a cura del Servizio Studi della Camera dei Deputati
L’articolo 17del decreto legge 95/2012, come modificato dalla legge di conversione, dispone un generale riordino delle province (in luogo della soppressione ed accorpamento previsto dal testo originario) attraverso un articolato procedimento condiviso con le comunità locali (commi 1-5) e la ridefinizione delle loro funzioni, prevedendo tra l’altro il conferimento di ulteriori funzioni oltre a quelle di coordinamento stabilite dal D.L. 201/2011 (commi 6-11). Inoltre, si conferma la soppressione della giunta provinciale (comma 12) e si prevede la redistribuzione tra le province, all’esito della riduzione del loro numero, del patto di stabilità interno in modo da garantire l’invarianza del contributo complessivo (comma 13).
Riordino delle province (art. 17, commi 1-5)
Il comma
1 individua l’oggetto dell’intervento normativo nel riordino delle province
delle regioni a statuto ordinario, e la sua finalità nel contribuire
al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica imposti dagli obblighi
europei necessari al raggiungimento del pareggio di bilancio. Per i criteri e
le modalità attuative il comma 1 rinvia ai successivi commi.
Nel testo
originario del comma l’obiettivo della disposizione è costituito dalla soppressione
e dall’accorpamento delle province, sostituito nel corso dell’esame
presso il Senato con il più generale riordino delle stesse. Parimenti, le
espressioni soppressione, accorpamento e riduzione, ovunque ricorrenti
nell’articolo in esame, sono sostituite da quella di riordino.
Se
indubbiamente la nuova definizione intende attenuare, almeno dal punto di vista
terminologico, l’impatto dell’intervento normativo, tuttavia non sembra mutarne
sostanziamente la portata, in quanto il riordino, sulla base dei criteri
fissati dal Governo, già adottati come si dirà, non potrà che tradursi nella
soppressione di un certo numero di province, nella loro riaggregazione in nuove
province o nell’accorpamento a province supersiti, con il risultato di una
sostanziale riduzione del numero delle province stesse.
Nel corso
dell’esame del Senato è stata aggiunta la precisazione che il riordino riguarda
le province situate nelle regioni a statuto ordinario; anche in questo
caso la disposizione ha una limitata portata normativa, in quanto viene
mantenuta la disposizione di cui al comma 5 che prevede il riordino anche delle
province delle regioni a statuto speciale (ad eccezione di Trento e Bolzano)
entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto.
I successivi
commi 2, 3 e 4 delineano un complesso procedimento, articolato in
4 fasi, che in breve tempo, entro il 2012, porterà al riordino delle province
attraverso:
§ la definizione dei requisiti minimi da parte del Governo;
§ la deliberazione, sulla base di tali requisiti, delle ipotesi di riordino
da parte dei Consigli delle autonomie locali;
§ la deliberazione di proposte di riordino da parte delle regioni;
§ il riordino operato con legge del Governo sulla base delle proposte delle
regioni.
Le fasi della procedura sono
sintetizzate nella tabella che segue.
Azione
|
Organo
|
Atto
|
Termini
|
||
I
|
Determinazione dei criteri per il riordino delle province
|
Consiglio dei ministri
|
Deliberazione 20 luglio 2012
|
Entro 10 gg. dall’entrata in vigore del D.L.
|
20.7.2012
|
II
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Ipotesi di riordino
|
Consigli delle autonomie locali o altri organi di raccordo Regione-Enti
locali
|
--
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Entro 70 gg dalla data di pubblicazione della deliberazione del CdM
|
2.10.2012
|
III
|
Proposta di riordino (parere sui piani di riduzione)
|
Regione
|
--
|
Entro 20 gg. dalla data di trasmissione dell’ipotesi di riordino e in
ogni caso entro 92 gg. dalla pubblicazione della deliberazione del CdM
|
23.10.2012
24.10.2012 |
IV
|
Soppressione e accorpamento delle province
|
Governo
|
Atto legislativo
|
Entro 60 gg dalla legge conversione del DL
|
13.10.2012
|
La definizione dei criteri di riordino
Riguardo ai requisiti
minimi per le province l’articolo in esame individua due condizioni
consistenti nella dimensione territoriale e nella popolazione
residente in ciascuna provincia (comma 2 come modificato dal
Senato).
La
definizione di tali requisiti come “minimi” sembra presupporre la possibile
individuazione di requisiti ulteriori rispetto ad essi, eventualità esclusa dal
testo originario che fa riferimento a criteri di riordino.
Il riordino
delle province sulla base di tali requisiti minimi è demandato ad una deliberazione
del Consiglio dei ministri, da adottare entro 10 giorni dalla data di
entrata in vigore del decreto-legge, ossia entro il 16 luglio 2012, su proposta
dei Ministri dell’interno e della pubblica amministrazione e di concerto con
quello dell’economia.
Ai fini
della determinazione della popolazione, si prevede l’utilizzo dei dati
relativi all’ultimo censimento ufficiale dell’ISTAT, comunque “disponibili”
alla data di entrata in vigore alla legge di conversione. Ciò in deroga
al principio generale che prevede in questi casi l’utilizzo della popolazione
legale, ossia alla popolazione determinata in base ai dati definitivi
del censimento generale ISTAT e recepiti con decreto del Presidente del
Consiglio (attualmente la popolazione legale è quella basata sul censimento del
2001, ai sensi del DPCM 2 aprile 2003).
La
popolazione legale viene utilizzata, per esempio, per il calcolo delle fasce
demografiche dei comuni ai fini della determinazione del numero dei consiglieri
comunali (art. 27 TUEL), e per la scelta del sistema elettorale dei comuni.
