre 1996). Nel caso di
inadempienza delle Regioni poteva provvedere il Governo emanando un decreto
delegato per la ripartizione delle funzioni entro il 31 dicembre 1996 e un
altro decreto per il riordino degli ambiti territoriali entro il 31 marzo 1997.
Lo scopo del disegno di legge era dichiaratamente quello di garantire che
comunque entro il 1997 le Città metropolitane potessero entrare in funzione
cosicché allo scadere dei sindaci eletti nel 1993 fosse possibile procedere
comunque all'elezione del sindaco metropolitano e, in ogni caso, potessero essere
già fissati i termini dell'introduzione delle Città metropolitane prima delle
elezioni della primavera del 1995. La proposta in questione suscitò peraltro
più di una contrarietà. Un primo, contingente ma non
marginale, elemento di critica fu subito individuato nel fatto che quella
proposta, presentata prima delle elezioni amministrative previste per la
primavera del 1995, se approvata, avrebbe obbligato le nuove amministrazioni
che stavano per essere elette a durare solo tre anni, ovvero in alternativa, a
restare in carica ancora un anno dopo l'istituzione delle nuove Città
metropolitane (12).
L'obiezione più forte fu però quella avanzata da chi
sottolineò subito che questa proposta si limitava a cercare di individuare
termini certi per la attuazione della l. 142, come se la mancata attuazione di
quella normativa fosse dovuta soltanto alla carenza di sufficienti automatismi
e non al fatto che, come molti ormai credevano, era il meccanismo istituzionale
stesso previsto dalla legge ad aver provocato il fenomeno che si voleva
superare. In altri termini vi fu chi, a cominciare dalla Commissione Maroni,
sottolineò che il progetto di legge Vito ( ma anche quello Novelli) era troppo
rigido proprio perché non consentiva alcuna flessibilità nella forma
organizzatoria della Città metropolitana (13). Peraltro, malgrado le critiche e i
dissensi, la proposta, nel suo testo originario, venne comunque approvata dalla
Camera dei Deputati il 20 dicembre 1994 (14).
6. Svoltesi le consultazioni elettorali della primavera
del 1995, il dibattito sulle modalità attraverso cui garantire l'attuazione
della Città metropolitana è ripreso in Senato. Ed è proprio sull'obbiettivo di
individuare nuove e più articolate forme organizzatorie per il governo delle
Aree metropolitane che si è subito sviluppata la discussione. A seguito
dell'approfondimento sviluppatosi al suo interno, la I Commissione permanente
Affari Costituzionali del Senato, relatore il sen. Villone, ha ora elaborato un
testo che si discosta in misura assai rilevante da quello approvato alla Camera
dei deputati sulla falsariga del progetto Vito (e sostanzialmente anche di
quello Novelli).
6.1. Nel testo profondamente "nuovo" della
Commissione del Senato è ora previsto che "presso le Province interessate,
secondo quanto disposto dall'art. 17 della l. 142, alle Aree
metropolitane", siano "istituite Conferenze metropolitane, composte
dal presidente della Provincia e dai sindaci dei Comuni compresi nella
Provincia". E' previsto peraltro anche che questo organismo sia
"elastico" per quanto riguarda la sua composizione e la sua area di
influenza. Alla Conferenza possono partecipare,
infatti, "previa deliberazione dei singoli Consigli", anche
"altri Comuni e Province il cui territorio sia finitimo con quello dei
Comuni in essa rappresentati", mentre, per altro verso "i Comuni e le
Province partecipanti, ad eccezione dei Comuni capoluogo e delle relative
Province, possono recedere dalla Conferenza previa deliberazione dei rispettivi
Consigli". La Conferenza inoltre si incardina
sostanzialmente sulla dimensione Provinciale: è previsto infatti che "la
prima seduta è convocata di intesa dal presidente della Provincia e dal sindaco
del Comune capoluogo", ma è stabilito anche che essa "è presieduta
dal presidente della Provincia". Peraltro il presidente della Provincia
non è il presidente "necessario" della Conferenza giacché questa
"nella prima seduta procede immediatamente all'elezione, nel proprio seno,
a scrutinio segreto e con voto limitato ad uno, di un presidente e di un
vicepresidente." Per quanto riguarda le modalità di
voto la Conferenza metropolitana decide a maggioranza semplice ma
"comunque con il voto favorevole di tanti sindaci che rappresentino la
maggioranza dei cittadini residenti nei Comuni partecipanti alla Conferenza".
Sulla base delle sue competenze la Conferenza:
a) innanzitutto procede alla
delimitazione dell'area metropolitana, se non già definita; b) in secondo luogo
"formula proposte per la elaborazione di politiche di area vasta e adotta
atti di indirizzo per il coordinamento delle politiche di rilievo
metropolitano"; c) in terzo luogo, "esercita ogni altra funzione che
sia ad essa demandata da convenzioni o accordi tra singoli enti compresi
nell'area metropolitana o da disposizioni di legge regionale"; d) in quarto
luogo, infine, "può adottare norme per il proprio funzionamento e
deliberare l'istituzione, a tal fine, di comitati tecnici composti da
funzionari dei vari enti e, sulla base di convenzioni, di uffici comuni".
