di Ernesto Frasca Polara
Alla città di tipo Medioevale, cinta di mura e collocata in mezzo all’aperta campagna, va sostituendosi una realtà più diffusa, con la formazione di are intermedie fra la città e la campagna. Col delinearsi di questa nuova situazione, viene decentrata, una parte della struttura produttiva dell’area centrale, generando un insieme metropolitano, dove le funzioni direttive, amministrative ed organizzative rimangono di competenza dell’area centrale. Le aree di contorno assumono una maggiore capacità attrattiva poiché lo sviluppo vi si localizza totalmente. Lo sviluppo dei trasporti, provocando l’abbassamento dei costi degli stessi, rende accessibili spazi sempre più vasti, nei quali è possibile un tipo di sviluppo policentrico, e una struttura dei collegamenti più flessibile, rispetto a quella delle aree urbane ad alta densità. Questo si verifica nei Paesi in cui i processi di urbanizzazione sono più avanzati, ed al ristagno o al decremento della popolazione della città centrale, si sostituisce un tumultuoso sviluppo delle aree circostanti. Di fondamentale importanza, a tal proposito, risulta la precisazione di A. Ardigò (in "La diffusione urbana" 1967) che evidenzia la differenza fra il termine <<metropoli>>, che è una grande città che conserva il carattere tradizionale, con l’esatta delimitazione amministrativa dei suoi confini e con una differenziazione iscritta nitidamente nel suolo, tra la città e la campagna. Il termine <<area metropolitana>> assume il significato di una estensione territoriale degli insediamenti urbani al di là dei confini della città - metropoli, ed un insieme spaziale in cui i rapporti città-campagna non sono più concepibili come rapporti fra le due realtà socio-culturali, qualitativamente diverse e difformi, ma si avvolgono piuttosto come lungo un continuum, sempre più dominato e permeato dalla diffusione urbana. Un primo problema che presentano le aree metropolitane è quello della loro rapida e continua variazione nel tempo. È difficile, infatti, individuare tali aree e delimitarne i confini, a causa delle continue forze di diffusione presenti nel territorio. A seguito di ciò, un’adeguata rappresentazione del fenomeno metropolitano deve necessariamente essere dinamica, perché non può non tenere conto delle direzioni e della rapidità dei mutamenti in atto nella struttura del territorio stesso. Una precisa delimitazione delle aree metropolitane, dal punto di vista statico, risulta difficoltosa, a causa del fenomeno della diffusione dello sviluppo da una o più metropoli centrali verso la campagna e perciò mal si adatta ad essere compresa in un perimetro entro il quale i problemi possono essere studiati come un fatto unico ed omogeneo. Una migliore rappresentazione si ha, invece, considerando la variazione di intensità del fenomeno metropolitano, non adottando un’unica linea geografica perimetrale, ma sostituendo ad essa dei gradienti che delimitino fasce diverse di intensità. Per procedere nell’analisi, il fenomeno metropolitano va scorporato dal più generale contesto del territorio regionale, stabilendo la soglia inferiore dei gradienti per individuare le aree metropolitane. Detta soglia non può essere stabilita in assoluto, in quanto risente del tipo di analisi che si intende condurre. Il problema della delimitazione geografica dell’area ci riconduce, quindi, all’individuazione degli aspetti che si vogliono mettere in evidenza riguardo al complesso fenomeno metropolitano. A monte dei criteri empirici, adottati per la delimitazione delle aree metropolitane, esistono degli schemi concettuali ai quali si sono ispirati gli studiosi e le autorità di censimento per definire le confinazioni. Gli studi sul fenomeno metropolitano seguono due direzioni: la prima, intende l’area metropolitana come un tipo di "regione geografica", vista come un continuum urbanizzato. Un concetto monoperimetrale di area, connesso alla contiguità degli insediamenti. Questa accezione basata sulla contiguità spaziale o "conurbazione" (secondo P. Geddes: conurbazione è un’area occupata da una serie continua di abitazioni, fabbriche ed altre costruzioni, porti e bacini, parchi urbani e campi da gioco, ecc. che non siano separati gli uni dagli altri da terreno agricolo>>), non soddisfa gli studiosi che rivolgono la loro attenzione alle interrelazioni presenti nell’area metropolitana, compresi gli aspetti sociologici. La seconda direzione di studi, approfondita dalla scuola sociologica