La
disposizione derogatoria è motivata presumibilmente dal fatto che attualmente
non sono ancora stati pubblicati i dati definitivi del censimento 2011, mentre
sono noti i dati provvisori già diffusi dall’ISTAT e disponibili nel
sito http://dati.istat.it/, e pertanto
questi sono i dati che potranno essere utilizzati, a meno che nel frattempo non
siano disponibili i dati definitivi della popolazione legale.
Il Governo,
in sede di risposta ad un atto di sindacato ispettivo, ha poi precisato che
sono rilevanti ai fini del riordino delle province i dati demografici
risultanti dal XV censimento generale della popolazione e delle abitazioni,
svoltosi nel 2011, disponibili alla data del 15 agosto 2012. Nella
stessa sede, il Parlamento è stato informato che il 19 giugno sono stati
diffusi i dati in versione provvisoria e non vi sono stati ulteriori aggiornamenti
rilevanti ai fini del riordino[1].
Risulta
dalla citata risposta che l'ISTAT ha confermato lo scostamento tra i dati
demografici derivanti dall'aggiornamento anagrafico mensile dei dati del XIV
censimento, quello del 2001, e i dati censuari del 2011. Al riguardo, l'ISTAT
ha precisato che soltanto in un caso, quello della provincia di Arezzo, i dati
aggiornati del 2001, e comunque irrilevanti ai fini del riordino delle
province, registrano una popolazione residente superiore ai 350 mila abitanti.
Mentre i dati censuari del 2011 attestano che la popolazione residente è
inferiore a tale soglia, previsione confermata anche dalla versione definitiva
dei dati, quindi aggiornati di recente, e che sarà di prossima diffusione.
Sono
individuate alcune deroghe al riordino che riguardano:
§ le province nel cui territorio si trova il capoluogo di regione;
§ le province che confinano solo con province di regioni diverse da
quella di appartenenza (e che pertanto non possono essere ad esse accorpate
senza l’attivazione, nei territori interessati, del procedimento di cui
all’art. 132, secondo comma, Cost., ossia referendum, legge della
Repubblica, parere delle regioni coinvolte) o con province destinate a
trasformarsi in città metropolitane. La disposizione sembrerebbe
applicarsi alla sola provincia di La Spezia, che stante i limiti demografici
fissati dal Governo (vedi oltre) andrebbe soppressa e che confina con la provincia
di Genova (città metropolitana) e con le regioni Emilia – Romagna e Toscana;
§ le province autonome di Trento e Bolzano (la cui istituzione è
prevista a livello costituzionale) sono escluse dalla riduzione.
Le province
delle regioni a statuto speciale, non comprese dalcomma 1 come modificato
dal Senato, decideranno autonomamente le modalità (ma non i termini, che sono
fissati in 6 mesi) di riduzione e accorpamento (sul punto si veda oltre).
Il Governo
ha attuato la disposizione di cui al comma 2 con la deliberazione del Consiglio
dei ministri 20 luglio 2012 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
del 24 luglio 2012 nel corso dell’esame della legge di conversione dei
decreto-legge 95), che ha definito i criteri per il riordino delle province
previsti dalla norma in esame. In base ai criteri approvati, i nuovi enti
dovranno avere almeno 350 mila abitanti ed estendersi su una superficie
territoriale non inferiore ai 2.500 chilometri quadrati. Come
espressamente indicato nella deliberazione, i due criteri devono essere
posseduti entrambi e sono confermate le deroghe previste dalla norma in
esame (vedi sopra).
Senza tener
conto dell’esclusione delle province montane, sulla base di tali criteri e
utilizzando i dati provvisori dell’ISTAT delle 110 province italiane
relativi all’ultimo censimento, disponibili al 25 luglio 2012, se si escludono
le 10 città metropolitane, i 10 comuni capoluogo di regione che non sono città
metropolitane, le 2 province di Bolzano e Trento, la Valle d’Aosta e la
provincia della Spezia, risultano 22 province sopra i limiti suddetti;
sono invece ben 64 le province al di sotto dei limiti e che pertanto
dovranno essere soppresse e accorpate (dati della popolazione pubblicati
sul sito I.Stat, datawarehouse delle statistiche prodotte dall’ISTAT, http://dati.istat.it/, consultati il 25 luglio
2012; per la superficie sono stati utilizzati i dati ISTAT riportati nell'Elenco
dei comuni italiani al 30 giugno 2010 pubblicato nel sito www.istat.it/it/archivio/6789).
Nelle
tabelle che seguono sono indicate, regione per regione, le province soppresse e
quelle confermate ai sensi dei criteri indicati nella deliberazione del 20
luglio 2012. Non è considerata l’esclusione delle province montane.