Per quanto
riguarda poi la delimitazione delle Aree metropolitane, fermo restando che
questa è una competenza specifica della Conferenza, il testo del Senato
stabilisce che questa deve deliberare "entro centottanta giorni dalla
prima seduta"; decorso inutilmente tale termine, "entro i successivi
sessanta giorni la Regione delimita con legge l'area metropolitana, sentiti i
Comuni e le Province interessate"; decorso inutilmente anche questo
termine, "l'area metropolitana rimane delimitata in coincidenza col
territorio delle Province". Resta così sostanzialmente fermo lo schema
Vito-Novelli, nella parte in cui prevede comunque che, ove a ciò non si sia
provveduto nei modi e nei termini altrimenti indicati, scatti un preciso
automatismo nella delimitazione dell'area metropolitana. La definizione territoriale è
peraltro fondamentale nello schema del testo della Commissione del Senato
perché "delimitata l'area metropolitana, sono in ogni caso svolte
esclusivamente a livello metropolitano le seguenti funzioni:
a)
pianificazione territoriale dell'area metropolitana; b) realizzazione e
gestione di reti di servizi di trasporto di interesse metropolitano; c)
coordinamento dei piani-traffico comunali; d) rilevamento dell'inquinamento
atmosferico; e) programmazione e gestione di interventi di tutela idrogeologica;
f) raccolta, distribuzione, depurazione delle acque; g) formazione e gestione
di un piano metropolitano di smaltimento dei rifiuti; h) pianificazione
commerciale della grande distribuzione; i) coordinamento e programmazione delle
attività culturali; l) funzioni dei sindaci ai sensi dell’art. 36, comma 3
della l. 142 (le funzioni in ordine all'orario dei negozi, N.d.R.)".
Sempre
secondo il testo della Commissione del Senato, spetta poi alla Regione
determinare con legge, nelle materie precedentemente indicate nonché in materia
di " a) tutela e valorizzazione dei beni culturali e dell'ambiente; b) di
servizi di area vasta nei settori della sanità, della scuola e della formazione
professionale e degli altri sevizi urbani di livello metropolitano", le
ulteriori funzioni tra quelle esercitate a livello regionale o comunale, che
devono invece essere esercitate a livello metropolitano. Le funzioni assegnate
alla Conferenza dalla legge statale (ove cioè fosse approvato il testo della
Commissione del Senato che conferisce direttamente le funzioni sopra indicate
alla Conferenza) e quelle ad essa attribuite dalla legge regionale (in
applicazione di quanto detto nel precedente capoverso) "si svolgono in
modo coordinato attraverso accordi di programma, conferenze di servizi,
istituzione di uffici e di strutture Comuni, o nei modi previsti dall'art. 22
della l. 142. La Conferenza metropolitana delibera per ciascuna funzione le
modalità di esercizio, che possono essere diverse, ed applicarsi in territori
differenziati, in ragione delle peculiarità territoriali ed economiche, nonché
della natura e qualità dei servizi riferibili alle diverse parti del
territorio".
Tuttavia ove
sia decorso un periodo di tempo stabilito dalla legge in centottanta giorni
dalla delimitazione dell'area metropolitana senza che la Conferenza abbia
provveduto, allora le modalità di esercizio delle funzioni "possono essere
definite con legge regionale, anche prevedendo forme associative obbligatorie
tra i Comuni interessati, o attribuendo le funzioni alla Provincia e
disciplinando i relativi procedimenti con la garanzia della partecipazione dei
Comuni". Merita infine di essere sottolineato il fatto che nel testo del
Senato è esplicitamente dichiarato che " resta comunque escluso
l'esercizio diretto delle funzioni medesime da parte delle Regioni".
6.2. Per quanto riguarda poi il riordino territoriale, il
testo della Commissione del Senato dispone che "la Conferenza
metropolitana....può avanzare proposte di riordino delle circoscrizioni
territoriali dei Comuni inclusi nell'area metropolitana. Le proposte possono
prevedere la istituzione di nuovi Comuni per scorporo dalle Aree di intensa
urbanizzazione o per fusione di Comuni contigui, nonché l'istituzione di unioni
di Comuni, anche in deroga ai limiti stabiliti dall'art. 26 (della l.142,
N.d.R.), tenendo conto del grado di autonomia, di organizzazione e di
funzionalità dei Comuni stessi, così da assicurare il pieno esercizio delle
funzioni comunali, la razionale utilizzazione dei servizi, la responsabile partecipazione
dei cittadini nonché un equilibrato rapporto fra dimensioni territoriali e
demografiche". E' stabilito inoltre che "le
proposte vengono sottoposte a referendum popolare nei Comuni direttamente
interessati dalle singole proposte. Qualora le proposte di scorporo, di fusione
o di unione vengano approvate dalla maggioranza degli aventi diritto al voto in
ogni Comune interessato da ciascuna proposta, la Regione procede con legge
entro i successivi sessanta giorni al riordino territoriale." "Ai nuovi
Comuni sono trasferiti dai Comuni preesistenti, in proporzione agli abitanti e
al territorio, risorse e personale nonché adeguati beni strumentali immobili e
mobili". Infine: "se uno o più Comuni
inclusi nell'area metropolitana ricadono nel territori di una Comunità montana,
la Regione procede con legge ad una nuova delimitazione della Comunità montana,
escludendo i Comuni medesimi".