di Chicago, implica una definizione di "comunità metropolitana", intesa come un sistema integrato di funzioni cui corrisponde un determinato habitat. Sia che ci si riferisca all’interdipendenza economica dell’area urbana centrale con le aree esterne che vengono, così, a costituire una struttura unica; sia che si delinei la comunità metropolitana come un complesso di sotto comunità interdipendenti, dominate dalla metropoli; sia che la comunità metropolitana si distingua in base ad una gerarchia di funzioni in essa presenti; questa seconda definizione dell’area metropolitana implica un rapporto di necessità fra funzione e suo manifestarsi nello spazio. Nel mondo contemporaneo, pero, la continuità spaziale non appare più come un connotato essenziale della realtà urbana. Lo sviluppo delle migrazioni pendolari e il fenomeno più evidente della frattura fra continuità fisica ed integrazione funzionale. Il raggio degli spostamenti dei pendolari per ragioni di lavoro, viene assunto come criterio preferenziale per la identificazione delle aree metropolitane. L’esigenza di agibilità del territorio e le altissime valutazioni del mercato fondiario urbano, costituiscono importanti fattori di localizzazione decentrata. Intorno alla città centrale sorgono, cosi, nuovi centri o si potenziano quelli minori già esistenti, che sottraggono alla città funzioni una volta esclusive, ma che dipendono ugualmente da essa per altre funzioni che non possono accogliere a causa delle loro modeste dimensioni. La struttura metropolitana viene definita, pertanto, come un sistema di funzioni interrelate, distribuite anche discontinuamente nello spazio. Il concetto di area metropolitana supera e sostituisce quello tradizionale di città, intesa come spazio fisico edificabile, che pur presentando al suo interno diversificazioni funzionali, costituisce un territorio "omogeneo", distinguibile dall’area agricola circostante. Il concetto di area metropolitana non coincide con quello di "regione metropolitana", infatti, quest’ultima comprende un territorio più vasto, economicamente interdipendente rispetto alla città, ed include il circostante territorio non urbanizzato, del quale la città stessa costituisce il principale mercato e centro finanziario. In questo senso il fenomeno urbano e metropolitano si colloca a diversi livelli che possono essere sinteticamente chiamati di:
a) aree urbane, caratterizzate dalla continuità edilizia e dall’assenza, al loro interno, di suoli destinati all’uso agricolo;
b) aree metropolitane, caratterizzate dall’integrazione delle funzioni e dall’intensità dei rapporti che si realizzano al loro interno;
c) regioni metropolitane, che si identificano con le aree di influenza economica delle prime e delle seconde.
b) aree metropolitane, caratterizzate dall’integrazione delle funzioni e dall’intensità dei rapporti che si realizzano al loro interno;
c) regioni metropolitane, che si identificano con le aree di influenza economica delle prime e delle seconde.
Gli indici adottati per l’individuazione delle aree metropolitane.
Chiarito il concetto di area metropolitana, sorge la questione degli indici da adottare per la loro precisa delimitazione geografica. L’area metropolitana, risultando un fenomeno complesso, impone il ricorso ad indici indiretti e generici che fanno riferimento o alla popolazione ed alla sue caratteristiche (dimensione demografica, densità e struttura della popolazione residente, tasso di attività della popolazione, ecc.), o a flussi che si svolgono nelle diverse parti del territorio (spostamenti per motivi di lavoro, numero di chiamate telefoniche, ecc.).
Relativamente all’Italia, uno studio di A. Sestini (1958), nel delimitare le conurbazioni di Milano e di Napoli, si basa sulla densità territoriale della popolazione e sulla percentuale di attivi extragricoli. A. Acquarone individua, per la definizione di aree metropolitane, oltre al carattere industriale o terziario dell’area anche una densità sociale ,,intesa come consistenza e frequenza degli scambi e dei rapporti fra area centrale e zone circostanti>>, senza tuttavia affrontare il problema della sua misurazione. Altri tentativi di delimitazione delle aree metropolitane sono stati fatti utilizzando indici dinamici. J. Bastiè e L. Brichler, nel loro studio sull’area di Parigi, hanno preso in considerazione anche i dati relativi agli incrementi e decrementi di popolazione, utilizzando diverse variabili e assegnando loro un peso diverso.