Tab. 1. Regioni a statuto ordinario
Regione
|
Province soppresse
|
Province confermate
|
Piemonte
|
Vercelli, Asti, Biella, Verbano-Cusio-Ossola, Novara
|
Torino, Cuneo, Alessandria
|
Lombardia
|
Lecco, Lodi, Como, Monza Brianza, Mantova, Cremona, Sondrio, Varese
|
Milano, Brescia, Bergamo, Pavia
|
Veneto
|
Rovigo, Belluno, Padova, Treviso
|
Venezia, Verona, Vicenza
|
Liguria
|
Savona, Imperia
|
Genova, La Spezia
|
Emilia-Romagna
|
Reggio Emilia, Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini, Piacenza
|
Bologna, Parma, Modena, Ferrara
|
Toscana
|
Grosseto, Siena, Arezzo, Lucca, Massa Carrara, Pistoia, Prato, Pisa,
Livorno
|
Firenze
|
Umbria
|
Terni
|
Perugia
|
Marche
|
Ascoli Piceno, Macerata, Fermo,
|
Ancona, Pesaro e Urbino
|
Lazio
|
Latina, Rieti, Viterbo
|
Roma, Frosinone
|
Abruzzo
|
Pescara, Teramo
|
L’Aquila, Chieti
|
Molise
|
Isernia
|
Campobasso
|
Campania
|
Benevento
|
Napoli, Salerno, Caserta, Avellino
|
Basilicata
|
Matera
|
Potenza
|
Puglia
|
Taranto, Brindisi, Barletta-Andria-Trani
|
Bari, Foggia, Lecce
|
Calabria
|
Crotone, Vibo Valentia
|
Cosenza, Reggio Calabria, Catanzaro
|
Tab. 2. Regioni a statuto speciale
Regione
|
Province soppresse
|
Province confermate
|
Friuli - Venezia Giulia
|
Pordenone, Gorizia
|
Trieste, Udine
|
Sicilia
|
Caltanissetta, Enna, Ragusa, Siracusa, Trapani
|
Palermo, Agrigento, Catania, Messina
|
Sardegna
|
Olbia-Tempio, Medio Campidano, Ogliastra, Carbonia-Iglesias, Sassari,
Nuoro, Oristano
|
Cagliari
|
Si rileva
che nel territorio di tre regioni (Umbria, Molise e Basilicata) sono costituite
attualmente due sole province e pertanto, all’esito del riordino, verrebbe a
costituirsi in ciascuna delle tre regioni una sola provincia, il cui territorio
coincide con quello regionale.
Oltre alla
definizione dei limiti demo-territoriali, come prescritto dalla norma in esame,
la deliberazione del Consiglio dei ministri individua le seguenti ulteriori
circostanze, alcune delle quali inserite nel testo dell’articolo in esame da
parte del Senato, alle quali dovranno attenersi i piani di riordino:
§ le proposte di riordino dovranno tener conto delle eventuali iniziative
comunali in corso alla data del 20 luglio 2012 fermi restando i criteri di
popolazione e superficie stabiliti dal Governo (nel corso dell’esame del Senato
tale disposizione è stata inserita nel comma 3 dell’articolo 17);
In proposito si osserva che, per quanto riguarda la popolazione, viene
individuato un nuovo criterio: fermo restando il limite di 350 mila abitanti e
di 2.500 kmq, la deliberazione (prima) e la proposta emendativa (poi) prevedono
che questi siano calcolati alla data di adozione della medesima delibera (20
luglio 2012) e non, come previsto dalla norma in esame, alla data di entrata in
vigore del decreto-legge.
Inoltre, il
Governo ha precisato, con una nota del 3 agosto, che, con riferimento alle
province che non possiedono i requisiti minimi specificamente indicati nella
deliberazione del Consiglio dei ministri, i CAL e le Regioni possono senz'altro
dare seguito ad eventuali iniziative comunali già formalizzate alla data del 24
luglio 2012 volte a modificare le circoscrizioni provinciali. Tuttavia – si
precisa nella nota - tali iniziative non hanno l'effetto di far ottenere nè
perdere alle suddette province i requisiti minimi di dimensione territoriale e
demografica prescritti[2].
§
viene posto il divieto all’accorpamento di una o più
province con le città metropolitane che verranno istituite nel
territorio delle province delle grandi città, previa soppressione delle stesse
province. Tale divieto si ricava anche dall’articolo 17 del decreto, in modo
implicito, che prevede, come si è visto, una deroga alla soppressione per le
province che confinano esclusivamente con province di altre regioni e con
province/città metropolitane;
Tale divieto andrebbe valutato alla luce dell’art. 133, 1° comma, Cost. che
prevede la possibilità, senza specifici limiti, di mutare le circoscrizioni
provinciali su iniziativa dei comuni. La norma in esame non può ovviamente
impedire l’eventuale l’attivazione di tale meccanismo costituzionale anche
qualora sia finalizzato a far confluire una o più province nel territorio di
una città metropolitana. L’intento della norma sembra piuttosto quello di escludere
che i piani di riordino dei CAL prevedano tale possibilità.
Tale lettura è confermata dal fatto che, se da un lato non è espressamente
esclusa la possibilità che i piani di riordino prevedano il passaggio di
singoli comuni, appartenenti a province che rientrano nel riordino in esame,
alla città metropolitana, dall’altro, l’articolo 18, comma 2, facendo salvo
l’art. 133, 1° comma, Cost. sembrerebbe consentire il passaggio di comuni, solo
con l’attivazione della procedura costituzionale.
(Sulla compatibilità con l’art. 133 Cost. si veda quanto argomentato più
diffusamente infra).
§ i piani di riordino stabiliscono la denominazione delle province
all’esito della riorganizzazione;
§ il ruolo del comune capoluogo di provincia sarà assunto dal comune
capoluogo della provincia soppressa con maggior popolazione residente (fattispecie
legificata per effetto del successivo comma 4-bis).
Non
viene indicata la fonte statistica per la determinazione della popolazione del
comune capoluogo, ma essa deve presumibilmente intendersi la stessa che sarà
alla base del programma di riordino. Sembra, inoltre, che la norma intenda
escludere la possibilità di province con capoluoghi multipli previsti dalla
normativa vigente.
Ipotesi di riduzione
Sulla base
dei criteri come sopra definiti i Consigli delle autonomie locali (CAL),
ai sensi del comma 3, sono tenuti a predisporre delle “ipotesi di
riordino” (il testo originale fa riferimento invece a piani di riduzione
e accorpamento)delle province situate nelle rispettive regioni e ad
approvarli (non viene indicato l’atto formale di approvazione, mentre nel testo
originario questo è individuato in una apposita delibera).