6.3. Il testo della Commissione del Senato prevede poi
anche l'eventuale trasformazione della Conferenza metropolitana in Città
metropolitana. L'istituzione della Città metropolitana, peraltro, può avvenire
in due modi diversi. "La Conferenza metropolitana può
proporre, a maggioranza dei due terzi dei componenti e con il voto favorevole
di tanti sindaci che rappresentino almeno la metà più uno dei cittadini
residenti nell'area metropolitana, l'istituzione nella medesima area della
Città metropolitana." Tuttavia
"in mancanza di una proposta avanzata entro diciotto mesi dalla
Conferenza, la Regione può proporre, con deliberazione del Consiglio
regionale, l'istituzione della Città metropolitana. In tal caso la proposta
deve essere corredata dal parere favorevole espresso con deliberazione del
Consiglio comunale da due terzi dei Comuni dell'area metropolitana, e comunque
da tanti Consigli comunali che rappresentino almeno la metà più uno dei
cittadini residenti nell'area medesima". In ogni caso "la Città
metropolitana è istituita con legge della Repubblica". Una volta che sia
stata istituita, alla Città metropolitana si applicano le norme previste per le
Province e i suoi organi sono quelli già oggi previsti dalla l. 142. Tuttavia
alla Città metropolitana "spettano, oltre alle funzioni di competenza
Provinciale, le funzioni di livello metropolitano", già precedentemente
indicate come proprie della Conferenza metropolitana. Inoltre "alla Città
metropolitana competono le tasse, le tariffe e i contributi sui servizi ad essa
attribuiti". Con l'istituzione della Città metropolitana "ai Comuni
restano le funzioni comunali non attribuite espressamente alla Città
metropolitana", mentre "la Conferenza metropolitana è soppressa,
salvo che lo statuto della Città metropolitana non disponga diversamente". Ancora: "Quando l'area (...) non coincida con il
territorio di una Provincia, si procede alla nuova delimitazione delle
circoscrizioni Provinciali esistenti, considerando l'area come il territorio di
una nuova Provincia (…). Nel caso di coincidenza tra l'area e il territorio di
una Provincia, questa si configura come autorità metropolitana, con specifica
potestà statutaria ed assume la denominazione di Città metropolitana".
6.4. Per quanto riguarda poi la fase
transitoria, il testo predisposto dal Senato prevede che nel caso di
istituzione della Città metropolitana:
"a) gli
organi elettivi della Città metropolitana sono eletti alla scadenza del mandato
degli organi elettivi dei Comuni capoluogo di Provincia inclusi in ciascuna
area metropolitana, in carica alla entrata in vigore dei decreti legislativi
relativi alla costituzione della Città metropolitana;
b)
contestualmente si procede al rinnovo degli organi elettivi di tutti i Comuni
dell'area metropolitana, sulla base delle nuove circoscrizioni territoriali;
c) il
mandato degli organi elettivi delle Province il cui capoluogo è incluso nel territorio
delle Aree metropolitane scade con la prima elezione degli organi della Città
metropolitana".
In ordine,
poi, alla Conferenza metropolitana, per la fase transitoria è previsto che
"la prima seduta della Conferenza metropolitana è convocata per una data
compresa nei trenta giorni successivi alla data di entrata in vigore della
legge; qualora, prima della data di entrata in vigore della presente legge,
l'individuazione dell'area metropolitana sia stata già effettuata, sentite le
popolazioni interessate, con legge regionale vigente alla predetta data o con
deliberazione valida ed efficace del Consiglio regionale, la legge o
deliberazione vale come istituzione della Città metropolitana".
7. Come si vede, il testo elaborato
dalla prima Commissione del Senato è profondissimamente diverso da quelli
presentati dagli on. Vito e Novelli, e anche da quello, sostanzialmente
identico, approvato dalla Camera dei deputati il 20 dicembre del 1994.
E' del tutto
evidente che nelle modifiche introdotte si riflettono le critiche a suo tempo
avanzate da molte parti e specificamente formulate, in forma ufficiale, già
nella prima redazione delle conclusioni presentate dalla
Sottocommissione
Ordinamento in sede di Commissione Maroni (15).
E' altresì
evidente che il testo della prima Commissione del Senato risente in maniera
assai significativa anche delle critiche formulate alla linea adottata dalla l.
142 che vede l'entificazione come unica forma possibile di governo
metropolitano, e dell'esperienza, su questo piano assai rilevante, compiuta
nell’area metropolitana di Bologna (16). Tuttavia non si
può negare che anche questo testo offre il fianco a più di una critica.
7.1. Un primo gruppo di critiche tocca aspetti fra loro
diversi ma sostanzialmente connessi.
a) Una prima sottolineatura critica
può riguardare il fatto che il testo licenziato dalla prima Commissione del
Senato, pur prendendo formalmente le mosse dal progetto già approvato dalla
Camera, sviluppa un disegno riformatore assai ampio, che va molto al di là
delle semplici modificazioni procedurali e di tempo previste in
quell'articolato. Può essere ragionevole dunque
chiedersi se a questo punto, e volendo operare a un tale livello di
innovazione, non sia più opportuno procedere dichiaratamente a una totale
riscrittura del Capo IV della l. 142. L'eventuale sostituzione del Capo IV, che
alcuni considerano come la via migliore per riformare questa parte della legge
(17), potrebbe essere
inoltre raccomandabile proprio per evidenziare a fondo le innovazioni
introdotte e per consentire una discussione più chiara fra le diverse opzioni
possibili.