Analoga considerazione, per gli aspetti dinamici del fenomeno metropolitano, la ritroviamo in uno studio condotto dall’ILSES sulle aree metropolitane italiane, in cui la delimitazione delle aree (agglomerazioni) viene fatta in due fasi: una prima fase in cui si considerano inclusi tutti i Comuni contigui che rispondono ad almeno due delle seguenti condizioni:
Relativamente all’Italia, uno studio di A. Sestini (1958), nel delimitare le conurbazioni di Milano e di Napoli, si basa sulla densità territoriale della popolazione e sulla percentuale di attivi extragricoli. A. Acquarone individua, per la definizione di aree metropolitane, oltre al carattere industriale o terziario dell’area anche una densità sociale ,,intesa come consistenza e frequenza degli scambi e dei rapporti fra area centrale e zone circostanti>>, senza tuttavia affrontare il problema della sua misurazione. Altri tentativi di delimitazione delle aree metropolitane sono stati fatti utilizzando indici dinamici. J. Bastiè e L. Brichler, nel loro studio sull’area di Parigi, hanno preso in considerazione anche i dati relativi agli incrementi e decrementi di popolazione, utilizzando diverse variabili e assegnando loro un peso diverso.
Analoga considerazione, per gli aspetti dinamici del fenomeno metropolitano, la ritroviamo in uno studio condotto dall’ILSES sulle aree metropolitane italiane, in cui la delimitazione delle aree (agglomerazioni) viene fatta in due fasi: una prima fase in cui si considerano inclusi tutti i Comuni contigui che rispondono ad almeno due delle seguenti condizioni:
1) un incremento demografico nel decennio 1951-61 positivo;
2) un indice statico di industrializzazione superiore all’indice medio della zona di influenza del centro principale, precedentemente determinata sulla base dei recenti flussi migratori;
3) un indice dinamico di industrializzazione superiore all’indice medio della zona di influenza. Nella seconda fase, vengono inclusi i Comuni contigui aventi un incremento demografico superiore all’incremento naturale della Provincia di appartenenza del Comune maggiore, ed i Comuni con più di 25.000 abitanti al 1961.
2) un indice statico di industrializzazione superiore all’indice medio della zona di influenza del centro principale, precedentemente determinata sulla base dei recenti flussi migratori;
3) un indice dinamico di industrializzazione superiore all’indice medio della zona di influenza. Nella seconda fase, vengono inclusi i Comuni contigui aventi un incremento demografico superiore all’incremento naturale della Provincia di appartenenza del Comune maggiore, ed i Comuni con più di 25.000 abitanti al 1961.
Gli indici dinamici, piuttosto che utili alla delimitazione delle aree metropolitane in un dato istante, sono necessari all’individuazione delle loro tendenze evolutive, quindi alla formulazione di previsioni in ordine al loro futuro sviluppo. In assenza di sistematiche rilevazioni dei flussi gravitanti sulle città italiane, sembra necessario basare la definizione delle aree metropolitane sui seguenti indici:
1) la dimensione demografica;
2) la dimensione (in termini di attivi) delle attività extragricole;
3) la densità territoriale di tali attività.
2) la dimensione (in termini di attivi) delle attività extragricole;
3) la densità territoriale di tali attività.
Tali indici, seppure indiretti e generici rispetto al fenomeno che si vuole misurare, rispettano un sufficiente grado di significatività. L’assenza di misurazioni riguardanti, i flussi fra le diverse parti del territorio, ed anche la mancanza di un esame specifico della natura geomorfologica e delle caratteristiche insediative, sembra non debba introdurre errori nella valutazione del fenomeno metropolitano a livello aggregato (nazionale e di grandi circoscrizioni geografiche). Può, però, comportare imprecisioni a livello delle singole aree, nelle quali si possono riscontrare discrepanze fra i confini reali del territorio ed i perimetri metropolitani, quali risultano dall’adozione dei suddetti indici.