Nella
deliberazione delle ipotesi di riordino, come precisato nel corso dell’esame
del Senato, i CAL devono considerare il rispetto del principio di continuità
territoriale della provincia.
I CAL sono
organi di consultazione a composizione mista regioni - enti locali istituiti
dall’art. 123 Cost. (come modificato dalla riforma del titolo V del 2001).
Attualmente risultano costituiti CAL in quasi tutte le regioni, ad eccezione
della Basilicata e del Veneto, dove dovrebbero operare ancora gli organismi di
raccordo regione-enti locali istituiti anteriormente al 2001. E, infatti, la
disposizione in esame prevede che, qualora i CAL non siano ancora costituiti, i
piani siano deliberati da tali organi di raccordo.
Nel testo
originario del decreto-legge le delibere dei CAL sono definite “costituenti iniziativa
di riordino delle province”[3]. Tale definizione è stata soppressa nel
corso dell’esame del Senato e sostituita con la previsione che le ipotesi e le
proposte di riordino devono tener conto delle eventuali iniziative comunali
in corso alla data del 20 luglio 2012.
In ogni
caso, sia nella formulazione vigente, sia in quella proposta dal Senato, la
disposizione di cui al comma 3 intende verosimilmente affrontare il punto forse
più delicato dell’intervento normativo: infatti, la Costituzione prevede, come
accennato nel paragrafo precedente, un percorso ben preciso per il mutamento
delle circoscrizioni provinciali (o per la creazione di nuove province) che può
essere stabilito “con Legge della repubblica, su iniziativa dei comuni, sentita
la stessa regione” (art. 133, 1° comma).
Si
pone pertanto, anche in questo caso, la questione della compatibilità
costituzionale della disposizione, per il fatto che interpreta l’attuazione di
un obbligo di legge come iniziativa nell’attivazione del procedimento
costituzionale.
Inoltre,
il coinvolgimento dei comuni - che l'art. 133 Cost. richiede - potrebbe essere
ritenuto solo parzialmente realizzato dall'intervento del CAL, per la sua
composizione generalmente rappresentativa e mista (non comprende solo i
comuni). Il CAL, peraltro, agisce prevalentemente come organo di consulenza.
Si
consideri infine che lo spazio deliberativo del CAL (o dell'organo di raccordo)
appare apprezzabilmente ridotto sia dagli obiettivi di riduzione/accorpamento,
che dai parametri quantitativi relativi al territorio e alla popolazione.
Peraltro le delibere di iniziativa sono solo ‟base‟ per la
successiva determinazione governativa.
Si ricorda
in proposito che il procedimento di iniziativa comunale è disciplinato in
dettaglio dall’art. 21 del testo unico degli enti locali – TUEL (D.Lgs.
267/2000), che non è espressamente modificato dalla richiamata disciplina.
Eppure, lo stesso TUEL, all’art. 1, stabilisce che “ai sensi dell'articolo 128
della Costituzione le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe al
presente testo unico se non mediante espressa modificazione delle sue
disposizioni”.
In particolare il citato articolo 21 del TUEL prevede che per la revisione
delle circoscrizioni provinciali e l'istituzione di nuove province i comuni
esercitano l'iniziativa di cui all'articolo 133 della Costituzione, tenendo
conto dei seguenti criteri ed indirizzi:
§
ciascun territorio provinciale deve
corrispondere alla zona entro la quale si svolge la maggior parte dei rapporti
sociali, economici e culturali della popolazione residente;
§
ciascun territorio provinciale deve
avere dimensione tale, per ampiezza, entità demografica, nonché per le attività
produttive esistenti o possibili, da consentire una programmazione dello
sviluppo che possa favorire il riequilibrio economico, sociale e culturale del
territorio provinciale e regionale;
§
l'intero territorio di ogni comune
deve far parte di una sola provincia;
§
l'iniziativa dei comuni, di cui
all'articolo 133 della Costituzione, deve conseguire l'adesione della
maggioranza dei comuni dell'area interessata, che rappresentino, comunque, la
maggioranza della popolazione complessiva dell'area stessa, con delibera
assunta a maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati; le regioni emanano
norme intese a promuovere e coordinare l'iniziativa dei comuni;
§
di norma, la popolazione delle
province risultanti dalle modificazioni territoriali non deve essere inferiore
a 200.000 abitanti;
§
l'istituzione di nuove province non
comporta necessariamente l'istituzione di uffici provinciali delle
amministrazioni dello Stato e degli altri enti pubblici;
§
le province preesistenti debbono
garantire alle nuove, in proporzione al territorio ed alla popolazione
trasferiti, personale, beni, strumenti operativi e risorse finanziarie
adeguati.
In caso di
inerzia di uno o più CAL il testo dell’originario comma 3 prevede che la
riduzione sia operata direttamente dal Governo previo parere della Conferenza
unificata. Tale disposizione è stata superata dalle modifiche al
procedimento operata al Senato (vedi oltre).
Le proposte delle regioni e l’iniziativa governativa
Dopo che i
CAL hanno approvato le ipotesi di riordino, queste passano al vaglio delle
regioni.
Mentre il
testo originale prevede che le regioni, dopo le deliberazioni dei piani di
riordino, esprimono il proprio parere al Governo, il testo approvato dal
Senato stabilisce che queste non esprimano un semplice parere, ma elaborino un
nuovo (interlocutorio) documento recante proposta di riordino delle
province, sulla base delle ipotesi dei CAL (comma 3).