b) Una seconda osservazione critica
può essere rivolta al fatto che le modifiche proposte, mentre individuano in
modo accettabile le modalità di delimitazione dell'area, introducendo
meccanismi sanzionatori dell'inefficienza a provvedere da parte dei diversi
soggetti di volta in volta coinvolti, lasciano poi del tutto aleatoria e
sostanzialmente facoltativa la trasformazione della Conferenza metropolitana
nella Città metropolitana vera e propria. Va in particolare sottolineato che è
sufficiente l'inerzia della Conferenza metropolitana e della Regione perché la
Città metropolitana non venga istituita. Soprattutto questa seconda critica
appare fondata. L'impostazione adottata lascia infatti molto perplessi proprio
perché non configura la Conferenza metropolitana come una fase transitoria,
destinata comunque a sboccare nell'istituzione di un nuovo ente territoriale
che si realizzi come un nuovo e più razionale livello di governo. In questo
modo nel sistema delineato dalla prima Commissione del Senato vi è una evidente
bivalenza di disegni e di prospettive che vengono presentate come fra loro
compatibili ma che, specialmente se destinate a coesistere l'una accanto
all'altra, implicano una potenziale "duplicità" (e una sostanziale
inevitabile complessità) del sistema di governo delle Aree metropolitane nel
nostro Paese. Questo ragionamento è rafforzato poi dalla constatazione che nel
testo del Senato le funzioni assegnate alla Conferenza metropolitana da un
lato, alla Città metropolitana dall'altro, sono definite dalla stessa legge
statale attraverso l'individuazione di una sorta di "nucleo
indefettibile" (18) di funzioni che ad
esse, vengono comunque essere attribuite.
Analogamente,
per quanto riguarda le funzioni eventualmente assegnate o trasferite dalle
Regioni, il testo del Senato tende ad individuare vincoli e criteri uniformi
che devono essere rispettati sia con riferimento alla Conferenza che alla Città
metropolitana, dall'altro. Coesiste così una singolare omogeneizzazione delle
funzioni delle due diverse figure organizzatorie; il che è in evidente
contrasto con la pura eventualità e facoltatività della scelta che, nel
processo di organizzazione dell'area metropolitana, può essere compiuta fra
queste due diverse figure. Quello che
si vuol dire, in sostanza, è che si potrebbe anche comprendere che Conferenza
metropolitana e Città metropolitana possano coesistere "all'interno
dell'ordinamento italiano" come modelli organizzatori diversi, entrambi
dotati di una propria intrinseca razionalità e entrambi finalizzati a
consentire più duttilità nella forma di organizzazione del governo dell'area
metropolitana. Una simile prospettiva, tuttavia, risulta del tutto
contraddittoria rispetto alla pretesa di definire in modo sostanzialmente
rigido l'ambito e le funzioni dell'uno e dell'altro modello, nonché le
rispettive modalità di reperimento delle risorse. In questo modo infatti la
potenziale ricchezza e la duttilità derivante dalla compresenza di diversi
possibili modelli organizzativi sono ampiamente compromesse dal fatto che essi
sono poi rinchiusi in schemi rigidi per quanto riguarda le loro funzioni e i loro
poteri.
Pare giusto chiedere che si compia
invece una scelta netta e chiara fra due diverse opzioni possibili:
a) favorire
la compresenza di modelli organizzativi diversi, individuando modalità di
allocazione delle funzioni e di definizione dei poteri tali per cui a modelli
diversi possano corrispondere attribuzioni di funzioni ed esercizio di poteri
sostanzialmente differenti. In questo caso assume particolare importanza
stabilire in che modo e a chi spetti di assumere le decisioni relative alla scelta
fra l'uno e l'altro e alla definizione delle funzioni che in concreto e caso
per caso devono essere assegnate alla struttura organizzativa adottata;
b)
considerare, invece, come necessario un elemento di rigidità nella
individuazione dei modelli organizzativi e delle funzioni loro assegnate, da
realizzarsi, come fa appunto il testo del Senato, attraverso l'indicazione
puntuale delle funzioni stesse nonché dei criteri secondo i quali ulteriori
funzioni sono trasferibili da parte delle Regioni. In questo secondo caso,
però, proprio perché indica volutamente la via di una struttura sostanzialmente
rigida, si ha anche l'onere di definire meglio i rapporti che sussistono tra
l'uno e l'altro dei due modelli concretamente proposti, e le ragioni di fondo
che possono consentire il mantenimento dell'uno (la Conferenza metropolitana)
oppure giustificare, o addirittura imporre, il passaggio, legislativamente
determinato all'altro (cioè alla Città metropolitana).
Sarebbe
opportuno, in sostanza, che il legislatore chiarisse se intende apprestare
soltanto schemi organizzativi possibili ma anche ampiamente derogabili, oppure
se intende, invece, definire forme legislativamente individuate e coerenti con
una ratio legislativamente definita.
In questo
secondo caso, poi, il legislatore ha anche l'onere di definire i rapporti tra
l'uno e l'altro modello, chiarendo se essi sono potenzialmente coesistenti o se
invece l'uno rappresenta normalmente soltanto una fase di transizione verso
l'altro.
Da questo
punto di vista il testo della prima Commissione del Senato lascia dubbi
rilevanti. Appare piuttosto singolare che, mentre il passaggio dall'uno
all'altro modello è previsto come "naturale" (giacché non si afferma
affatto che la compresenza dei due possibili modelli sia un aspetto intrinseco
della scelta strategica proposta), esso è poi disciplinato in modo da essere
del tutto facoltativo e, quindi, sostanzialmente eventuale.
Per altro è
pacifico che se anche si scegliesse la via della Conferenza metropolitana come
prima fase di un processo destinato a concludersi nell'istituzione della Città,
ben potrebbero sussistere casi nei quali questo processo potrebbe incontrare
difficoltà tali da rendere necessario dilazionarne e procrastinarne nel tempo
il completamento. Tuttavia, se ci si vuole collocare nella logica dei modelli
predeterminati (e quindi della strategia procedurale), a questa eventualità si
potrebbe ovviare consentendo alla Conferenza metropolitana di dichiarare
positivamente, e con esplicita deliberazione, la rinuncia a istituire la Città
metropolitana e il conseguente esercizio delle funzioni a questa assegnate
dalle leggi attraverso la sola Conferenza metropolitana. Si potrebbe poi
prevedere che una tale delibera abbia un effetto soltanto dilatorio, ovvero, al
contrario, che operi a tempo indeterminato. In questo secondo caso sarebbe
evidentemente possibile rinunciare di fatto, e permanentemente, al passaggio
dall'una all'altra forma organizzativa.