Definiti gli indici, è necessario fissare i valori di soglia, utili a discriminare l’area metropolitana dal resto del territorio. Per quanto riguarda la dimensione demografica minima, si è ritenuto di accogliere quella di 100.000 abitanti, adottata dall’International Urban Research. Tuttavia, per una maggiore precisione, considerate le differenze di sviluppo presenti nel nostro Paese fra il Nord ed il Mezzogiorno, è opportuno non riferirsi esclusivamente ad una soglia dimensionale espressa in termini di popolazione. È necessario porre anche una dimensione minima di popolazione attiva extragricola, potendo questa considerarsi come indice del grado di urbanizzazione e dell’influenza metropolitana sul territorio. In seguito a quanto detto la soglia, a causa del divario di popolazione tra le varie parti d’Italia , viene ridefinita a 110.000 abitanti ed il valore teorico corrispondente degli attivi extragricoli e di 35.000 circa. Si considerano cosi inclusi i Comuni che, da soli o con l’insieme di quelli vicini con i quali formano l’area metropolitana, superano ambedue queste soglie di 110.000 abitanti e di 35.000 attivi extragricoli residenti. Un’altra condizione ritenuta necessaria perché si possa avere un’area metropolitana e, per molti autori, l’esistenza di una città centrale di una dimensione minima di 50.000 abitanti (parametro definito dall’istituto del censimento americano, 1960). La dimensione minima di 50.000 abitanti per il nucleo centrale e stata accolta nello studio sulle aree italiane condotto dall’ILSES, includendo, pero, anche le città sedi universitarie (con almeno due facoltà) o centri di attrazione migratoria nelle zone di influenza secondarie (definite sulla base dei flussi migratori permanenti) che non ottemperavano al requisito minimo. A. Ardigo, nella sua analisi della diffusione metropolitana in Italia, stabilisce che:<< sono aree metropolitane quelle per le quali e possibile verificare le condizioni previste dalla teoria seguente: i processi di conurbazione in atto attorno alle maggiori città portano alla formazione di aree metropolitane se e nella misura in cui le variabili che qualificano il carattere urbano della popolazione rivelano omogeneità e differenze, di frequenza e di intensità, distribuite a partire dalla città centrale verso i territori attorno in guisa che il modello della diffusione per "gradienti" sia il più adatto a rappresentare tali fenomeni>> (da "La diffusione urbana"-1967). Se questo rappresenta il modello generale dello sviluppo metropolitano , e allora necessaria l’esistenza di un polo centrale a dimensione minima, ma e altrettanto necessario il parametro della densità territoriale degli attivi extragricoli che risulta decisivo per studiare l’effetto metropolitano, e la delimitazione delle aree metropolitane. Definendo la dimensione minima del nucleo centrale di 50.000 abitanti, viene stabilita una nuova soglia minima di densità extragricola comunale di 100 attivi extragricoli per Kmq. Si e proceduto su questa base alla delimitazione delle aree metropolitane alla data del 1951 e del 1961, tenendo presente, nel delimitarle oltre alla densità minima detta ulteriori criteri per rendere più elastica l’applicazione del parametro: sono stati cosi inclusi i Comuni o gruppi di Comuni totalmente o quasi circondati da altri di sufficiente densità. L’accostamento delle delimitazioni delle aree al 1951 ed al 1961 permette una visione dinamica del fenomeno, base per una sua proiezione nel futuro.