In ogni
caso, come chiarito dal Governo nel corso dell’esame in sede referente al
Senato, le proposte delle regioni non avranno carattere vincolante (Commissione
Bilancio, seduta 748 del 27 luglio 2012).
Una doppia
norma di chiusura, introdotta al Senato e non prevista dal testo originario,
stabilisce che:
§ in caso di mancata trasmissione delle ipotesi dei CAL, le regioni procedono
comunque entro 80 giorni dalla data di pubblicazione della delibera del
Governo;
§ in caso di mancanza delle proposte delle regioni, il Governo dispone in via
sostitutiva, previo parere della Conferenza unificata.
Il testo
originario prevede il ricorso alla Conferenza in caso di inottemperanza dei
CAL, ma non delle regioni: la norma emendata consente di superare le eventuali
inerzie sia dei CAL, sia delle regioni.
Il riordino
effettivo è stabilito dal Governo sulla base delle proposte delle
regioni (comma 4).
Come
previsto da modifica introdotta nel corso dell’esame del Senato, il
Governo, contestualmente al riordino delle province, provvede alla
ridefinizione dell’ambito (territoriale) delle città metropolitane conseguente
alle eventuali iniziative di comuni ai sensi dell’art. 133 Cost. (si veda in
proposito il successivo articolo 18).
Relativamente
alla fonte normativa, si rileva che la norma fa rinvio, in modo non usuale, ad
un “atto legislativo di iniziativa governativa” che provvede, entro 60
giorni, al riordino delle province.
Qualora
tale locuzione costituisca un implicito riferimento a strumento d’urgenza ex
art. 77 Cost. si prefigurerebbero – sin d’ora – requisiti di necessità e
urgenza privi del requisito della straordinarietà.
Qualora
invece la stessa locuzione sottintenda un richiamo a disegno di legge del
Governo, il termine di 60 giorni dovrebbe riferirsi solo all’iniziativa del
Governo e non anche all’esame parlamentare, perché i relativi termini sono
materia riservata ai regolamenti delle due Camere ai sensi dell’art. 64 Cost.
Il complesso
procedimento sopra descritto è corredato di una precisa tempistica,
peraltro ampiamente modificata dal Senato, di cui si da conto nella tabella
riportata sopra.
Anche a
seguito delle modifiche del Senato, si pone la questione del coordinamento dei
termini del procedimento: infatti, come si evince dalla tabella citata, i
termini delle prime tre fasi sono collegati alla data della pubblicazione della
delibera del Governo sui criteri di riordino (24 luglio 2012) e il termine
della terza fase cade il 24 ottobre 2012: entro tale data, al più tardi, devono
essere presentate le proposte di riordino da parte delle regioni. Il termine
dell’ultima fase, adozione del provvedimento di riordino del Governo, è,
invece, parametrata sulla data di entrata in vigore della legge di conversione:
entro 60 giorni da tale data (ossia entro il 13 ottobre) dovrà essere emanato
il provvedimento in questione. Il termine per l’adozione dell’atto del Governo
viene dunque a scadere prima di quello per la presentazione dei piani di
riordino mentre ovviamente non potrà che essere adottato successivamente. E in
effetti il vademecum del Governo sulla riforma delle province non indica
una data determinata per l’adozione del provvedimento governativo finale ma si
limita a precisare che questo sarà adottato al termine dell’iter di
riforma[4].
Si osserva,
inoltre, che il termine per le regioni per deliberare le proposte di riordino
in caso di mancata trasmissione delle ipotesi di riordino dei CAL viene a
coincidere praticamente con il termine che questi hanno per presentare le
medesime ipotesi.
Si rileva,
infine, che la soppressione delle province sotto soglia e il loro accorpamento,
conseguenti al riordino, di fatto supera, solo per queste province, quanto
previsto dal citato D.L. 201/2011 in materia di organi provinciali.
Infatti, il D.L. 201 ha trasformato i consigli provinciali in organi elettivi
di secondo grado, ossia non più eletti direttamente dal corpo elettorale, bensì
dai sindaci e dai consiglieri dei comuni del territorio provinciale. Il nuovo
sistema elettorale sarà stabilito con legge dello Stato che dovrà essere
adottata entro il 31 dicembre 2012 (attualmente è all’esame della Camera un
disegno di legge del Governo in materia, l’Atto Camera n. 5210). I consigli
provinciali scaduti nel 2012 non sono stati rinnovati e le province sono state
commissariate dal Governo in attesa che la definizione della nuova legge
elettorale ne permetta il rinnovo. Gli altri consigli provinciali avrebbero
dovuto essere rieletti con il nuovo sistema ciascuno a conclusione del proprio
mandato. La norma in esame incide evidentemente su tale previsione:
presumibilmente tutti i consigli provinciali delle province soppresse
dovrebbero, al termine del procedimento, essere sciolti, ma dovrebbero essere
sciolti anche i consigli provinciali delle province non soppresse ma destinate
a mutare il proprio territorio all’esito del riordino. Rimarrebbero
esclusivamente in carica i consiglio delle province sopra i limiti minimi e che
non dovranno inglobare porzioni di territorio di province soppresse. Non viene
prevista una norma transitoria che regoli opportunamente il passaggio dalle
vecchie alle nuove province, che dovrà probabilmente essere disciplinato
dall’atto governativo di riordino.
Il Senato ha
aggiunto il nuovo comma 4-bis che recepisce quanto già previsto
nella delibera del Governo del 20 luglio, prevedendo che il ruolo del comune
capoluogo di provincia sarà assunto dal comune, già capoluogo della
provincia soppressa, con maggior popolazione residente, con la significativa
modifica rispetto alla delibera, che è fatta salva l’ipotesi di diverso accordo
tra i capoluoghi di provincia.