Una scelta
legislativa di questo genere, peraltro, sarebbe comunque assai diversa da
quella compiuta oggi dal testo della prima Commissione del Senato: essa infatti
affermerebbe esplicitamente che il modello-base è dato dal processo di
formazione della Conferenza metropolitana e dal successivo passaggio all
istituzione della Città e renderebbe, inoltre, del tutto definiti i casi, i
modi, le forme ricorrendo i quali è possibile rinunciare al completamento di
questo processo. La conseguenza sarebbe che in questo modo si affermerebbe la
contemporanea presenza di modelli diversi all'interno del nostro ordinamento
risponde a esigenze "strutturali e non a volontà
"casuali"".
7.2. Quanto sin qui osservato apre la via a un secondo
gruppo di critiche di maggiore spessore sostanziale. Dietro le ambiguità e ambivalenze
sottolineate stanno, infatti, problemi di fondo relativi appunto all'obbiettivo
che si vuol perseguire nell'intervenire sulle modalità di governo dell'area
metropolitana.
Se, come si è ricordato, secondo alcuni il difetto
principale della normativa contenuta nella l. 142 consisteva nella rigidità del
modello predisposto, ora si può dire che la fragilità delle proposte in
discussione consiste, invece, proprio nella compresenza di modelli
differenziati, tra loro oggettivamente incoerenti, salvo che li si concepisca
come fasi diverse di un unico procedimento di instaurazione di una nuova forma
di governo locale, consistente appunto nella Città metropolitana; col che però
è evidente che si potrebbe ricadere proprio nella critica di eccessiva
schematicità già avanzata a suo tempo nei confronti della rigidità della l.142.
E' necessario dunque porsi con grande franchezza il seguente interrogativo: la
oggettiva complessità della normativa proposta e la compresenza in essa di
modelli diversi corrisponde a un disegno definito o, invece, all'impossibilità
di individuare una strategia chiara ed univoca? In realtà l'esame complessivo della normativa sinora
elaborata conduce piuttosto alla seconda conclusione. Non siamo, infatti, in
presenza di un disegno finalizzato a consentire un'oggettiva elasticità di
modelli ciascuno dei quali utile per risolvere, secondo differenti modalità,
problemi fra loro diversi e chiaramente individuati nella loro specificità. Siamo al contrario di fronte a una
normativa che sembra piuttosto voler lasciare aperte opzioni organizzative
diverse, nell'oggettiva incertezza di quale debba essere il ruolo che le Aree
metropolitane devono svolgere in Italia. Né sarebbe persuasivo dire che anche in altri Paesi
coesistono modelli di governo delle Aree metropolitane fra loro profondamente
diversi. Una osservazione di questo genere concorre caso mai a provare la
validità della critica qui avanzata. Nei Paesi in cui questo accade, infatti,
proprio l'esigenza di rispondere a problemi differenti, e precisamente
individuati, giustifica la contemporanea esistenza di modelli diversi (19). Nel caso italiano,
invece, la formulazione di ipotesi differenti coesiste con l' evidente volontà
di sottolineare le eguaglianze, almeno nella individuazione di un nucleo
definito di funzioni e di criteri specifici per l'attribuzione di ulteriori
funzioni da parte delle Regioni. Tutto questo contrasta evidentemente con la
prospettiva, che pure avrebbe potuto essere teorizzabile, di voler puntare su
meccanismi organizzativi elastici, per consentire a ciascun "sistema
metropolitano" di stabilire al tempo stesso sia il modello organizzativo
più idoneo alle proprie esigenze che le funzioni che da questo devono essere esercitate
. Occorre allora che ci chiediamo
quali siano le ragioni della difficoltà italiana di definire uno scenario
adeguato e persuasivo rispetto al problema, da tutti riconosciuto come
esistente, del governo delle Aree metropolitane.
7.3. La risposta a questo interrogativo
non può essere né univoca né semplice. Entrano in gioco, infatti, molti fattori
diversi, alcuni dei quali peraltro legati specificamente alla complessità
oggettiva dei problemi di governo delle Aree metropolitane. In primo luogo, non è facile
risolvere il conflitto fra una potenziale logica "funzionalista",
secondo la quale ciascuna funzione dovrebbe essere esercitata al livello
territoriale più adatto, anche a costo di moltiplicare le strutture
organizzative secondo ambiti territoriali e funzionali diversi; e una logica
"strutturalista" che, in modo esattamente contrapposto, privilegia
invece l'individuazione di un unico ambito territoriale di dimensione
metropolitana, anche scontando che esso possa non essere, rispetto all'esercizio
dell'una o dell'altra funzione, quella più idonea. Ancora: anche scegliendo la
prospettiva dell'individuazione di un unico ambito territoriale, non è facile
poi scegliere fra l'ipotesi di una struttura di governo per così dire
"leggera" che consista essenzialmente in un organo collegiale,
rappresentativo delle diverse entità territoriali e titolare pressoché soltanto
di poteri di indirizzo e di coordinamento, da un lato, e una prospettiva
opposta, che punti invece sulla costituzione di un vero e proprio ente,
titolare delle funzioni di interesse dell'area metropolitana, dall'altro. Da
questo punto di vista, perciò, risultano del tutto comprensibili tanto le
profonde critiche suscitate dalla scelta rigida compiuta con la l. 142, quanto
l'incertezza attuale del legislatore fra diverse ipotesi organizzative, fino
all'oscillazione e al tentativo di mediazione fra modelli profondamente
differenti. Tuttavia se si esaminano con più
attenzione il dibattito in corso e le aporie presenti nelle proposte qui
richiamate, si constata facilmente che nel caso italiano vi sono nodi più
profondi, che spiegano la perdurante difficoltà di sciogliere in modo netto la
questione del governo dell'Area metropolitana.