Definiti gli indici, è necessario fissare i valori di soglia, utili a discriminare l’area metropolitana dal resto del territorio. Per quanto riguarda la dimensione demografica minima, si è ritenuto di accogliere quella di 100.000 abitanti, adottata dall’International Urban Research. Tuttavia, per una maggiore precisione, considerate le differenze di sviluppo presenti nel nostro Paese fra il Nord ed il Mezzogiorno, è opportuno non riferirsi esclusivamente ad una soglia dimensionale espressa in termini di popolazione. È necessario porre anche una dimensione minima di popolazione attiva extragricola, potendo questa considerarsi come indice del grado di urbanizzazione e dell’influenza metropolitana sul territorio. In seguito a quanto detto la soglia, a causa del divario di popolazione tra le varie parti d’Italia , viene ridefinita a 110.000 abitanti ed il valore teorico corrispondente degli attivi extragricoli e di 35.000 circa. Si considerano cosi inclusi i Comuni che, da soli o con l’insieme di quelli vicini con i quali formano l’area metropolitana, superano ambedue queste soglie di 110.000 abitanti e di 35.000 attivi extragricoli residenti. Un’altra condizione ritenuta necessaria perché si possa avere un’area metropolitana e, per molti autori, l’esistenza di una città centrale di una dimensione minima di 50.000 abitanti (parametro definito dall’istituto del censimento americano, 1960). La dimensione minima di 50.000 abitanti per il nucleo centrale e stata accolta nello studio sulle aree italiane condotto dall’ILSES, includendo, pero, anche le città sedi universitarie (con almeno due facoltà) o centri di attrazione migratoria nelle zone di influenza secondarie (definite sulla base dei flussi migratori permanenti) che non ottemperavano al requisito minimo. A. Ardigo, nella sua analisi della diffusione metropolitana in Italia, stabilisce che:<< sono aree metropolitane quelle per le quali e possibile verificare le condizioni previste dalla teoria seguente: i processi di conurbazione in atto attorno alle maggiori città portano alla formazione di aree metropolitane se e nella misura in cui le variabili che qualificano il carattere urbano della popolazione rivelano omogeneità e differenze, di frequenza e di intensità, distribuite a partire dalla città centrale verso i territori attorno in guisa che il modello della diffusione per "gradienti" sia il più adatto a rappresentare tali fenomeni>> (da "La diffusione urbana"-1967). Se questo rappresenta il modello generale dello sviluppo metropolitano , e allora necessaria l’esistenza di un polo centrale a dimensione minima, ma e altrettanto necessario il parametro della densità territoriale degli attivi extragricoli che risulta decisivo per studiare l’effetto metropolitano, e la delimitazione delle aree metropolitane. Definendo la dimensione minima del nucleo centrale di 50.000 abitanti, viene stabilita una nuova soglia minima di densità extragricola comunale di 100 attivi extragricoli per Kmq. Si e proceduto su questa base alla delimitazione delle aree metropolitane alla data del 1951 e del 1961, tenendo presente, nel delimitarle oltre alla densità minima detta ulteriori criteri per rendere più elastica l’applicazione del parametro: sono stati cosi inclusi i Comuni o gruppi di Comuni totalmente o quasi circondati da altri di sufficiente densità. L’accostamento delle delimitazioni delle aree al 1951 ed al 1961 permette una visione dinamica del fenomeno, base per una sua proiezione nel futuro.
2.3.2 - Le aree metropolitane italiane al 1951, al 1961 e al 1966
Seguendo il metodo indicato sono state individuate e delimitate, in primo luogo, le aree metropolitane al 1951 e al 1961 sulla base dei dati censuari. Sono state considerate le densità degli attivi extragricoli dei Comuni italiani, aggregando fra loro, i Comuni contigui con densità superiori ai 100 attivi extragricoli/Kmq; fra questi raggruppamenti si sono definite le aree metropolitane, aree aventi, cioè, una popolazione complessiva superiore a 110.000 abitanti ed un numero di attivi extragricoli superiore a 35.000. Sono, così, state individuate al 1951 n.26 aree metropolitane con una popolazione complessiva di 14,76 milioni di residenti, pari al 31,1% della popolazione italiana, con una superficie occupata di 13.289 Kmq pari a 4,4% della superficie totale nazionale. Al 1961 le aree metropolitane sono risultate in numero di 32 e ciò nonostante saldamento di due aree vicine (La