Le regioni a statuto speciale
Il comma
5 riguarda le regioni a statuto speciale che devono adeguare, entro
sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto in esame, i propri
ordinamenti alle disposizioni di cui all’articolo in esame, che costituiscono
principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica nonché principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica. L’adeguamento riguarda
tutte le disposizioni recate dall’articolo, quindi sia il riordino delle
province, sia la ridefinizione delle funzioni provinciali (per la quale si
rinvia al paragrafo successivo).
Le regioni a
statuto speciale, seppure con diverse formulazioni, hanno competenza primaria
in materia di enti locali, ai sensi dei propri statuti di autonomia (che hanno
rango costituzionale) e la esercitano entro il limite dei principi fondamentali
dell’ordinamento giuridico della Repubblica.
La Corte costituzionale (sentenze n. 286 del 2007, 238 del 2007, n. 5 del
considerato in diritto, sentenze n. 48 del 2003, n. 230 e 229 del 2001, e n.
415 del 1994) ha riconosciuto al legislatore delle regioni ad autonomia
speciale una potestà di disciplina differenziata rispetto alla corrispondente
legislazione statale, salvo il rispetto dei principi fondamentali
dell'ordinamento giuridico dello Stato e dell'ambito delle materie di esclusiva
competenza statale (individuate sulla base di quanto prescritto negli statuti
speciali).
Ai sensi del
comma 5, le disposizioni di cui al presente articolo non trovano applicazione
per le province autonome di Trento e Bolzano (previste dalla
Costituzione art. 116, 2° comma).
Tra le
regioni a statuto speciale non è espressamente esclusa la Valle d’Aosta,
che però ha una peculiare struttura di articolazione territoriale che, di
fatto, rende inapplicabile l’articolo in esame. Infatti, nella regione, dove il
territorio della provincia coincide con quello regionale, non esiste una
amministrazione provinciale e i compiti della provincia sono svolti dalla
regione.
Per quanto riguarda la riduzione delle province si ricorda che il 6 maggio
2012 si sono svolti in Sardegna 10 referendum regionali (5 abrogativi e
5 consultivi) tra cui uno (consultivo) relativo alla abrogazione delle quattro
province storiche della regione (Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano) e alcuni
(abrogativi) volti a sopprimere le nuove province (Carbonia-Iglesias, Medio
Campidano, Ogliastra e Olbia-Tempio) istituite con legge regionale: la
maggioranza dei votanti sardi si è espressa a favore di tutti i referendum.
La regione ha prorogato fino al 28 febbraio 2013 le amministrazioni provinciali
nelle more di una riforma delle autonomie locali (L.R. 25 maggio 2012, n. 11).
Anche la Sicilia si è mossa nella direzione di una ridefinizione del
ruolo delle province regionali. La legge regionale 14 del 2012 infatti prevede
che, nel quadro di un riassetto complessivo delle funzioni amministrative,
spettano alle province regionali funzioni di indirizzo e di coordinamento delle
attività dei comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge regionale
entro il 31 dicembre 2012. Tale legge procederà inoltre al riordino degli
organi di governo delle province regionali, al fine di ottenere significativi
risparmi di spese per il loro funzionamento.
Ridefinizione delle funzioni delle province (art. 17, commi 6-11)
Oltre che
sul riordino, l’articolo 17 del decreto legge 95/2012 interviene anche sulla
disciplina delle funzioni delle province, provvedendo ad integrare e
modificare quanto disposto in materia dal decreto-legge 201/2011[5], che ha stabilito che alle province
spettano esclusivamente funzioni di indirizzo e di coordinamento
delle attività dei comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale
o regionale, secondo le rispettive competenze.
Tale
impostazione viene superata prevedendo l’affidamento alle province, una volta
proceduto all’accorpamento, di ulteriori funzioni: si tratta delle
funzioni definite di area vasta, per le quali viene richiamato l’art.
117, secondo comma, lettera p) che affida allo Stato la competenza
legislativa a definire le funzioni fondamentali degli enti locali.
Tali
funzioni, espressamente indicate, ineriscono alla cura del territorio
(pianificazione territoriale; tutela e valorizzazione dell’ambiente), alla
gestione dei trasporti (pianificazione dei servizi di trasporto;
autorizzazione e controllo del trasporto privato; costruzione e gestione delle
strade; circolazione stradale) ovviamente a livello provinciale e, come
aggiunto dal Senato, la programmazione della rete scolastica e la
gestione dell’edilizia scolastica nelle scuole secondarie di secondo
grado (comma 10).
Seguono alcuni indicazioni enucleabili dalla giurisprudenza costituzionale
in tema di funzioni delle province.
Nella sentenza 238 del 2007 la Corte costituzionale ha occasione - sia pure
in un contesto caratterizzato dall'intervento legislativo di un'Autonomia
speciale - di disegnare lo spazio proprio delle funzioni provinciali, tra
l’esistenza di un nucleo di funzioni intimamente connesso al riconoscimento del
principio di autonomia degli enti locali sancito dall’art. 5 Cost, la
innegabile discrezionalità riconosciuta al legislatore statale nell’ambito
della propria potestà legislativa e la relativa mutevolezza nel tempo delle
scelte da esso operate, non potendosi - in tale contesto - parlarsi in generale
di competenze storicamente consolidate dei vari enti locali (addirittura
immodificabili da parte del legislatore).
La Corte ha riassunto il proprio indirizzo nel senso che il legislatore
(regionale) può (nei differenziati ambiti lasciati dalle disposizioni
costituzionali o statutarie), in presenza di esigenze di carattere generale,
articolare diversamente i poteri di amministrazione locale, con il limite della
permanenza di almeno una sfera adeguata di funzioni (sentenze n. 378 del 2000,
n. 286 del 1997, n. 83 del 1997).