In realtà,
la problematica relativa al sistema di governo locale è, nel nostro Paese,
dominata da due grandi questioni che la condizionano. La prima, più nota,
riguarda la difficoltà di armonizzare il sistema regionale e il ruolo svolto
dalle Regioni con l'articolazione dell'amministrazione comunale e provinciale.
La seconda, meno sottolineata ma nn meno importante, attiene alla grande
difficoltà di accettare differenziazioni significative fra enti territoriali
appartenenti al medesimo livello di governo.
Altrimenti
detto: per un verso la vicenda italiana è segnata dall'irrisolto contrasto fra
il ruolo delle Regioni e quello dello Stato rispetto al sistema di governo
locale; per un altro verso essa è invece caratterizzata dal contrasto,
egualmente irrisolto e parzialmente sovrapposto al precedente, fra
l'omologazione del sistema di governo locale nell'ambito di una legislazione
statale uniforme e la sua differenziazione, innescata da spinte autonome o
dall'eventuale iniziativa regionale.
Rispetto
all'Area metropolitana entrambi questi nodi assumono un peso di assoluto rilievo.
E' proprio la loro mancata soluzione a spiegare infatti, in buona misura, le
difficoltà e le contraddizioni nelle quali incorrono i tre modelli teoricamente
possibili e praticamente sperimentati per il governo dei territori
metropolitani, e dunque il perdurante rinvio di una decisione sul punto.
La questione
delle Aree metropolitane, in sostanza, obbliga ad affrontare fino in fondo la
complessità delle scelte tuttora da compiere in ordine all'articolazione del
nostro sistema di governo locale.
Ed infatti:
o
Non vi è
dubbio che autorità metropolitane forti, espressione delle Aree economiche e
geografiche presumibilmente più significative del Paese, poste in condizione di
indipendenza e di non condizionamento da parte delle Regioni, sarebbero
inevitabilmente destinate a contrapporsi alle Regioni stesse.
o
In sostanza,
forti autorità metropolitane svaluterebbero inevitabilmente il ruolo delle
Regioni proprio in una fase nella quale molti guardano alla dimensione
territoriale e di governo regionale come a quella più idonea per assicurare una
ricca e solida articolazione locale. La conseguenza sarebbe evidentemente
quella di innescare una sorta di modello "diarchico" nel governo del
territorio e del sistema delle autonomie locali.
o
A questo
dilemma, tuttavia, non si sfuggirebbe neppure adottando la soluzione di una
forma organizzativa leggera (quale, nell'ipotesi qui esaminata, la Conferenza
metropolitana), tale da assicurare essenzialmente soltanto modalità di
coordinamento nell'azione amministrativa e nell'organizzazione dei servizi.
Perdurerebbe infatti, in questo caso, un irrisolto potenziale contrasto fra
ruolo della Regione e ruolo della grande Città, da un lato; fra dimensione
metropolitana dei problemi ed esistenza di un'accentuata frammentazione degli
enti di governo locale, dall'altro.
o
Entrambi
questi potenziali conflitti sarebbero certamente meno forti se ci si orientasse
verso la scelta, oggi in Italia non sostenuta da alcuno, di organizzare servizi
e funzioni di area vasta secondo una prospettiva funzionalistica.
In una
ipotesi funzionalistica, infatti, gli ambiti territoriali e le strutture
organizzative sarebbero necessariamente differenziate a seconda delle diverse
funzioni e quindi non vi sarebbe un permanente contrasto potenziale fra
un'unica autorità di governo dell'area e il sistema delle Regioni e degli enti
locali. In questo caso, però, si rinuncerebbe totalmente a considerare l'area
metropolitana come una dimensione reale di governo del territorio, spezzandone
irrimediabilmente l'unità di ruolo attraverso il proliferare di organizzazione
di settore.
8. Proprio la discussione in corso in Parlamento in ordine alla questione
delle Aree metropolitane, costituisce la migliore testimonianza delle
contraddizioni e delle contrapposte tensioni che caratterizzano la tematica
dell'articolazione del governo regionale e locale nel nostro Paese. A questa situazione non si può porre certamente
rimedio opponendo nominalisticamente i regionalisti (o i federalisti) ai
sostenitori del ruolo dei Comuni, delle Province e, oggi, anche delle grandi
Città.
Anzi: è
possibile dire che proprio il fatto che le grandi Città tendano sempre più a
presentarsi nel panorama del sistema comunale e locale come soggetti a sé
stanti obbliga a prendere atto, una volta di più, della complessità delle
questioni e del groviglio dei problemi che oggi caratterizzano questo settore.
L'augurio è che la discussione in corso sulle Aree metropolitane non si areni
negli apparenti tecnicismi o nel contrasto perverso dei veti contrapposti fra i
sostenitori delle diverse prospettive in gioco. Anche guardando alla dimensione
europea, nella quale coesistono, ma anche nello stesso tempo si contrappongono,
il modello dell'Europa delle Regioni e quello dell'Europa delle grandi Aree
urbane e delle Città, abbiamo il dovere di sviluppare fino in fondo il
dibattito su questa questione e di definire in modo responsabile e coerente le
decisioni che vorremo assumere.