Spezia e Carrara): si è avuta cioè, la formazione di sette nuove aree metropolitane. La popolazione complessiva e passata a 19,8 milioni di residenti, con un incremento medio annuo del 3,0%, ed ha raggiunto al 1961 il 39,8% della popolazione italiana. Le caratteristiche, la consistenza, il ritmo di crescita del fenomeno metropolitano si presentano difformi nelle varie parti del Paese, vi e una netta differenza, infatti, tra le due parti divise dal parallelo immediatamente a sud delle aree di Livorno ed Ancona. Il territorio posto a nord del suddetto parallelo e caratterizzato da una maggiore frequenza di aree metropolitane: in esso si collocano, infatti, 22 delle 32 aree individuate al 1961, con un’area metropolitana ogni 6.000 Kmq circa di superficie territoriale. A sud le 10 aree residue si distribuiscono sul territorio in ragione di un’area ogni 17.000 Kmq circa. Mentre al Nord la popolazione residente in aree metropolitano può considerarsi pressappoco pari alla meta della popolazione complessiva, al Sud essa ne costituisce appena 1/3. Questa notevole differenza e soprattutto dovuta ad un accelerato meccanismo di urbanizzazione nel territorio del Nord, che porta ad una notevole estensione dei perimetri metropolitani ed alla formazione di nuove aree metropolitane (sei delle sette aree di nuova formazione tra il 1951 ed il 1961 si collocano al Nord). Le aree metropolitane del Nord tendono quindi ad estendersi e a saldarsi fra di loro costituendo sistemi sempre più complessi, mentre la crescita metropolitana al sud avviene soprattutto nei poli tradizionali. Il periodo 1961-66 ha visto la sostanziale continuazione dei trends metropolitani del decennio precedente. Nel quinquennio 1961-65 si e avuto un leggero incremento del tasso di sviluppo delle aree metropolitane, tale incremento e soprattutto dovuto ad un più elevato tasso d’incremento naturale, mentre la forza di attrazione delle aree metropolitane nei riguardi del resto del Paese e rimasta identica. L’aumento della popolazione nelle aree metropolitane definite al 1961 e dovuto all’incremento naturale (1,1%) ed al movimento migratorio effettivo (1,0%).Considerando separatamente gli incrementi delle aree del Nord e di quelle del Sud, si può notare come il loro comportamento sia diametralmente opposto: mentre, infatti, la crescita del Nord e dovuta quasi esclusivamente al saldo migratorio positivo, al Sud la crescita metropolitana e dovuta, soprattutto al movimento naturale. Si può quindi affermare che la crescita delle aree metropolitane del Nord e di Roma, unitamente ai fenomeni migratori verso l’estero, non ha utilizzato solo il surplus di manodopera, che l’esodo dell’agricoltura ed il forte incremento naturale hanno reso disponibile nelle aree a destinazione agricola e nei piccoli centri urbani del Mezzogiorno, ma ha rallentato la crescita stessa del sistema metropolitano meridionale. Il modello di sviluppo, dal 1951 al 1966, è dunque prevalentemente monocentrico e compatto, e la crescita metropolitana si assesta intorno ai due poli principali di Milano e Torino: l’espansione dei perimetri metropolitani e lo sviluppo dell’area <<satellite>> di Brescia possono, in buona misura, spiegarsi con la progressiva saturazione del territorio all’interno dei vecchi confini delle aree maggiori. Nell’Italia nord-orientale l’incidenza della popolazione metropolitana sul totale appare relativamente modesta, ma è anche vero che in essa si riscontra il maggior numero di aree metropolitane(12) di media e piccola dimensione, con una frequenza sul territorio che è la più alta del paese: un’area metropolitana ogni 4823 kmq di superficie territoriale. Nell’Italia nord-orientale la crescita metropolitana tende ad aver luogo in modo prevalentemente diffusivo ed articolato, intorno ad una molteplicità di centri urbani di dimensioni non eccessivi: in virtù del suo carattere policentrico e della sua dislocazione, il fenomeno metropolitano, malgrado le modeste dimensioni demografiche, configura un’armatura urbana che sembra in grado di ridurre i rischi, sia della congestione nelle aree di attrazione, sia del rapido declino delle aree non ancora urbanizzate. L’Italia centrale si colloca, dal punto di vista dello sviluppo metropolitano, in una situazione intermedia, tra il più equilibrato sistema nord-orientale e la rigida contrapposizione tra poche aree di concentrazione e vasti territori di intenso esodo che è caratteristica del Mezzogiorno.