Nella sentenza 286 del 2007, la Corte ha ritenuto rilevante, ai fini della
verifica del rispetto dell'autonomia degli enti locali, non la disciplina di un
particolare settore o di uno specifico istituto, ma la complessiva
configurazione da parte della legislazione regionale del ruolo della Provincia
in termini effettivamente adeguati alla sua natura di ente locale necessario di
secondo livello: valutazione, che può essere operata solo avendo riguardo al
complesso della legislazione sull'amministrazione locale per accertare la sua
coerenza con il principio di autonomia.
L’articolo
17 completa il quadro normativo in materia di funzioni delineato dal D.L.
201/2011 provvedendo a disciplinare le competenze delle funzioni già svolte
dalle province non ricomprese tra quelle fondamentali. In proposito il D.L.
201/2011 prevede il trasferimento da parte di Stato e regioni, con propria
legge, secondo le rispettive competenze, ai comuni, entro il 31 dicembre 2012,
delle funzioni conferite dalla normativa vigente alle province, salvo che, per
assicurarne l'esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle regioni,
sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
Il
provvedimento in esame interviene sulle funzioni amministrative
conferite alle province con legge dello Stato prevedendo anche per esse il
trasferimento ai comuni (comma 6), previa individuazione puntuale da
parte di un DPCM da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore
del decreto-legge previa intesa con la conferenza unificata (comma 7).
L’esercizio
di tali funzioni è subordinato all’effettivo trasferimento dei beni e
delle risorse umane da effettuare sempre con DPCM da adottare entro 180
giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge (comma 8).
I decreti di
cui sopra (comma 8-bis), sono adottati previa acquisizione della Commissione
parlamentare per la semplificazione di cui alla legge 246/2005 (art. 14,
comma 19).
La Commissione parlamentare per la semplificazione è composta da venti
senatori e venti deputati, nominati rispettivamente dal Presidente del Senato e
dal Presidente della Camera nel rispetto della proporzione esistente tra i
gruppi parlamentari, su designazione dei gruppi medesimi. Tra i compiti della
Commissione quello, attribuito dalla legge 69/2009, di esprimere sui pareri
previsti dalla legge 59/1997, recante Delega al Governo per il conferimento
di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della
Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.
Ai sensi del
successivo comma 9, la decorrenza dell’esercizio delle funzioni
trasferite è inderogabilmente subordinata, ed è contestuale, all’effettivo
trasferimento dei beni e delle risorse umane e strumentali necessarie
all’esercizio delle medesime, nonché al loro effettivo finanziamento, in conformità
ai princìpi e ai criteri stabiliti dall’art. 10 della legge n. 42/2009 e
concernenti il finanziamento delle funzioni trasferite alle regioni.
Il comma
11 lascia ferme le funzioni di programmazione e di coordinamento
delle regioni, loro spettanti nelle materie concorrenti e “residuali”
(art. 117, commi terzo e quarto, della Costituzione), e le funzioni esercitate
ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione (esercitate per il livello
adeguato).
Altre disposizioni in materia di province (art. 17, commi 12-13-ter)
Il comma
12 conferma che gli organi di governo della provincia sono
esclusivamente il consiglio provinciale e il presidente della provincia,
secondo quanto disposto ai sensi dell’art. 23, comma 15, del citato D.L.
201/2011 che ha soppresso appunto le giunte provinciali.
Il comma
13 prevede che la redistribuzione del patto di stabilità interno tra
gli enti territoriali interessati, conseguente all’attuazione dell'articolo in
esame, è operata a invarianza del contributo complessivo.
Il comma 13-bis
attribuisce, per l'anno 2012, un contributo alle province siciliane e sarde
interessate dalla riduzione dei contributi disposta dall'articolo 16, comma 7,
del medesimo decreto-legge 95: l’importo complessivo del contributo è di 100
milioni di euro. Il contributo non è conteggiato fra le entrate valide ai fini
del patto di stabilità interno ed è destinato alla riduzione del debito. Il
riparto del contributo tra le province è stabilito con le modalità previste dal
medesimo comma 7.
Alla
copertura finanziaria della spesa derivante dall’attribuzione di tale
contributo si provvede, ai sensi del successivo comma 13-ter si
provvede mediante versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una
corrispondente quota delle risorse disponibili sulla contabilità speciale 1778
Agenzia delle entrate-fondo di bilancio.
Lo stato del contenzioso relativo ai criteri di riordino delle province
Attualmente
lo stato del contenzioso relativo alla impugnazione contro la deliberazione del
Consiglio dei ministri del 20 luglio, nella quale sono fissati i parametri per
il riordino delle Province risulta articolato come segue.
Le province
di Lodi, Rovigo, Treviso e Lecco hanno proposto impugnazione al Tar Lazio con
ricorsi depositati il 6 agosto 2012. Anche la provincia di Sondrio con
deliberazione della giunta provinciale resa il 10 agosto 2012 ha presentato
ricorso.
A titolo
esemplificativo è stato allegato al presente dossier il ricorso della
provincia di Treviso.
La provincia
di Matera ha proposto ricorso per impugnazione il 30 agosto 2012; tale ricorso
verrà discusso nell’udienza del TAR Lazio il 26 settembre 2012, così come il
ricorso presentato dalla provincia di Sondrio. Da fonti giornalistiche risulta
la possibilità che nella stessa data vengano discussi anche gli altri ricorsi.