Differenziarsi
fra regionalisti e comunalisti, fra sostenitori di una prospettiva federale e
teorizzatori del principio di sussidiarietà come moderna chiave di volta di
ogni problema del governo locale, serve a poco. E' molto importante invece che
si riesca a discutere in modo chiaro su quale ruolo vogliamo che sia svolto
dalle Città, in generale, e dalle grandi Aree urbane, in particolare, e quale ,
di conseguenza, debba essere in questo contesto la funzione sostanziale delle
Regioni e degli altri enti locali.
Prima questa
discussione sarà affrontata nei suoi termini più chiari, prima riusciremo a
superare le contraddizioni e le contrapposizioni che oggi paralizzano ogni
soluzione possibile.
Note:
(1) L'UPI (Unione delle Province
Italiane) ha tenuto il suo Congresso a Roma nei giorni 15-17 settembre del
1995. In quel Congresso non si è esplicitamente discusso dei progetti di legge
in discussione in Parlamento ma certo non è mancata l'attenzione
sull'evoluzione in atto nel sistema delle Province, anche con riferimento al
problema metropolitano. Del resto è significativo che in quel Congresso sia
stato rieletto Presidente dell'UPI Marcello PANETTONI già Presidente uscente e
Presidente anche, all'interno della Commissione Maroni, della Sottocommissione
ordinamento, sulla quale cfr. infra. Nel corso del Congresso dell'UPI, inoltre, è stata
distribuita ai partecipanti la Relazione presentata dal Presidente PANETTONI il
giorno 11 settembre nell'ambito di una seduta formale, tenutasi presso il
Ministero dell'Interno, della ex Commissione Maroni. Anche sul contenuto di
quella Relazione, oltre che su quello della precedente Relazione presentata,
nella stessa sede e dallo stesso Presidente PANETTONI il giorno 20 dicembre
1994, cfr. infra. (2) L'ANCI (Associazione Nazionale
dei Comuni Italiani) ha tenuto il suo Congresso nei giorni 25-28 ottobre 1995.
Anche in questa occasione il tema delle Aree metropolitane e della istituzione
delle Città metropolitane non è stato esplicitamente affrontato. Merita
tuttavia sottolineare che in quel Congresso è stato eletto Presidente dell'ANCI
il sindaco di Catania BIANCO, fondatore e animatore del club delle grandi Città
che, costituitosi dopo il passaggio all'elezione diretta dei sindaci,
costituisce sicuramente un fatto nuovo e di grande rilevanza nel panorama del
sistema locale italiano. L'elezione del Presidente BIANCO pare segnare un
indubbio rafforzamento dei Sindaci delle grandi Città all'interno dell'ANCI, e
dunque un maggior peso di fatto della dimensione metropolitana. (3) Su questo aspetto e sulla
stretta connessione che sussiste fra la approvazione stessa della l.142 (che
vide il governo Andreotti porre la questione di fiducia per evitare la
votazione degli emendamenti a favore dell'elezione diretta del Sindaco) e
l'avvio delle iniziative referendarie che, insieme alle vicende giudiziarie,
avrebbero condotto poi alla crisi del sistema politico italiano si rinvia a F.
PIZZETTI, Sistema dei partiti e sistemi elettorali nella "lunga
transizione", in Studi parlamentari e di politica costituzionale,
1995, n.108, 37 ss. (4) Cfr. F. PIZZETTI, Sistema dei
partiti e sistemi elettorali, cit.. (5) Cfr. su questo L. VANDELLI, Sistemi elettorali
e forma di governo degli enti locali, in M.LUCIANI E M.VOLPI ( a cura di) ,
Riforme elettorali, Laterza, Bari, 1995, 253 ss. (6) Per la rassegna delle proposte
di riforma presentate in questa fase e per il dibattito che su di esse si è
svolto cfr. F. PIZZETTI, Il federalismo e i recenti progetti di riforma del
sistema regionale italiano, in le Regioni, 1995, n.2, 225. (7) Interventi di Don Giuseppe
Dossetti su cui cfr. G. DOSSETTI, Conversazioni, ed. In Dialogo, Milano,
1994. Cfr. anche, per l'intervento da Lui tenuto a Milano il 21 gennaio 1995 al
Convegno dei Comitati per la difesa dei valori della Costituzione, G. DOSSETTI,
Non una seconda repubblica ma revisioni costituzionali giuste, in Nuova
Fase, n. 1 del 1995, 89 ss. (8) Cfr. ora
A. DI GIOVINE e S. SICARDI, Sistemi elettorali e forma di governo a livello
regionale, in M. LUCIANI e M. VOLPI (a cura di), Riforme elettorali,
cit.. (9) La Commissione Maroni, istituita
con D.M. 12 luglio 1994, definita come "permanente", con l'incarico
di contribuire alla definizione di una "disciplina legislativa che,
fondandosi sul principio di sussidiarietà, valorizzi l'autonomia degli enti
locali, innovando, in particolare, l'ordinamento finanziario e contabile,
l'assetto dell'organizzazione ed il regime dei controlli per adeguarli alle
nuove realtà politico-istituzionali", ebbe il compito di predisporre entro
il termine del 31 dicembre 1994 uno schema di disegno di legge di delegazione
in materia di autonomie locali" nonché di "formulare la successiva
normativa delegata, in attuazione dei principi enunciati in premessa". La
Commissione, presieduta dal sottosegretario LO IUCCO si articolò in due
distinte Sottocommissioni: la prima presieduta dal Presidente dell'UPI
PANETTONI, per la trattazione dei problemi relativi all'ordinamento e al
personale; la seconda presieduta dal Presidente dell'ANCI PADULA, per le
materie relative alla finanza. La Sottocommissione ordinamento incaricò un
gruppo ristretto di membri (DE ROBERTO, poi sostituito da TUMBIOLO, MERLONI,
SAJA, VANDELLI) integrato da due esperti, PIZZETTI e ROMAGNOLI, di predisporre
ipotesi di modificazioni normative coerenti con il dibattito svoltosi in
Commissione. Una relazione finale con proposte normative fu infine presentata
il 20 dicembre 1994, quando ormai il Governo Berlusconi era al termine della
sua esperienza. (10) Sulla quale cfr. COMUNE DI
BOLOGNA, PROVINCIA DI BOLOGNA, Governare le Città, Il Mulino, Bologna,
1994. Cfr. ora anche COMUNE DI BOLOGNA, PROVINCIA DI BOLOGNA, Progetto Città
metropolitana (materiali per il riordino territoriale), ciclos., 1995. (11) Il testo di questa Relazione,
intitolato Commissione per le Autonomie Locali, Sottocommissione ordinamento
e personale, Relazione conclusiva, fu esposto dal PRESIDENTE PANETTONI in
una apposita seduta plenaria della Commissione Maroni tenutasi il 20 dicembre
1994. Il testo è disponibile in ciclostilato e depositato presso la Commissione
stessa. Sul contenuto di questa Relazione cfr. anche quanto esposto in F.