Le aree metropolitane individuate al 1961 sono cinque, una in più (Ancona) rispetto al 1951. Al 1961, il Mezzogiorno presenta nove aree metropolitane, cinque sul continente (una in più, Pescara, rispetto al 1951), tre in Sicilia ed una in Sardegna. Tutte le nove aree meridionali si collocano lungo le coste e lasciano amplissimi spazi privi di dotazioni metropolitane. In termini di ampiezza, domina largamente l’area di Napoli con i suoi tre milioni e mezzo di abitanti, seguita a distanza da Palermo con circa settecentomila abitanti. Entrambe queste aree si collocano a notevole distanza dalle aree metropolitane minori, con le quali non sembra, quindi, che costituiscano un vero e proprio sistema. Queste aree sembrano più luoghi di addensamento di popolazione e di attività, che centri di organizzazione del territorio meridionale, per gran parte del quale, le aree metropolitane risultano di scarsissima accessibilità.
Le aree metropolitane individuate al 1961 sono cinque, una in più (Ancona) rispetto al 1951. Al 1961, il Mezzogiorno presenta nove aree metropolitane, cinque sul continente (una in più, Pescara, rispetto al 1951), tre in Sicilia ed una in Sardegna. Tutte le nove aree meridionali si collocano lungo le coste e lasciano amplissimi spazi privi di dotazioni metropolitane. In termini di ampiezza, domina largamente l’area di Napoli con i suoi tre milioni e mezzo di abitanti, seguita a distanza da Palermo con circa settecentomila abitanti. Entrambe queste aree si collocano a notevole distanza dalle aree metropolitane minori, con le quali non sembra, quindi, che costituiscano un vero e proprio sistema. Queste aree sembrano più luoghi di addensamento di popolazione e di attività, che centri di organizzazione del territorio meridionale, per gran parte del quale, le aree metropolitane risultano di scarsissima accessibilità.
2.3.3 - Criteri di previsione comuni a due ipotesi alternative di sviluppo metropolitano al 1981
Un lavoro SVIMEZ fornisce, nell’ipotesi del mantenimento di un sostenuto ritmo di sviluppo economico del Paese, una previsione della popolazione residente e delle forze di lavoro al 1981. Tenendo conto del movimento naturale della popolazione italiana nel periodo 1966-81 e sottraendo a questo il movimento migratorio verso l’estero (ed i connessi effetti naturali), valutato in base alla ipotesi di un progressivo annullamento entro il 1981 delle migrazioni, lo studio prevede che la popolazione italiana passerà da 52.500.000 residenti al 1966 a 58.340.000 nel 1981 con un incremento sia dei residenti che delle forze lavoro. Si dispone, così, di una previsione globale al 1981 per l’Italia che deve ora tradursi in previsioni sull’evoluzione del sistema metropolitano nel complesso e nelle sue varie parti. Tale disaggregazione sarà compiuta mediante due ipotesi fondamentali: la prima, che prevede la continuazione del trend passato, non intesa nel senso di una semplice estrapolazione dei tassi di sviluppo metropolitano, ma fondata sulla considerazione dei fattori essenziali di tale sviluppo, e in assenza di una politica normativa dell’espansione metropolitana. La seconda ipotesi prevede che in, virtù di una tale politica, si consegua un maggior equilibrio territoriale, particolarmente tra Nord e Sud del Paese, e fra grandi e piccole aree metropolitane, vincolando tale equilibrio all’esigenza di garantire comunque un certo sviluppo nelle aree maggiori e più dinamiche del Paese, affinché non si creino gravi strozzature o flessioni. Comune alle due ipotesi è la previsione di espansione delle aree metropolitane, in base al solo movimento naturale e alla ripartizione fra le varie aree delle migrazioni verso l’estero. Le due ipotesi, quindi, si differenziano fra loro esclusivamente per quanto riguarda il movimento migratorio interno ed i connessi effetti naturali. Vengono così trascurati i possibili effetti che le diverse politiche dell’espansione metropolitana potrebbero produrre sul movimento naturale e sui tassi di attività della popolazione metropolitana, già insediata all’inizio del periodo.
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