Da ultimo,
il 20 settembre 2012, anche la provincia di Imperia ha impugnato dinanzi al Tar
del Lazio la deliberazione del Consiglio dei Ministri dello scorso 20 luglio.
Anche le
province di Latina e Frosinone hanno preannunciato l’intenzione di ricorrere al
Tar del Lazio conferendo l'incarico all'Avvocatura dell'ente per impugnare la
determinazione del Consiglio dei Ministri.
Nei ricorsi
- corredati di istanza di sospensiva - si asserisce il contrasto del
procedimento delineato dall’art. 17 del D.L. 95/2012, del quale il decreto
impugnato costituisce attuazione, con il disposto dell’art. 133 Cost.,
prospettando conforme questione di legittimità costituzionale. Si asserisce
altresì il contrasto con l’art. 97 Cost., per difetto di idonea istruttoria e motivazione
della delibera gravata quanto ai requisiti minimi di territorio e di
popolazione. Il riordino delle province, pertanto si tradurrebbe in tagli
indiscriminati anziché in una razionalizzazione, con violazione dell’art. 3
Cost.. Ulteriore censura in sede di ricorso attiene alla violazione dell’art.
77 Cost. per carenza degli straordinari e imprevedibili requisiti di necessità
e urgenza sulla base dei quali è stata adottato l’art. 17 citato.
Per quanto
attiene al contenzioso dinanzi alla Corte Costituzionale relativo
all’impugnazione dell’art. 17 del D.L. 95/2012, si segnalano le iniziative dei
Consigli delle Autonomie locali della regione Marche e della regione Abruzzo
volte a sollecitare i competenti organi regioni l’impugnazione delle suddette norme
ritenute lesive delle competenze degli enti locali.
Il Consiglio
regionale della Campania ha chiesto con un ordine del giorno approvato l’11
settembre 2012 alla Giunta di impugnare davanti alla Corte Costituzionale le
norme che prevedono l'abolizione di alcune Province, tra cui quella di
Benevento.
Come
accennato, prima del decreto-legge 95, una profonda riforma del sistema delle
province è stata prefiguarata dal decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201[6] nell’ambito
delle misure volte al contenimento delle spesa pubblica (art. 23, co. 14-21).
Alle
province, innanzitutto, venivano affidate esclusivamente funzioni di indirizzo
politico e di coordinamento. Tale impostazione è stata di fatto superata
all’art. 17 del decreto-legge 95 che come si è visto ha ampliato il novero
delle funzioni provinciali.
Viene invece
confermata la modifica del sistema di elezione degli organi provinciali. Sia il
consiglio provinciale che il presidente della provincia sono configurati - a
differenza degli altri enti indicati dall’art. 114 Cost. - come organi ad
elezione indiretta, eletto il primo dagli organi elettivi dei comuni ricadenti
nel territorio della provincia e il secondo dal consiglio provinciale stesso
tra i suoi componenti. Tali organi durano in carica cinque anni e le modalità
di elezione del consiglio provinciale, composto da non più di dieci membri, e
del presidente della provincia sono stabilite con legge dello Stato entro il 31
dicembre 2012.
Il nuovo
sistema elettorale è oggetto del disegno di legge del Governo A.C. 5210,
attualmente all’esame della Camera.
Il sistema elettorale delineato dal ddl A.C. 5210 è un sistema
proporzionale, con voto di lista e preferenze, senza coalizioni, né soglie di
sbarramento, né premi di maggioranza. In estrema sintesi:
-
hanno diritto di elettorato attivo e
passivo i sindaci e i consiglieri comunali in carica nei comuni della
provincia;
-
l’intero territorio provinciale è
costituito da una unica circoscrizione elettorale sia ai fini della
presentazione delle candidature, sia per l’attribuzione dei seggi;
-
le forze politiche presentano la lista
dei candidati al consiglio provinciale e, con essa, il candidato alla carica di
presidente della provincia;
-
l'elettore vota insieme la lista e
il candidato presidente e può esprimere due preferenze per i candidati alla
carica di consigliere;
-
è eletto presidente della provincia
il candidato che ottiene il maggior numero di voti;
-
per la composizione del consiglio
provinciale invece, l'attribuzione dei seggi alle liste avviene in maniera
proporzionale (metodo dei divisori d’Hondt); i seggi sono poi attribuiti ai
candidati in ordine al numero di preferenze ricevute.
Per approfondimenti si veda il dossier del
Servizio studi n. 651/0 del 6 giugno 2012.
Si ricorda
che la Corte costituzionale si pronuncerà il 6 novembre 2012 sui ricorsi presentati
a titolo di impugnazione diretta da parte di sei regioni avverso l’art. 23,
commi 14 e seguenti, del D.L. 201/2012.
[1]
Camera dei deputati, Seduta 13 settembre 2012, n. 685, Risposta
all’interpellanza urgente n. 2-01647.
[2]
Presidenza del Consiglio dei ministri. Dipartimento delle riforme istituzionali.
Nota 3 agosto 2012, Riordino delle Province e loro funzioni
(http://www.funzionepubblica.gov.it).
[3]
Si legge inoltre nella relazione governativa che “anche a voler prescindere
dalla considerazione che, trattandosi di un riordino complessivo, non trova
applicazione l'art. 133 della Costituzione, va rilevato in ogni caso che detto
articolo è, nella sostanza, rispettato, visto che i comuni sono pienamente
coinvolti tramite il Consiglio delle autonomie locali”.
[4]
Presidenza del Consiglio dei ministri. Dipartimento per le riforme
istituzionali, Le province: istruzioni per l’uso [13 settembre 2012]
[5]
D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità
e il consolidamento dei conti pubblici (convertito L. 22 dicembre 2011, n.
214).
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