PIZZETTI, Federalismo e recenti progetti di riforma, in Le Regioni,
1995, n.2, 225 ss. (12) La questione dei tempi
dell'entrata in vigore della Città metropolitana, specialmente dopo l'elezione
diretta dei Sindaci e dei Presidenti delle Province è oggettivamente un
problema tutt'altro che secondario. Poiché Sindaci e Presidenti di Provincia
possono comunque essere rieletti una sola volta non manca oggi chi ritiene che,
per vincere le loro attuali resistenze (forti ovviamente soprattutto fra i
Sindaci dei comuni capoluogo) si potrebbe prevedere l'entrata a regime della
Città metropolitana per la fine della prossima legislatura amministrativa.
Questo consentirebbe che gli attuali Sindaci dei grandi Comuni, non più
rieleggibili dopo l prima riconferma, potrebbero trasformare la loro attuale
resistenza in un atteggiamento assai più collaborativo. Essi potrebbero infatti
vedere nelle Città metropolitane, da istituire a pieno regime soltanto al
termine della seconda legislatura comunale, una prospettiva importante anche
per il loro stesso ruolo futuro, anziché, come oggi accade, una minaccia alla
loro carica. E' evidente peraltro che una prospettiva del genere, per quanto
pragmaticamente comprensibile, è in palese contrasto con l'opportunità di dare
una rapida risposta ai problemi di governo delle Aree metropolitane. (13) Su questo punto le osservazioni
fatte dalla Commissione Maroni nel testo presentato dalla Sottocommissione
ordinamento nella seduta del 20 dicembre 1994 sono state poi ulteriormente
approfondite nella Relazione presentata dal Presidente PANETTONI nella seduta
dell'11 settembre 1995. In questa seconda stesura infatti si tiene conto anche
dell'andamento che la discussione sul progetto di legge ha avuto in Senato e si
formulano quindi critiche più esplicite al testo originale, quale presentato a
suo tempo alla Camera. Il testo della seconda Relazione, dal titolo Relazione
conclusiva, Completare la riforma delle autonomie locali al servizio del
cittadino, nella prospettiva della riforma federalistica della Repubblica
italiana, presentato alla Commissione dal Presidente PANETTONI, è stato
successivamente reso noto e distribuito nell'ambito del recente Congresso
Nazionale dell'UPI. (14) D'altro canto merita
sottolineare che in uno stesso giorno, il 20 dicembre 1994, la Camera dei
deputati approvò il progetto VITO e al Ministero dell'Interno si tenne la
seduta nella quale il Presidente PANETTONI consegnò la prima Relazione della
Sottocommissione Ordinamento da lui presieduta. (15) Cfr. quanto osservato supra al par. 5 . (16) Cfr. quanto osservato supra,
par. 4 (17) In questo senso sembrano
collocarsi Francesco Merloni e Luciano Vandelli. La posizione da loro avanzata
merita particolare attenzione giacché tutti e due, oltre che studiosi di
particolare autorevolezza nel settore, sono vicepresidenti delle rispettive
Amministrazioni provinciali: Roma, il primo e Bologna, il secondo. Entrambi,
inoltre, hanno, nei loro incarichi politici, la espressa delega a occuparsi,
per le loro amministrazioni, dei problemi dell'area metropolitana. (18) La proposta di individuare un
"nucleo indefettibile" di funzioni da assegnare per legge statale a
Comuni e Province è stata formulata in sede di Commissione Maroni
(Sottocommissione Ordinamento) specificamente dai professori MERLONI e VANDELLI
e successivamente fatta propria, in sede di Relazione conclusiva, sia dal
Comitato tecnico che dal Presidente PANETTONI. Cfr. le due Relazioni del 20
dicembre 1994 e del 11 settembre 1995, già precedentemente citate. (19) Per una recente, interessante,
rassegna sulle diverse forme di governo delle Aree metropolitane in Europa cfr.
ora COMUNE DI BOLOGNA, PROVINCIA DI BOLOGNA, PROGETTO CITTÀ METROPLITANA, Le
Aree metropolitane in Europa, Bologna, 1994.
Nessun commento :
Posta un commento
Grazie per il tuo commento, iscriviti al blog per ricevere gli aggiornamenti